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Da "Umanità Nova"
n. 36 del 9 novembre 2003
Letture "Il soldato che disse no alla guerra Storia dell'anarchico Augusto Masetti (1888-1966)"
Laura De Marco "Il soldato che disse no alla guerra. Storia
dell'anarchico Augusto Masetti (1888 – 1966)" Edizioni Spartaco, pp.
147, euro 12
Nelle vicinanze della festa delle forze armate, una segnalazione non
meramente rituale è la monografia di Laura De Marco "Il soldato
che disse no alla guerra. Storia dell'anarchico Augusto Masetti (1888 –
1966)". Il libro è stato presentato fresco di stampa durante la
"Vetrina dell'editoria anarchica e libertaria" tenutasi a Firenze lo
scorso settembre, inaugurando così anche la collana "Il
risveglio" diretta da Piero Brunello.
Come rileva Fiorenza Tarozzi nella sua prefazione, il primo
merito del libro è quello di far riemergere l'uomo Masetti
dall'oblio in cui era ingiustamente finito. Soprattutto, l'operazione
è stata compiuta con un lavoro di ricerca serio ed accurato,
svolto dalla De Marco in gran parte a Imola presso l'Archivio Storico
della FAI. Non si tratta di un episodio isolato: il contributo alla
ricerca della De Marco si inserisce all'interno di un più ampio
lavoro di collaborazione dell'Archivio nei confronti di singoli
ricercatori e studenti o di progetti specifici (come il Dizionario
Biografico degli Anarchici Italiani), nella considerazione di fondo che
per un movimento politico l'attività di diffusione e di
contaminazione storico - culturale rientra tra i principali indicatori
di vitalità.
Le vicende del giovane Masetti nel periodo 1911 - 1914 sono abbastanza
note per chi conosce la storia dell'antimilitarismo italiano, ma la
lettura del libro risulta comunque interessante grazie alla precisione
e alla dovizia di particolari del racconto, che inoltre svela un intero
percorso umano in cui la sfida al militarismo assume una dimensione
esistenziale. Augusto, muratore e militante della Camera del Lavoro di
S. Giovanni in Persiceto, è richiamato per la seconda volta alle
armi in occasione della guerra di Libia; la sera del 29 ottobre
è l'ultimo ad essere sorteggiato per la partenza in
Tripolitania, in programma il giorno seguente. Alle sei di mattina, nel
cortile della caserma Cialdini di Bologna, mentre si radunano le truppe
in attesa del discorso di saluto del colonnello, un colpo parte dal
fucile di Masetti e ferisce ad una spalla il tenente colonnello
Stroppa. L'autore del gesto grida: "Viva l'anarchia, abbasso
l'esercito!". Mentre viene bloccato, si rivolge ai commilitoni
sbigottiti: "Fratelli, ribellatevi!". Gli viene rinvenuto in una tasca
un volantino antimilitarista che invita i soldati a mirare verso
bersagli diversi da quelli indicati dagli ufficiali; durante gli
interrogatori si dichiara anarchico rivoluzionario.
L'avvenimento scuote l'opinione pubblica: gli ambienti
borghesi organizzano manifestazioni a sostegno dell'esercito e della
guerra; ma dall'altra parte, con la nascita del Comitato Nazionale "Pro
Masetti", si compie la saldatura dell'antimilitarismo di anarchici,
socialisti e repubblicani, con gli istinti diffusi tra le classi
popolari, le quali conoscono l'esercito come strumento di repressione
interna di uno Stato iniquo e vivono la coscrizione come un tributo
odioso. Masetti diventa il simbolo dell'antimilitarismo popolare e lo
slogan "viva Masetti, abbasso l'esercito" si diffonde per gran parte
dell'Italia, nascono numerosi comitati locali e si tengono
continuamente comizi e manifestazioni.
Dato il clima politico, lo Stato preferisce evitare che
l'imputato diventi un martire (la pena prevista è la fucilazione
alla schiena) e, tramite la perizia di due psichiatri nominati dal
Tribunale di Venezia, Masetti viene dichiarato un "soggetto degenerato"
che ha agito in stato di "morboso furore" a causa di un "acuto stimolo
passionale". L'11 marzo 1912 la sentenza: il fatto non costituisce
reato e Masetti è internato nel manicomio giudiziario di
Montelupo Fiorentino (lo stesso in cui Giovanni Passanante aveva
terminato i suoi giorni). L'agitazione per la liberazione di Masetti
ottiene però che il nostro venga trasferito nel manicomio civile
di Imola (gennaio 1914), dove né il direttore né gli
infermieri - la cui lega aderisce al comitato Pro Masetti - credono
alla pazzia del degente. I comitati richiedono una nuova perizia che
confermi la "ritrovata" sanità mentale del Masetti, il Tribunale
di Venezia accoglie l'istanza ma fa trasferire il degente presso il
manicomio di Brusegana (Padova), nominando due periti che tergiversano
in attesa che diminuisca l'attenzione nei confronti della vicenda.
Nel 1914 la campagna antimilitarista acquista nuovo slancio
con il caso di Antonio Moroni, giovane socialista rivoluzionario che
viene destinato ad una compagnia di disciplina a causa del suo credo
politico. Il 7 giugno 1914 ad Ancona, al termine di un comizio pro
Masetti e Moroni, le forze dell'ordine uccidono tre manifestanti:
è l'inizio della "Settimana Rossa". Tra gli insorti si diffonde
lo slogan "Viva Masetti, abbasso il re". Tuttavia la fine
dell'insurrezione, la successiva partecipazione dell'Italia al
conflitto mondiale e la rottura del fronte antimilitarista che aveva
costituito i comitati (con molti personaggi di spicco che passano nelle
file dell'interventismo), fanno dimenticare in fretta il caso Masetti.
Approfittando della situazione, viene emessa la seconda perizia
psichiatrica che lo definisce mentalmente anormale e socialmente
pericoloso. Comunque Masetti resta un esempio per tanti giovani che
scelgono di disertare la chiamata alle armi in occasione della I guerra
mondiale.
Fin qui il periodo più noto della vita di Masetti. Ma
la narrazione continua svelando tutta la dignità e la coerenza
del protagonista. Tornato nel manicomio di Imola, Masetti approfitta
della libertà concessagli per frequentare anche le riunioni
serali degli anarchici locali: interviene il sottoprefetto che ottiene
dal direttore del manicomio un trattamento più restrittivo.
Tuttavia nel 1919 il degente viene dato in affidamento ad una coppia di
imolesi, riprende l'attività di muratore e può formarsi
una propria famiglia. Nel settembre 1935 chiede di poter disertare le
adunate di regime per la guerra d'Etiopia, ma viene immediatamente
destinato al confino per 5 anni a Thiesi (Sassari). Durante il
trasferimento "dà prova di squilibrio mentale" e giunto a
destinazione è rinchiuso nel locale manicomio, dove resta circa
tre mesi. Tornato a Imola nel maggio 1940, finisce ancora in carcere il
13 settembre 1943 durante la retata operata dalle truppe naziste che
prendono possesso della città. L'anno successivo resta ucciso in
combattimento il figlio Cesare, partigiano della 36° Brigata
Garibaldi. Nel dopoguerra Augusto prosegue l'attività
antimilitarista in vari modi, ad esempio correggendo in maniera
originale i manifesti di chiamata alle armi. Continua a frequentare gli
ambienti anarchici fino alla morte, che avviene nel marzo 1966 quando
è investito dalla motocicletta di un vigile urbano.
Il libro (rielaborazione della tesi di laurea dell'autrice)
avrebbe potuto approfondire maggiormente il contesto e le vicende del
movimento antimilitarista che si sviluppano attorno al protagonista; si
è invece preferito puntare sulla sobrietà e la
scorrevolezza del testo, che effettivamente si legge d'un fiato come un
romanzo. Il punto di vista dell'autrice si mantiene distaccato per
evitare di cadere nella trappola dell'agiografia, ma è una
scelta che non penalizza il movimento di empatia del lettore verso il
protagonista del libro: l'impostazione risulta particolarmente
azzeccata nella ricostruzione del gesto di rivolta di Masetti e del suo
stato d'animo nelle ore fatidiche. Di grande interesse sono le numerose
testimonianze di commilitoni, ufficiali ed amici intimi visitati la
sera prima in libera uscita: punti di vista inconciliabili che, nella
necessità di un'interpretazione critica, costituiscono un
approccio analitico ed efficace per comprendere al meglio lo stato
d'animo del giovane Augusto Masetti quel 30 ottobre 1911 alle 6 di
mattina, quando compie un atto di rivolta individuale che racchiude i
contenuti e lo slancio di una rivolta collettiva.
bob
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