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Da "Umanità Nova" n. 35 del 2 novembre 2003

Oltre Cancun
Liberismo e neocolonialismo


L'utilità delle riunioni del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) è quella di chiarire a tutti coloro abbiano intenzione di leggere la realtà senza fette di salame ideologiche sugli occhi quali siano i rapporti reali tra poteri all'interno dell'economia capitalistica rimondializzata.
Le teorie sulla fine degli stati e dei capitali nazionali con le quali una parte consistente della sinistra alternativa si è baloccata da dieci anni a questa parte escono, infatti, regolarmente distrutte dai comportamenti reali degli attori di questi vertici. Non vediamo, infatti, all'opera un capitale transnazionale deterritorializzato, pronto a posarsi sui fiorellini dello sfruttamento che in quel momento più gli aggradino, né un vertice coordinato destinato alla pianificazione imperiale del funzionamento dell'economia globale.

La realtà è che Cancun, non meno di Seattle, o prima di Montevideo è stata soprattutto una gigantesca rissa senza alcuna soluzione finale, all'interno della quale gli esponenti di capitali pienamente nazionali (o al più coordinati per aree economiche come nel caso dell'unione Europea o del gruppo dei 21 paesi forti del Sud del mondo) hanno brigato, minacciato, cercato, creato e disfatto alleanze per assicurarsi una posizione migliore nei confronti dei concorrenti.
In specifico Stati Uniti ed Unione Europea erano e restano interessati a penetrare all'interno del mercato dei servizi e della finanza dei paesi del Sud, tuttora strutturati in un modello di capitalismo nazionale in cui gli investimenti esteri sono rigidamente controllati. Per USA ed UE si tratta di penetrare i loro mercati, impadronirsi della loro industria nazionale e sostituirla con terminali delle proprie imprese multinazionali, con il doppio scopo di controllare i mercati di questi paesi e di utilizzare i loro lavoratori (i cui salari sono nettamente inferiori a quelli occidentali) per produrre merci a basso costo con le quali inondare i ricchi mercati d'occidente.
Insomma, una vera e propria operazione coloniale in grande stile. Il problema per l'occidente è la crescita avvenuta in questi anni di classi dominanti interne a quei paesi del Sud del mondo che sono in possesso di un peso specifico di una certa rilevanza, come Brasile, Sud Africa, Cina, India e ora anche Argentina dopo la decade del caudillo neocoloniale Menem, decise a rivendicare la possibilità di sviluppare anche il proprio capitalismo e a giocare un ruolo di comprimario all'interno dell'economia mondo.

In altre parole i governanti brasiliani, argentini, sudafricani, cinesi, indiani e degli altri paesi che li hanno appoggiati a Cancun non sono dei benefattori dell'umanità, anzi sono ben decisi a mantenere le condizioni concorrenziali con le economie del Nord, ma sono intenzionati a sfruttarle per sviluppare una propria classe di imprenditori capitalisti, una propria potenza economica e commerciale e non sono più disposti a essere i semplici governatori dei propri territori per conto altrui. Il caso più emblematico in questo senso è il Brasile, paese dove la giunta militare presieduta dal generale Castelo Branco regalò alle imprese americane (e alle chiese evangeliche legate ai gruppi minerari) una parte notevole del territorio dello stato del Minas Gerais e dell'Amazonas, finanziando con crediti agevolati le imprese americane ed europee che investivano in Brasile nello stesso momento in cui chiedeva tassi da capogiro (attorno al 50%) alle imprese nazionali intenzionate ad aprire attività all'interno del paese. Bene, proprio il Brasile si presenta oggi come il capofila dei paesi intenzionati a sviluppare il proprio capitalismo e a mettere in discussione in America Latina l'adesione supina al trattato capestro dell'ALCA. A differenza del presidente populista Joao Goulart, spodestato nel 1964 dalla giunta militare proprio per le sue tendenze troppo autonome nei confronti degli USA, Lula sembra godere della fiducia dell'esercito e di quella dei gruppi capitalistici brasiliani oggi molto più pesanti di quarant'anni fa e disposti a concedere qualcosa alle classi subalterne pur di potersi appoggiare a un potere politico deciso a contrastare la colonizzazione del paese. Lula d'altra parte sta svolgendo una politica chiaramente improntata alla continuità con le precedenti amministrazioni liberiste (si vedano le riforme delle previdenza e dell'assistenza recentemente approvate) con qualche riverniciatura di sinistra. Il progetto reale della sua presidenza è invece quello di dotare di ossigeno e potenza la propria classe capitalistica e su questo non tarderà a scontrarsi con i veri padroni del continente americani.

D'altra parte la stessa fine fatta fare nel 1973 all'esperimento cileno di Allende chiarisce che la posta in gioco per gli Stati Uniti era allora ed è tuttora di un'importanza centrale. Il governo socialista cileno fu rovesciato non certo per il suo estremismo sociale assolutamente inesistente né perché fosse un possibile appoggio per l'Unione Sovietica nell'area, bensì perché era un chiaro esperimento volto a rendere l'economia cilena indipendente da Washington; per questo fu ritenuto più pericoloso della Cuba filosovietica, isolata in mezzo al mar dei Caraibi e scarsamente vitale per la potenza economica americana.
L'Argentina, la Cina, l'india e il Sud Africa, sono tutte economie in crescita che necessitano di sbocchi verso i mercati americani ed europei e al cui interno si è ormai sviluppata una classe dominante intenzionata ad andare su questi mercati motu proprio e non come terminale neocoloniale delle multinazionali europee o americane. L'Argentina è stato l'ultimo paese che ha provato nel decennio menemista ad applicare la ricetta neocoloniale, uscendone con le ossa rotte nonostante un'economia (secondo i dettami del Fondo Monetario Internazionale) fondamentalmente sana. È chiaro che la rotta che oggi intendono seguire i dominanti argentini sarà ben diversa e probabilmente conflittuale con gli interessi USA ed europei (tra i quali hanno un'importanza preponderante quelli italiani e spagnoli). Cina ed India viceversa hanno da tempo sviluppato una classe dominante con pretese chiare di indipendenza rispetto ai vecchi e nuovi padroni coloniali; oggi possono anche accedere ai loro mercati e sono per questo soggette a un'operazione coloniale consistente nel ricatto per il quale i mercati occidentali verranno aperti esclusivamente se cinesi ed indiani saranno disponibili a far penetrare i capitali euroamericani all'interno delle loro economie fino a permettere a questi ultimi di prenderne il controllo. Naturalmente si tratta di un accordo simile a quello tra il boia e l'impiccato ed è naturale che dominanti locali con un peso specifico di una certa rilevanza non siano disponibili a firmare il loro annientamento.

La campagna un po' infame e un po' ridicola sviluppata in Italia dal duo Bossi-Tremonti contro la Cina che farebbe concorrenza scorretta ai padroncini del nord-est grazie ai suoi salari più bassi, è solamente la traduzione in brianzolo di questo scontro mondiale: in realtà la bilancia commerciale Italia-Cina è in attivo per gli italiani che vendono tecnologia più di quanto i cinesi non ci vendano prodotti a basso prezzo. Il problema reale è che l'imprenditoria italiana (ovviamente intruppata con i fratelli maggiori euroamericani) avrebbe intenzione di entrare nella struttura economica cinese per essere lei a produrre in Cina a basso prezzo, non lasciando questo privilegio ai cinesi. Per ottenere questo obiettivo va bene tutto, anche l'arruolamento delle plebi padane al grido di "Dagli al cinese!"

Se questo è il quadro sugli investimenti di capitale, quello agricolo non sembra essere diverso. Il protezionismo euroamericano serve a chiudere di fatto i mercati d'occidente ai prodotti del Sud del mondo e a finanziare l'espansione delle multinazionali dell'agroindustria verso quei mercati. Allo stesso tempo le agricolture dei paesi del sud premono per ottenere uno sbocco verso i mercati euroamericani e a far cessare gli aiuti di questi ultimi verso i loro agricoltori, dal momento che questa politica ha come immediata conseguenza un crollo dei prezzi al pubblico del cibo prodotto nel Nord del mondo che diventa competitivo su mercati come quello indiano, cinese, brasiliano o argentino. La contesa riguarda quindi la seconda operazione neocoloniale tentata dai paesi euroamericani e consistente nell'inondare di cibo a basso prezzo i paesi più sviluppati del sud, mandarne in crisi i settori agricoli e successivamente impadronirsene allo scopo di produrre con prezzi inferiori a quelli occidentali.

Una battaglia complessa quindi che vede lo scontro tra il modello di dominio occidentale sull'economia mondo capitalistica che prevede l'esistenza di una vasta parte del mondo che non deve mai uscire dalla condizione di colonia e il tentativo (finora riuscito solo al Giappone) da parte delle economie del sud di imporsi come parti contraenti nello sviluppo capitalistico. Per intenderci nessuno dei paesi del Gruppo dei 21 è portatore di un modello minimamente alternativo alla struttura economica capitalistica dominante, ma piuttosto del progetto di uscire dal ruolo di riserva di manodopera e di risorse economiche a basso prezzo per sfruttare in proprio le potenzialità presenti sul territorio.
Resta il fatto che lo sviluppo di un'economia capitalistica pluricentrata è sicuramente migliore per l'insieme delle classi dominate e subalterne del pianeta rispetto a quello neocoloniale dell'occidente, dal momento che questo secondo progetto è destinato a portare miseria e fame innanzitutto tra contadini ed operai del sud del mondo che verrebbero rovinati i primi dal dumping occidentale e sottoposti i secondi ad accettare l'alternativa tra il proprio salario da fame o lo spostamento dei loro posti di lavoro reso più semplice dalla collocazione geografica dei nuovi padroni a migliaia di chilometri di distanza. Naturalmente questo dato non implica minimamente una posizione di alleanza "oggettiva" (per intenderci come quella presa negli anni Trenta, Cinquanta e Sessanta del Novecento dall'Internazionale Comunista) con le classi dominanti nazionaliste del sud del mondo, bensì una chiara e precisa coscienza del fatto che il progetto neocoloniale deve essere combattuto in prima istanza dalle classi subalterne del Nord del mondo in stretta alleanza con le lotte che in alcuni paesi del sud iniziano a scoppiare contro i padroni nazionali di questi paesi. Dobbiamo sapere che solo il coordinamento tra subalterni è efficace per evitare che le lotte sindacali nel sud del mondo aprano le porte all'invasione di questi paesi da parte dei capitali occidentali che utilizzerebbero questi paesi a loro piacimento, ottenendo al contempo di piegare anche i subalterni del Nord con il ricatto del trasferimento delle produzioni.
L'esempio della casa automobilistica coreana Daewoo, acquistata dalla General Motors, utilizzata per ridurre i salari degli operai americani della stessa GM, e successivamente chiusa senza problemi (il vantaggio di un padrone americano di una fabbrica coreana è quello di essere distante un oceano dalla stressa fabbrica e dai suoi operai) per spostare altrove la produzione, è emblematico.

La seconda lezione che ci viene da vertici come quello di Cancun e dallo scontro di progetti economici che vi avvengono è quello riguardante il ruolo della concorrenza all'interno della struttura capitalistica mondiale. Osannata in continuazione come fonte dello sviluppo economico, la concorrenza in regime capitalistico in realtà non esiste, dal momento che il protezionismo utilizzato dai paesi euroamericani per imporre il proprio dumping a quelli del sud, ci dimostra meglio di mille spiegazioni teoriche che la gestione del capitalismo globale è un regime di oligopolio per mantenere il quale ogni barriera posta all'entrata è lecita e utilizzabile. Alla faccia del libero mercato.
In realtà il dispiegarsi di una concorrenza libera in un mercato altrettanto libero porterebbe alla scomparsa dell'economia capitalistica nel giro di pochi decenni dal momento che il fondamento dell'economia dell'accumulazione di capitale è il mantenimento di saggi di profitto compatibili con l'onere dell'investimento e che l'affollarsi della concorrenza con il meccanismo di crescita del costo del lavoro e di quello delle materie prime e di erosione dei prezzi che comporta, produce un'inesorabile caduta di questi margini, fino a rendere assolutamente poco conveniente per i possessori di capitale investire i propri soldi nella produzione piuttosto che nella commercializzazione di prodotti. In altre parole, senza oligopolio economico il meccanismo di accumulazione capitalistico sarebbe ridotto a una semplice branca marginale dell'economia riguardante i nuovi mercati e le innovazioni tecnologiche, come del resto avvenne per i prime tre secoli di storia dell'accumulazione capitalistica tra il Duecento e il Cinquecento.
All'epoca il modello di accumulazione fu salvato e conobbe una colossale espansione grazie allo sviluppo dell'economia finanziaria e al finanziamento delle guerre tra gli stati nazionali, meccanismo che ricompare ogni volta che la produzione e la commercializzazione dei prodotti materiali mostra la corda.

Non dubitiamo che anche oggi si stia assistendo a una fase del genere che vede l'investimento finanziario e quello agli stati per la crescita del potere militare di questi ultimi prevalere per convenienza sugli altri tipi di investimento. Il tentativo euroamericano espletato a Cancun è, in ultima analisi, un tentativo di rilancio dell'accumulazione capitalistica su larga scala mediante un operazione neocoloniale. Il fatto che per ora questa operazione non sia stata coronata da successo, però, non ci deve indurre in uno stupido ottimismo, dal momento che le operazioni belliche americane sono il contraltare di questo lavorio politico-diplomatico, e che i veri sconfitti della coppia USA-UE siano in realtà i secondi, perché i primi hanno già ampiamente dimostrato come siano disposti ad utilizzare, per ottenere l'obiettivo del rilancio dell'accumulazione tramite neocolonizzazione e ricentralizzazione dell'economia mondiale, lo strumento di ultima istanza: la guerra.

Giacomo Catrame







 

 



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