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Da "Umanità Nova" n. 36 del 9 novembre 2003

Il gigante malato
La Fiat, un anno dopo


È passato un anno da quando la Fiat ha annunciato lo stato di crisi ed iniziato l'ennesima ristrutturazione pesante, con oltre 8.000 dipendenti cacciati fuori dalle sue fabbriche e 16 stabilimenti da chiudere in giro per il mondo. La versione ufficiale vuole che oggi lo stato di crisi sia dichiarato chiuso e che la ripresa sia ormai in atto. L'accordo recente con GM che procrastina di un anno il diritto di esercitare la famosa opzione "put" è stato salutato dalla generalità dei commentatori come un segnale positivo che fa ben sperare per il futuro dell'auto in Italia. Sui muri di Torino campeggia un ridicolo manifesto propagandista, firmato dal candidato trombato di Forza Italia alla carica di sindaco, che recita: "la Fiat investe, i lavoratori fanno squadra, il governo stanzia 8 miliardi di euro". Cerchiamo di capire esattamente quanto sta accadendo.
L'anno appena trascorso rappresenta un anno chiave per la Fiat e per la ridefinizione della sua strategia di sopravvivenza, dopo un periodo che ne aveva seriamente pregiudicata la tenuta a breve. La proprietà, cioè gli Agnelli, hanno dovuto cambiare registro ed imparare che nella vita può presentarsi il momento in cui anche chi si crede onnipotente deve fare delle cose non proprio gradite. La salita al potere di Umberto è coincisa con la necessità di concentrare tutte le risorse disponibili nel rilancio del core-business, cioè nel settore automotive, dopo che da almeno 15 anni il presidente dell'Ifil predicava, inascoltato, la necessità di liberarsi dell'auto per diversificare su altri settori. Morto Gianni, sostituito Fresco, rimosso Galateri, la nuova leadership Umberto-Morchio ha fatto quello che doveva fare per dare un'ultima chance al gigante malato (terminale).

Tutto quello che poteva essere venduto è stato liquidato per fare cassa, restituire un po' di debiti, abbassare il peso degli interessi e riprendere fiato. Il futuro è tutto legato al successo dei nuovi modelli, che il Lingotto ha ricominciato a sfornare dopo un lungo periodo di semplici restyling. La Fiat sembra disposta a prendere atto dei propri fallimenti e decisa a non commettere altri errori industriali. Proviamo a partire dal 2000 per capire il cambiamento di strategia.

Nel 2000 la Fiat fallisce l'acquisizione di Volvo. Matura l'idea che solo un accordo strategico con un grande partner possa garantire un futuro all'azienda, troppo piccola per competere in un mercato di sostituzione e destinata ad essere fagocitata nel processo di eliminazione dei produttori deboli. La famiglia sceglie GM per gestire un'uscita graduale e scaglionata dall'auto, pensa di riallocare le risorse finanziarie ricavate in altri settori meno ciclici, in particolare il bancario-assicurativo, le tlc, l'energia. Fiat scambia il 20% di Fiat Auto con il 5% di GM e comincia a guardarsi attorno per capire cosa fare da grande. Nel 2001 sembra presentarsi una ghiotta occasione. Facendo da sponda a Edf, Fiat organizza la scalata a Montedison, da cui spera di ottenere una quota importante in Edison (2° produttore nazionale di energia elettrica) e una opzione per prendersi subito Fondiaria (e in prospettiva magari anche la Sai) per fonderla con Toro. Nell'estate del 2001 la Fiat sembra fortissima, ha la collaborazione delle principali banche, osa sfidare il potere supremo di Mediobanca attaccandola nelle sue roccaforti.
Nel giro di pochi mesi la sua strategia entra in crisi. La recessione blocca i consumi, la sua quota nel mercato dell'auto europeo comincia a precipitare, i suoi debiti consolidati cominciano a preoccupare le autorità di controllo e gli analisti, le banche tirano il freno, le agenzie di rating martellano sul possibile declassamento. La spirale si avvita progressivamente fino alla dichiarazione dello stato di crisi, nell'ottobre del 2002. Crolla tutta la facciata, governo e Confindustria non perdonano nulla, emergono tutte le magagne di un'azienda che ha investito poco e male, ha una qualità scadente, è vissuta di assistenzialismo e protezionismo, ha un modello autoritario di relazioni sindacali, che schiaccia qualunque individualità creativa. Saltano le teste e cambiano gli A.D. con un ritmo impressionante. Poi muore l'Avvocato e piano piano le acque si calmano. Il timone viene preso da Umberto con la precisa missione di salvare il salvabile. Fuori quindi da tutti i settori non strategici, valorizzazione del settore auto fino a quando non sia possibile venderlo a prezzi ragionevolmente accettabili. Se questo non dovesse essere possibile a breve, occorre organizzarsi per resistere soli a lungo.

L'insediamento di Umberto avviene dopo una crisi catartica, dopo che Fiat ha rischiato di essere nazionalizzata, scalata da Colaninno, svenduta a GM, ecc. ecc. La famiglia si rimpossessa di Fiat finanziando (moderatamente) l'aumento di capitale di luglio 2002 e scaricando sul mercato il peso principale dell'1,8 miliardi di euro necessari. Banche, Confindustria e governo vengono "riavvicinate" perché garantiscano un atteggiamento più morbido. Nell'autunno partono i nuovi modelli e si tenta la rimonta, approfittando anche del fatto che i concorrenti diretti (Renault, Peugeot, Ford, Opel) hanno modelli un po' datati che lasciano aperti più spazi.

In questo senso si colloca il negoziato con GM che ha portato al rinvio della put. Il colosso di Detroit ha svalutato a gennaio la sua partecipazione in Fiat del 90%, ammettendo in questo modo di aver preso una cantonata tre anni prima facendo l'accordo con Fresco. Tuttavia l'atteggiamento degli americani è attendista ed il contenzioso con Fiat resta aperto. GM ritiene che la clausola put non sia più valida perché Fiat ha messo in campo operazioni straordinarie (es. due aumenti di capitali e la vendita di Fidis) che non rientravano nei patti. Intanto GM non ha partecipato all'aumento di capitale di Fiat Auto, lasciando che la sua quota scendesse dal 20 al 10%. Si è tenuta aperta la possibilità di versare la sua quota entro la fine del 2004. Quindi vuole aspettare per vedere come vanno le cose al Lingotto. È logico che entrambi i partner avessero interesse a rimandare al 2005 l'efficacia della clausola put: per Fiat significa comprare tempo sperando nel risanamento, per GM significa stare alla finestra senza dover scucire altri dollari ed imbarcarsi fin da subito in lunghe ed incerte vicende legali.

Resta del tutto indefinito quale sarà il destino ultimo della presenza industriale Fiat, in particolare nel nostro bel paese. La ricerca di costi più compressi tende a privilegiare in questo momento la Polonia o la Turchia, per cui i nuovi modelli lambiscono soltanto gli stabilimenti italiani. Molte produzioni sono già destinate a chiudere ad una data precisa, Mirafiori resta uno stabilimento ad alto rischio. I conti sono in leggero miglioramento, ma le incognite restano tutte. Il fatturato del settore auto è sceso  nei primi nove mesi del 2003 da 16,4 a 14,3 miliardi di euro e le perdite sono scese "solo" da 1.163 a 882 milioni di euro. A livello di gruppo i debiti restano molto alti (26,5 miliardi di euro a fine settembre), con una grande quota in scadenza nel 2004, ma non ci sono più Toro e Fiat Avio a generare importanti flussi di cassa che consentano un rientro costante. Al di fuori dell'auto, solo Cnh, Magneti Marelli, Business Solution e Ferrari sono in utile o in pareggio operativo, mentre perdono Iveco, Comau e Teksid. In tutti i settori i margini operativi restano pericolosamente bassi.

Fiat si sta attrezzando per produrre di meno, per ridurre i volumi, per tagliare la capacità produttiva. Può significare certamente qualcosa il mantenimento di una autonomia progettuale e strategica nel nostro paese, ma che resti sola, che finisca alla GM, che finisca alla Toyota, o che finisca alla Volkswagen, rimane il fatto che gli insediamenti produttivi italiani sono destinati ad un drastico ridimensionamento.
Se vi sarà un rilancio del gruppo, non avrà la fisionomia del passato che ben conosciamo: un abbattimento di organico, un taglio dei costi, un giro di vite sulle condizioni di lavoro, una ridefinizione autoritaria dei rapporti di forza, una ripresa dell'accumulazione sulla pelle dei lavoratori subordinati. Non mancherà nulla di tutto questo, naturalmente, ma alla fine la probabilità che il complesso produttivo venga consegnato, "ripulito", chiavi in mano o "spezzatino", ad uno o più competitori solidi resta decisamente elevata. Potrebbe essere l'ultimo contributo che la Fiat fornisce alla globalizzazione italiana.

Renato Strumia








 

 



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