|
Da "Umanità Nova"
n. 36 del 9 novembre 2003
Telecom Serbia Il vero scandalo
Dopo
l'orgia del mesi scorsi, negli ultimi tempi la cosiddetta "grande
stampa" parla molto meno dello scandalo "Telekom Serbia". Può
essere quindi giunto il momento di occuparsi del caso. Innanzitutto
riassumendo i fatti.
Il 9 giugno 1997 il governo di Belgrado cede il 29%
dell'azienda telefonica di Stato, la Telekom Serbia, alla STET Olanda,
società controllata con la quale Telecom Italia (all'epoca
ancora interamente di proprietà del Ministero del Tesoro e,
quindi, dello Stato) cura gli acquisti esteri. Un altro 20% viene
ceduto alla greca OTE. Immediatamente il governo di Slobodan Milosevic
decide di secretare i termini del contratto concluso con italiani e
greci per la vendita di una quota importante di quella che viene
considerata una delle più importanti aziende serbe. Il pagamento
da parte italiana del prezzo pattuito – 893 mln di marchi pari a oltre
450 mln di euro – avviene ufficialmente tramite una piccola banca greca
ma successivamente si spargerà la voce dell'arrivo a Belgrado di
18 sacchi di juta pieni di banconote che nei mesi successivi
permetteranno di pagare stipendi e pensioni arretrate. La vendita della
Telekom Serbia sancisce gli ottimi rapporti fra il governo italiano -
presidente del Consiglio Prodi, ministro degli Esteri Dini,
sottosegretario agli esteri con delega ai Balcani, Fassino - e il
regime di Milosevic. Particolarmente attivo il ministro Dini che fra il
1996 e il 1997 si reca ben quattro volte in visita a Belgrado. Per
Milosevic e la sua cricca sono momenti difficili a causa delle proteste
di massa che nell'inverno '96-'97 infiammano il paese e fanno vacillare
il regime. Ma Dini non manca di sostenere l'amico serbo rilanciando la
presenza economica italiana. Il 15 dicembre 1997, dopo l'ennesimo
incontro con Milosevic e Milutinovic (oggi entrambi sotto processo
all'Aja) Dini dichiara alla stampa che "da parte jugoslava c'è
la richiesta di un intervento più massiccio del settore privato
italiano, industriale e bancario, in vista anche delle grandi
nazionalizzazioni". Ed effettivamente gli affari sembrano andare a
gonfie vele: nel 1997 lo scambio commerciale fra i due paesi aumenta
del 22% rispetto al 1996 e nei primi due mesi del 1998 l'Italia
è addirittura il primo partner commerciale della Federazione
Jugoslava. Per chi non lo ricordasse fra la fine del 1997 e l'inizio
del 1998 matura la crisi kosovara che nel giro di pochi mesi
porterà alla guerra della NATO contro la Serbia.
La caduta del regime di Milosevic (settembre 2000) favorisce lo
scoppiare delle prime polemiche. In ottobre sono i sindacati della
Telekom Serbia che in contemporanea alla visita ufficiale a Belgrado
del presidente del consiglio Amato e del ministro degli esteri Dini,
lanciano pesanti accuse sui fondi provenienti dalla vendita a italiani
e greci finiti nella casse delle forze politiche che sostenevano
Milosevic. Ma in Italia nessuno si cura delle denuncie sindacali mentre
il nuovo governo serbo non pare interessato ad aprire scomodi dossier
che potrebbero coinvolgere tanti ex amici di Milosevic ora riciclati in
fieri assertori della svolta democratica. Nei mesi successivi la stampa
indipendente serbo-montenegrina prova timidamente a "scoprire un po' di
pentole": si parla di un incontro segreto a Roma fra Dini e Milutinovic
che avrebbe preceduto la firma del contratto e si parla soprattutto del
ruolo centrale svolto nelle trattative dall'ambasciatore jugoslavo in
Vaticano, Dojlilo Maslovaric, amico della famiglia Milosevic,. Ed
è proprio Maslovaric che in una intervista pubblicata da
"Repubblica" 16 febbraio 2001 fa scoppiare lo scandalo ammettendo
l'esistenza di tangenti pagate dagli italiani al governo serbo.
Tangenti che ammonterebbero al 3% degli 893mila marchi pagati dalla
Telecom Italia. Nel marzo 2002, mentre in Italia si comincia a parlare
della questione, il quotidiano belgradese "Nin" rivela la
volontà italiana di vendere la propria quota della Telekom
Serbia, vendita che verrà perfezionata il 28 dicembre. Gli
italiani vendono la loro parte per soli 195 mln di euro, cifra che
oltretutto comprende anche i debiti maturati nel frattempo dal governo
serbo, debiti pari a circa 60-75 mln di euro. Un bell'affare, non
c'è che dire!
Il 7 maggio di fronte alla commissione parlamentare
d'inchiesta sul caso Telekom Serbia, che aveva iniziato i sui lavori
nella primavera 2002, compare il faccendiere-attore-operaio Igor Marini
che denuncia tangenti pagate ai maggiori responsabili governativi del
tempo. È la bagarre. L'inizio di una vicenda grottesca che vede
protagonisti il giornale della famiglia Berlusconi e un incredibile
stuolo di personaggi sordidi che ruotano attorno al verminaio
parlamentare.
Non sappiamo se per l'acquisto della Telekom esponenti o
partiti del governo di centro sinistra abbiano preso soldi. Non ce ne
meraviglieremmo come non ci siamo meravigliati leggendo le rivelazioni
su come sono stati fabbricati i falsi dossier che dovevano inchiodare
Prodi, Fassino, Dini, Veltroni e compagnia bella. Rimaniamo convinti
che in certi ambienti "il più pulito puzza…". Ma non è
questo il problema centrale della vicenda. "Destra" e "sinistra"
parlamentare si sono scannate sulla questione delle tangenti ma hanno
dimenticato che il vero scandalo è constatare come il governo
italiano ha trattato la questione balcanica: mentre una guerra senza
quartiere, voluta soprattutto dalle cancellerie occidentali per
spartirsi le spoglie della ex-jugoslavia, si svolgeva a poche centinaia
di chilometri dai nostri confini, il governo italiano, con il sostegno
di tutta la classe politica di "destra" come di "sinistra", si lanciava
in una spregiudicata politica di penetrazione economica nell'area.
Prodi, Dini, Fassino e gli ambienti economici che li sostenevano
ritenevano che il perno di questa politica di penetrazione fosse la
Serbia, il più importante Stato della Regione dominato da
Slobodan Milosevic, il "signore della guerra" che dopo la pace di
Dayton era considerato da tutti, americani compresi, l'uomo chiave per
la stabilizzazione dei Balcani. L'acquisto della Telekom Serbia fu in
realtà un maxifinanziamento occulto che permise al regime di
pagare stipendi e pensioni arretrate: oggi sappiamo che per
narcotizzare il malcontento popolare Milososevic spese circa 490 mln di
marchi, quasi un terzo dei soldi incassati con la vendita. Dunque anche
grazie ai soldi italiani il regime poté continuare la propria
politica repressiva e criminal-affaristica, culminata nell'aggressione
alla maggioranza albanese del Kosovo. Anche grazie ai soldi italiani il
popolo serbo ha dovuto sopportare una guerra priva di ogni
giustificazione che, fra l'altro, si è conclusa con la
distruzione del Kosovo e con accordi di pace che per la parte albanese
si sono rivelati più svantaggiosi rispetto a quelli accettati da
Milosevic durante le trattative a Rambouillet nel gennaio 1999.
È questo il vero scandalo delle "Telekom Serbia".
È di questo che i vari Prodi, Dini, Fassino, Veltroni, D'Alema,
Rutelli, ecc. dovrebbero vergognarsi.
Antonio Ruberti
|
|