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Da "Umanità Nova" n. 35 del 2 novembre 2003

Passaporto per l'inferno
Migranti: lacrime per i morti polizia per i vivi


È un orrore senza fine quello che, con macabra regolarità, si presenta sulle rotte dell'emigrazione.
Barche cariche dei disperati reietti di un pianeta matrigno, scaricano, nelle acque degli innumerevoli canali di Sicilia, i superstiti di una traversata nel deserto di barbara disumanità. E questi uomini, queste donne coi loro figli, questa gente ricca solo dei suoi sentimenti, dei suoi affetti, delle gioie e dei dolori di un'esistenza che vorrebbe far diventare "normale", sconta sulle povere ossa spolpate dai pesci le contraddizioni di una "civiltà" ritenuta superiore.

E quando la tragedia è più tragedia del solito, quando l'orrore degli avvenimenti diventa talmente forte da scuotere anche coscienze solitamente dormienti, allora, immancabilmente, si aprono le cateratte della pìetas di regime. E mentre, con falsa commozione, i buoni sentimenti e la finta solidarietà si contendono lo spazio su giornali e televisioni (dove comunque le vittime non sono esseri umani neanche da morti, ma restano sempre clandestini extracomunitari), dal Palazzo profluviano, più micidiali dei flutti del mediterraneo, le stucchevoli dichiarazioni di ministri, sottosegretari, onorevoli di maggioranza e opposizione, sociologi, esperti (di cosa non si riesce a capire), militari e poliziotti, tutti "profondamente colpiti" dall'immanità del lutto. Sarà, ma le lacrime dei coccodrilli suonano più sincere!

Una volta cessato, poi, il periodo canonico assegnato alle lamentazioni delle prefiche governative (per fortuna a tutto c'è un limite, altrimenti il fastidio sarebbe umanamente insopportabile!), si riprende a discutere, nell'urgenza del momento, le proposte atte a contrastare i flussi migratori incontrollati. E perché non abbiano più a ripetersi simili tragedie, per il bene di quei poveretti destinati a morte certa in mare, non c'è proposta repressiva, anche se ispirata ai dettami della civile convivenza, che non diventi legittima.

Da tempo i governi comunitari si stanno confrontando per concordare misure di esclusione e di controllo sui cittadini "extracomunitari". E dalla prima riunione di Tampere del 1999 ad oggi, nonostante le inevitabili difformità dettate dagli interessi politici ed economici dei singoli stati e dalle spinte demagogiche ed egoistiche degli elettorati più reazionari, si sono fatti notevoli passi avanti sulla strada di una razionalizzazione della limitazione dei flussi. Razionalizzazione impostata, va da sé, sull'inasprimento degli strumenti di dissuasione delle partenze e di sbarramento alle frontiere. Meno partenze e frontiere chiuse, questa, in sostanza, la risposta che la civile e progredita Europa pensa di dover dare a uno dei fenomeni sociali più complessi e drammatici del nostro tempo, ma se nonostante tutto qualcuno riuscisse ad arrivare lo stesso, l'efficace collaborazione internazionale troverebbe il modo di rendere sostenibile economicamente il soggiorno e il rimpatrio di quel delinquente.

E così, nel recente incontro dei ministri degli interni di Francia, Italia, Spagna, Germania e Gran Bretagna, si sono gettate le basi per nuovi accordi, i quali prevedono la formalizzazione della Polizia europea, la creazione di banche dati comuni sugli accordi bilaterali di riammissione firmati da paesi europei con paesi africani, ulteriori progetti per il controllo armato del Mediterraneo, la creazione di un corpo europeo di guardie di frontiera super specializzate, la suddivisione delle spese gravanti sugli stati più esposti, la creazione di campi profughi nei paesi di partenza e, dulcis in fundo, l'entrata in vigore di tecniche di rilevamento biometriche per stabilire l'identità dei migranti inserendo nei documenti anche le loro impronte digitali. Una sorta di passaporto per l'inferno, in pratica, un viatico "gentilmente concesso" che permetterà ai clandestini declandestinizzati di andare incontro alle stesse sofferenze. Ma in regola!

E se poi le armi della dissuasione non dovessero dare gli attesi frutti, è già programmata, almeno per l'Italia, la dissuasione delle armi, secondo quanto ci viene amenamente suggerito dal generale Carlo Jean, consigliere militare del Quirinale ai tempi del presidente Cossiga ed oggi promosso responsabile del Centro studi di geopolitica economica. Scartate, per un rigurgito di pudore, le ipotesi di speronare o colpire con missili "intelligenti" le imbarcazioni sospette, i nostri agenti, neanche dovessero combattere contro la temibile Spectre, potranno utilizzare tecniche fantascientifiche, quali lo spray al peperoncino, le siringhe anestetizzanti usate per addormentare gli elefanti e una schiuma talmente scivolosa da impedire agli occupanti del barcone di stare decentemente in piedi. Di buffoni è pieno il mondo, e negli alti gradi del nostro esercito non c'è certo difetto.

Come si vede, dunque, i princìpi a cui l'Europa, e con essa l'Italia, intendono attenersi una volta dismessi i compassionevoli panni del buon cristiano coerente con la Costituzione, sono sempre quelli del controllo, della esclusione e della repressione. Nella non volontà di riconoscere le responsabilità che ha questo nord del mondo nel generare le cause delle criminali sperequazioni che rendono impossibile la sopravvivenza di interi Paesi, si riflette l'impossibilità di trovare la necessaria risposta a questo problema epocale. E nella follia schizofrenica che da un lato vede le economie continentali sempre più dipendenti dal lavoro sottopagato e non garantito dei migranti e, dall'altro, le società civili della vecchia Europa sempre più impaurite dall'incubo della perdita di identità, si riproducono, come in un brodo di coltura, i germi del razzismo e i meccanismi dello sfruttamento. Quelli che neppure la fuggevole pietà per una tragedia più grande delle altre, riesce a scalfire.

Massimo Ortalli







 

 



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