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Da "Umanità Nova" n. 34 del 26 ottobre 2003

Le vie dell'oro blu
Acqua: scarsa, inquinata, privatizzata


In quanto fonte di vita insostituibile per l'ecosistema, l'acqua è un bene vitale che appartiene a tutti gli abitanti della Terra. La salute individuale e collettiva dipende da essa.
A nessuno, individualmente o come gruppo, è concesso il diritto di appropriarsene a titolo di proprietà privata.
Nel 1700, con una popolazione mondiale complessiva di 700 milioni di abitanti, il consumo complessivo di acqua era di circa 110 km3/anno, nel 1990 il consumo era di 40 volte maggiore, al contrario, la disponibilità idrica su scala mondiale è diminuita di un terzo tra il 1970 ed il 1990.
Secondo il rapporto dell'Unesco, 2 milioni e 200mila persone muoiono ogni anno per malattie legate alla scarsa qualità dell'acqua.
Circa un miliardo di persone in tutto il mondo non dispongono di acqua potabile di qualità. Si stima che circa 1,7 miliardi di persone devono accontentarsi di installazioni sanitarie insufficienti.
I paesi classificati a "stress idrico" sono quelli dove la disponibilità di acqua rinnovabile  pro capite va sotto i 1.700 m3, sotto i 1000 m3 c'è vera e una propria carenza. Le nazioni che sono in queste condizioni non dispongono di acqua sufficiente per soddisfare l'approvvigionamento idrico necessario ai fabbisogni dei settori: agricolo, industriale e domestico della propria popolazione.
Ci sono 36 nazioni che oggi si trovano in questa situazione in Africa, Asia e Medio Oriente, tra queste ci sono: il Kuwait, l'Oman, gli Emirati Arabi Uniti, il Libano, Israele, Giordania, Libia, Yemen, Algeria, Arabia Saudita, Corea del Sud, Iraq, Mauritania, Tunisia, Marocco, Egitto, Azerbaigian, Somalia, Kenya, Siria e Ghana.

La crisi idrica con cui ci stiamo confrontando non è però semplicemente legata all'incremento della popolazione mondiale, (oggi sono circa 6 miliardi gli abitanti del pianeta) ma ad una molteplicità di fattori fondamentalmente legati alla gestione di questa indispensabile sostanza.
Le esigenze e le disponibilità delle risorse idriche dei diversi gruppi umani, tanto quantitative che qualitative, sono caratterizzate da forti differenze.
L'acqua procura quattro tipi di vantaggi economici importanti: come materia in sé, come mezzo di assimilazione degli scarichi, per il suo valore estetico e ricreativo e come habitat per i pesci e gli altri organismi acquatici.
Sono comunque tre le principali forme di utilizzo dell'acqua da parte dell'uomo, rispettivamente legate al consumo in agricoltura che è pari al 70% del totale, nelle attività industriali per il 20% e nell'utilizzazione per usi domestici intorno al 10% (tali valori si riferiscono alla media dei consumi sul pianeta senza distinzioni tra le differenti realtà economiche).
Per quanto riguarda le attività industriali il consumo idrico è, ovviamente, rilevante soprattutto nei paesi industrializzati, dove è da tempo evidente anche l'aspetto qualitativo del problema, quello che è direttamente legato all'inquinamento delle acque utilizzate nei processi produttivi.
I processi industriali inquinanti sono comunque molto diffusi anche nei Paesi del sud del mondo dove assumono rilievo in particolare a causa delle industrie transnazionali. Queste, in presenza di legislazioni più permissive in materia di tutela ambientale, realizzano processi industriali particolarmente inquinanti risparmiando sui costi di produzione.
Nei paesi in via di sviluppo, infatti, il 90% dell'acqua di scarico viene riversata direttamente nei fiumi senza alcun trattamento.
Due milioni di tonnellate di rifiuti, ogni giorno, vengono dispersi nell'acqua; in tale quantitativo, oltre ai rifiuti industriali e chimici, includiamo anche quelli umani e quelli utilizzati in agricoltura, come pesticidi e fertilizzanti.

I danni dell'agricoltura intensiva
È utile sottolineare, richiamandoci alle percentuali indicate in precedenza, che lo sfruttamento idrico per usi irrigui agricoli supera in molte zone le capacità di ricostituzione delle riserve sotterranee e quelle di apporto dei corsi d'acqua e delle piogge.
L'agricoltura intensiva può mettere a dura prova il fragile ecosistema della terra. Dei 260 milioni di ettari di terreni irrigati nel mondo, 80 milioni sono colpiti in qualche misura dalla salinizzazione, effetto della concentrazione di sale sul terreno superficiale che riduce drasticamente la fertilità (si stima che 20 milioni di ettari siano gravemente colpiti da questo fenomeno e che 60 milioni di ettari ne soffrano in misura minore). La FAO stima che circa la metà delle terre irrigate hanno bisogno di un drenaggio finora inesistente.
Dal punto di vista agronomico, l'irrigazione serve a stabilizzare la produttività delle colture per ettaro riducendo lo stress che queste subiscono nei periodi di carenza idrica.

Ma, come al solito, gli interessi di chi insegue il profitto non sono gli stessi delle popolazioni; secondo una statistica pubblicata a metà degli anni ‘90, il 97% delle 700 mila donne che vivono nel Karakalpakstan, la regione al sud del lago d'Aral in Russia, sono anemiche, la mortalità infantile nella stessa area è di circa l'80 per mille (in Italia è dell'8 per mille). Un giovane su cinque è rivedibile al servizio militare. Sempre più bambini presentano artriti reumatoidi e reazioni allergiche. Questi sono gli effetti determinati dall'assunzione diretta o indiretta di acqua altamente inquinata. Quasi tutta l'acqua utilizzata dalla popolazione passa dapprima attraverso infiniti campi di cotone dove vengono drenati enormi quantità di sale, concimi chimici e pesticidi. Così ogni goccia d'acqua che raggiunge altre coltivazioni o viene assunta dagli animali domestici e bevuta dalle persone risulta fortemente salinizzata e inquinata.
La causa principale della salinizzazione è un cattivo drenaggio dei terreni, unito ad una forte evaporazione delle aree irrigate; l'acqua in eccesso, infatti, cede al suolo il suo contenuto minerale, che inizialmente era in essa disciolto.
Nell'India meridionale, come in altri paesi dove la risorsa idrica è scarsa, man mano che vengono scavati nuovi pozzi, si assiste al costante abbassamento del livello delle acque freatiche . Gli agricoltori che possono permettersi di installare potenti pompe elettriche o diesel sui loro pozzi, possono ancora raggiungere l'acqua che si ritira, ma i contadini più poveri - che attingono l'acqua a mano, o usando la forza degli animali da pozzi poco profondi - rimangono spesso all'asciutto. L'acqua per le irrigazioni è stata sempre più utilizzata nei grandi progetti agricoli a danno dei coltivatori minori e dei sistemi agricoli tradizionali, che non riescono ad essere competitivi sul mercato.
Questo meccanismo crea quindi la marginalizzazione dei piccoli contadini, con costi sociali a livello locale notevoli.
La cosiddetta "rivoluzione verde" - che ha fatto triplicare le aree irrigate negli anni che vanno dal 1950 al 1970 con una velocità superiore a quella della crescita della popolazione negli stessi anni - è nata proprio con la diffusione nei paesi del Sud del Mondo delle tecnologie di irrigazione e dei pesticidi e fertilizzanti chimici ad esse associate. Questa è stata avviata e favorita, in collaborazione con i governi, dalle agenzie di sviluppo internazionali secondo uno schema di ristrutturazione agricola che ha caratteristiche esogene rispetto ai contesti in cui è stata inserita (le tecnologie moderne di irrigazione su vasta scala, unite al supporto di sostanze chimiche in agricoltura, trovano la loro origine nell'ambito dell'industrializzazione dell'agricoltura in Occidente e, in particolare modo, negli USA).
La politica di diffusione di questi progetti agricoli, in larga misura nelle regioni destinate a produrre materie prime agricole imposte nel periodo coloniale (cacao, caffè, cotone, ecc.), è stata sostenuta in particolare dalla Banca Mondiale che è stata la principale investitrice nei progetti di irrigazione nei paesi del Terzo Mondo.
La diffusione delle monocolture e dei grandi progetti di irrigazione sostenuti da organismi finanziari internazionali hanno in tal modo alimentato un meccanismo circolare, che partendo dalle necessità di ripagare il debito estero, spingendo ad una produzione agricola intensiva, ha portato conseguenze sociali, economiche ed ambientali (sulle risorse idriche e non solo) di grande rilievo. È chiaro che è stato privilegiato, ad esclusivo vantaggio delle economie forti, il progetto "più dollari per raccolto" a scapito di quello "più raccolti per ogni goccia".
Ci avevano detto che con la "rivoluzione verde" si avvicinava la soluzione del problema della fame nel mondo, oggi ce lo ripetono cercando di imporre le colture transgeniche.

Il conflitto per l'acqua
Le risorse idriche, in passato, per la loro diffusione e la loro caratteristica di essere un bene primario, sono state considerate una ricchezza largamente disponibile a costi nulli o limitati (con eccezione delle aree aride o semiaride del pianeta). Per anni lo sfruttamento delle risorse idriche è avvenuto come se queste fossero illimitate, senza tenere conto degli equilibri ecologici e geologici ad esse legati.
Oggi, di fronte ad una minor disponibilità e ad una crescente domanda, si profilano all'orizzonte nuovi conflitti legati allo sfruttamento "dell'oro blu".
Quasi il 40% della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali comuni a due o più paesi. L'India e il Bangladesh disputano sul Gange, il Messico e gli Stati Uniti sul Colorado, la Cecoslovacchia e l'Ungheria sul Danubio. Una zona calda emergente è l'Asia centrale, dove 5 ex repubbliche sovietiche, da poco indipendenti, si dividono le acque dell'Amu Darja.
È soprattutto nel Medio Oriente, tuttavia, che le dispute sull'acqua stanno modellando gli scenari politici ed economici, basti pensare che il futuro dell'Egitto, culla di una delle più famose civiltà fluviali, è nelle mani di almeno altri otto paesi africani; non è diversa la situazione tra Turchia ed Iraq, per non parlare del bacino del Giordano che interessa Israele, Siria e Giordania. L'elenco potrebbe essere ancora più lungo perché più di metà dei 227 fiumi più lunghi del mondo ha subito interventi irreversibili di artificializzazione (dighe, deviazioni, canalizzazioni) ed il controllo delle acque di chi sta a monte crea, inevitabilmente, contrasti con chi si trova a valle.

Italia: paese degli sprechi
In Italia, la domanda complessiva di acqua dolce è stimata in 56 miliardi di metri cubi annui, praticamente un prelievo di 980 mc/pro capite/annuo, grazie al quale siamo al primo posto in Europa e terzi nel mondo come consumi idrici.
Nel mondo, cosiddetto sviluppato, ci precedono infatti solo gli USA (con 1.873 mc) e il Canada (1736) con ben altre disponibilità ambientali, ci seguono, a distanza, la Germania (740), il Giappone (731), la Francia (672), l'Inghilterra (281).
Le vicende legate all'inquinamento dei pozzi (tutti ricordiamo l'emergenza atrazina nella pianura Padana), la scarsa qualità dell'acqua di alcune grandi città, l'adeguamento al rispetto dei limiti soglia degli inquinanti ottenuto innalzando i limiti e non depurando le acque, le "difficoltà" di approvvigionamento di alcune zone del sud Italia, determinano anche la nostra posizione ai vertici europei dei produttori e consumatori di acque minerali, un business vergognoso che siamo abituati a considerare normale (ricordiamo che il solo fatto che l'acqua sia contenuta in una bottiglia non garantisce in assoluto la qualità).
Già si è fatta strada anche l'idea di doversi dotare di un proprio depuratore casalingo per il pre-trattamento delle acque domestiche, quasi che disporre di acqua potabile e di buona qualità non sia più da considerare un diritto ma una questione che ognuno deve risolvere privatamente, sempre che ne abbia la possibilità.
Spesso l'utilizzazione dell'acqua nella pratica quotidiana è indiscriminata e consumistica, atteggiamento che determina un eccessivo consumo d'acqua per usi domestici rispetto alle quantità realmente necessarie per espletare le funzioni richieste.
Ma, come abbiamo visto, lo spreco nell'utilizzo domestico, pur eticamente deplorevole, non è certo la causa della crisi idrica.

Siccità ed alluvioni
Se è vero, come è vero, che la distribuzione dell'acqua sulla superficie del pianeta è naturalmente diseguale è altrettanto certo che le scelte politiche ed economiche hanno contribuito a rendere il problema ancora più complesso a danno delle parti più deboli.
Gli scienziati avvertono che l'effetto serra, unito ad una crescente erosione dei suoli, alla deforestazione e ad altri squilibri idrogeologici - dovuti all'azione dell'uomo - causerà, con grande probabilità, sempre più squilibri ambientali in molte parti del globo con un aumento della frequenza delle siccità e delle alluvioni. La rottura degli equilibri naturali e il cambiamento climatico globale riguardano infatti ogni regione del pianeta. Ogni azione perturbatrice dell'ambiente e, nella fattispecie del ciclo dell'acqua, se sommata a tutte le altre, crea infatti una situazione complessiva di perturbazione degli equilibri della biosfera che mostrerà i suoi effetti in ogni parte del globo. È sotto gli occhi di tutti che in più parti del mondo si assiste ad una crescita delle catastrofi naturali come le alluvioni. In Italia, paradossalmente, i danni provocati dalla siccità "rincorrono" quelli delle alluvioni con una frequenza che negli ultimi anni si può certo ritenere anomala.
Solo un approccio globale ecosistemico potrà correggere l'attuale tendenza e gli errori del passato.
L'acqua è un bene di prima necessità ed un diritto fondamentale dell'uomo. I beni comuni non sono beni di consumo esclusivo: l'utilizzazione che ne viene fatta da una persona non ne esclude l'utilizzazione da parte di altri. Assicurare l'accesso all'acqua per i bisogni vitali e fondamentali di ogni persona e di ogni comunità umana è un obbligo per l'intera società. È compito infatti delle generazioni attuali di usare, valorizzare, proteggere e conservare le risorse d'acqua in modo tale che le generazioni future possano godere della stessa libertà di azione e di scelta che per noi stessi oggi auspichiamo.

Il business delle privatizzazioni
Qualcuno però non è d'accordo, c'è chi afferma che l'acqua non deve essere troppo economica o sovvenzionata. "Più cara è l'acqua e più i consumatori - siano essi l'agricoltura, l'industria o i privati - sono obbligati ad utilizzarla in modo efficiente". Indovinate chi sostiene queste tesi?
Sono gli "stessi" poteri economici che hanno spinto verso questo modello di sviluppo, quello in cui chi provoca il danno è anche chi si occupa di trovare la soluzione "giusta". L'importante è che a pagare siano sempre gli stessi, in questo caso non chi inquina, spreca, specula, ma semplicemente, chi ha bisogno dell'acqua per vivere.
Così oggi, la politica economica della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale favorisce l'affare delle privatizzazioni. I fondi concessi ai paesi in via di sviluppo vengono vincolati alla privatizzazione dei servizi pubblici; con la scusa degli investimenti che le multinazionali del settore dovrebbero sostenere, si giustifica che per un bene indispensabile come l'acqua si scateni la corsa ai profitti. Naturalmente il termine profitto non viene mai usato da nessuno, si parla di "piani d'aiuto per l'accesso ai servizi idrici", ma contemporaneamente si tenta di includere la disponibilità dell'acqua potabile negli accordi commerciali (WTO)
Dopo che durante il World Water Forum di Kyoto (marzo 2003), i convenuti, rappresentanti dei governi, non sono riusciti a trovare un accordo sulle modalità di finanziamento dei progetti per favorire l'accesso all'acqua dei più poveri del pianeta, è stata presentata una proposta dalla Commissione Europea. Tale proposta va nella direzione prospettata da Michel Camdessus, ex direttore del Fondo Monetario Internazionale poi coordinatore di un gruppo di esperti che, appunto, nel loro rapporto intitolato "Finanziare l'acqua per tutti" auspicavano l'utilizzo di fondi pubblici per coprire i rischi finanziari legati all'intervento delle multinazionali europee che operano nel settore acqua (Suez Lyonnaise des Eaux, Vivendi-Veolia, RWE Thames). Sembra più che evidente che, anche in ambito europeo, questa convergenza d'interessi tra dirigenti politici e affari delle multinazionali non abbia necessità di alcun periodo di rodaggio.
Naturalmente da parte statunitense non si sta a guardare, la Bechtel , un altro gigante che opera contemporaneamente nel settore energia, acqua e ambiente ha già ottenuto, direttamente dal presidente Bush II, un lucroso contratto per la ricostruzione in Iraq.
Per questi campioni degli interventi umanitari non c'è vergogna, ma che aprano bene le orecchie: "L'acqua è un diritto e non è in vendita!"

Marco Tafel


fonti:
www.earth-policy.org/
www.worldwtach.org/
www.wri.org/
www.unep.org/vitalwater
www.unimondo.org
www.fao.org
www.bechtel.com
www.laniovaecologia.it
Mappa dell'acqua nel bel paese WWF
Umanità Nova n. 21 e 40 /2001 n.11/2003






 

 



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