archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 35 del 2 novembre 2003

Anatomia di un movimento
Pacifismo, antimilitarismo, guerra e repressione


L'opposizione alla guerra dall'attacco all'Afganistan all'"all togheter now" della Perugia-Assisi
Anche quest'anno c'è stata la marcia per la pace Perugia-Assisi. Oltre le cifre contraddittorie, la partecipazione  stata più che buona e comunque maggiore rispetto all'anno passato. Se poi si paragona questa mobilitazione alla contestazione di "movimento" al recente vertice Europeo (Roma 4 ottobre) la differenza quantitativa non lascia dubbi.
Dentro al corteo c'erano tutti, ma proprio tutti.
L'Ulivo al gran completo, gran parte dei comuni di centro-sinistra con i relativi gonfaloni, new-global "buoni" ed anche la benedizione del Papa  accorsa a suggellare un ritrovato "spirito" pacifista in seno alla leggendaria società civile.
A dispetto dell'anno passato però non c'è stata nessuna contestazione (fischi e slogan) contro D'Alema e quell'Ulivo guerrafondaio che legiferò a favore del bombardamento in Serbia e Kosovo.
Non dovrebbe però stupire quanto sta accadendo se si  seguita l'evoluzione, o meglio l'involuzione, di quell'opposizione alla guerra che dopo l'11 settembre e l'attacco in Afganistan pareva aver spostato di qualche passo in avanti l'acerbo pacifismo degli anni precedenti (almeno dieci anni di massacri nei Balcani).
Un pacifismo tutto istituzionale e votato alla causa dell'ONU e di quegli organismi internazionali che "dovevano" intervenire "legittimamente" nella risoluzione dei conflitti.
Lo spostamento verso un'opposizione pi radicale alla guerra  stata manifestata a Firenze (9 novembre 2002) dove una partecipazione davvero straordinaria di persone avevano aderito a quel "senza se e senza ma" che metteva l'ONU fuori gioco, restituendo dignità ai contenuti genuinamente antibellicisti.
È però con la guerra in Iraq che cominciano a riemergere i vecchi fantasmi, prima con la contrapposizione dell'asse franco-tedesco all'intervento, poi con lo schieramento del Papa e del Vaticano che spostò sensibilmente gran parte del cattolicesimo impegnato e per finire la presa di posizione dell'ONU che si tirò fuori definitivamente attraverso un pilatesco "se la sbrighino Usa e Gran Bretagna".
Man mano che la situazione restituiva una partita mediatica con almeno due schieramenti discretamente distinti, si  avuto un exploit di dissenso generalizzato al Presidente globale e alleati, culminato con mobilitazioni di massa in tutto il mondo. A Roma (15 febbraio 2003) almeno due milioni di persone hanno letteralmente mostrato la propria indignazione a quest'ennesima guerra.

Contemporaneamente si  registrato:

- l'arretramento di contenuti rispetto al "senza se e senza ma" con misurati ma diffusi appelli alla legittimità dell'ONU.
- il disorientamento della compagine social forum dopo la "fine" della guerra in Iraq; anche in questo frangente i DS si erano giocati un avvicinamento alquanto goffo smemori (si fa per dire) del loro bombardamento in Kosovo.
- la sbornia dei numeri (i "tre" milioni di Roma) e la cruda realtà dell'impotenza contro la propaganda e la macchina bellica.
Con la "vittoria" dell'asse USA-GB in Iraq le mobilitazioni hanno subito un forte ridimensionamento sia in termini di eventi e sia in termini partecipativi.
All'oggi l'ONU riallarga le braccia agli interventisti e prepara un "si" largamente condiviso anche da quegli stati europei di "tradizione pacifista" (Francia e Germania... sic!) alla mozione Statunitense per aiuti e ricostruziuone in Iraq.
È allora facile comprendere il perché di quel "all togheter now" che ha portato alcune centinaia di migliaia alla Perugia-Assisi di alcune settimane fa.
Quello che avviene  un copione già visto, se da una parte abbiamo assistito al disorientamento del movimento contro la guerra, dall'altra s'è ricompattata un'opposizione più "politicamente corretta" dove i vecchi marpioni del politicume, ovvero partiti, chiesa e amministratori, hanno riassemblato un tiepido ma quanto mai necessario consenso.
D'altro canto la parola d'ordine  di nuovo solamente "pace"!

Azioni dirette, repressione e intervento territoriale antimilitarista
Sul piano delle azioni dirette gli unici dati significativi da rilevare sono stati i diversi tentativi di blocchi dei treni della morte che, seppur tentati in fretta e disarticolati, avevano comunque spostato aree pacifiste sul terreno pratico antimilitarista.
Il dato delle manifestazioni ci spiega invece come sia la territorializzazione delle lotte e quindi l'opposizione quotidiana alle basi e alle strutture militari il terreno su cui tentare la carta del coinvolgimento, ben pi della pur importante folla pacifista che s'è mossa e si è esaurita allo stesso tempo su posizioni etiche, slegate quasi completamente dal lavoro arduo ma necessario di disprezzo costante verso la gerarchia in divisa nei propri territori.

Coinvolgere e forzare il pacifismo verso l'antimilitarismo è il compito imprescindibile che ci spetta, non solo per favorire una coscienza antigerarchica nelle relazioni sociali, soprattutto per insistere sulla natura del capitalismo che mai come oggi pretende dagli stati nazionali (con buona pace di chi teorizza il loro superamento) il potenziamento ed il ritorno alle origini nei compiti risoluti di guardiani del capitale ad ogni costo.
È importante inoltre ricordarsi come nella fase delicata pre-guerra lo stato abbia portato ad un'escalation di repressione significativa con il ringalluzzimento delle frange neofasciste (attacchi e aggressioni a giovani e immigrati) e le conseguenti mattanze a chi vi si opponeva come per l'assassinio di Dax e all'ospedale San Paolo di Milano.
Repressione controllata meglio nelle piazze simboliche (Genova 2001 docet) ma scatenata nella quotidianità del lavoro come per le retate e le espulsioni continue dei migranti o come gli sgomberi continui di spazi occupati (centri sociali, case occupate, Università ecc.).
Repressione che continua sempre più diffusamente con nuove montature, perquisizioni, arresti ai danni di compagni e compagne impegnate nella solidarietà e il supporto ai carcerati, così come nei confronti di chi s'oppone a installazioni militari o nocive per l'ambiente e la salute di tutti.

In questa fase difficile ci spetta il compito di rigenerare una lotta territoriale ma reticolarmente coordinata, diffusa ma mirata su obiettivi condivisibili e sentiti.
Il 4 novembre, quando il becero patriottismo italiano riattiva nostalgici e guerrafondai in gran parte delle piazze d'Italia, innalzando a "festa" le tragedie, i massacri e le devastazioni del militarismo,  una quelle importanti tappe di opposizione in cui coinvolgere lavoratori, disoccupati e gente comune.
Perché l'invio di contingenti militari italiani in Iraq, come in Afganistan, non  solo propaganda ideologica o interventismo accattone, significa morti e distruzione e peserà anche sulla pelle di noi tutti trasferendo milioni di euro dalle spese sociali e dai nostri redditi al comparto della Difesa, incrementando produzione e traffico d'armi e riducendo ancora gli spazi di libertà e la libera circolazione dei migranti.
L'alternativa alla prassi autoritaria e sterile del riformismo in movimento non può che nascere là dove arde da tempo. L'altro mondo possibile, che  appunto un "altro" e non questo in abito diverso, non può che germogliare dalle lotte che l'anarchismo sociale saprà innescare e condurre.
Sbarazzando il campo dai vetusti dirigenti di partiti e partitini e principiando quella rivoluzione sociale che nella lotta di classe e nelle pratiche autogestionarie disegna l'orizzonte a cui tendere.

Stefano Raspa







 

 



Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it