Da "Umanità Nova"
n. 36 del 9 novembre 2003
Iraq Il tunnel della morte
Chissà in quanti si ricordano dell'incidente della
Stark avvenuto nel Golfo Persico nel 1987? Nell'area divampava il
conflitto Iraq-Iran e due caccia-bombardieri Mirage iracheni "per
errore" colpirono con i loro missili la fregata Usa Stark facendo
strage tra l'equipaggio. L'incidente si risolse con qualche messaggio
di scuse e condoglianze, dato che l'allora governo Reagan contava
proprio su Saddam Hussein per contrastare l'Iran khomeinista, con buona
pace dei 37 marinai americani vittime della politica internazionale del
proprio paese.
I militari americani morti in Iraq nella guerra in corso
assommano invece, al 1 novembre, a 234 caduti per azioni belliche
più altri 102 in incidenti; nelle ultime settimane la media
quotidiana dei morti è salita, in seguito al moltiplicarsi degli
attentati e degli attacchi militari da parte delle diverse
organizzazioni della guerriglia irachena, in grado di colpire anche con
armi pesanti militari, strutture e mezzi dell'esercito di occupazione,
compresi carri armati ed elicotteri: i comandi Usa ormai contano oltre
trenta attacchi giornalieri, ossia il doppio di un mese fa.
E novembre è iniziato con l'abbattimento di un elicottero da
trasporto e la morte di altri 15 americani nello stesso giorno.
La gravità della situazione è ormai persino
ammessa dal governo Usa con parole che contrastano in modo clamoroso
con le vincenti dichiarazioni della scorsa primavera.
Lo stesso Bush non ha potuto negare che "l'Iraq è un
posto pericoloso", mentre il segretario di stato Colin Powell ha
riconosciuto che "non pensavamo che il conflitto fosse così
lungo e intenso" e il segretario della Difesa Donald Rumsfeld, sempre
così agguerrito, si è chiesto "se riusciamo a catturare,
uccidere, dissuadere i terroristi più di quanti ne vengano
reclutati".
Ma tale crescente difficoltà ad uscire dal tunnel
politico-militare in cui gli Usa e i loro alleati si sono infilati
è confermata anche da altri dati. In primo luogo pesa la
persistente indisponibilità dei governi di Francia, Germania e
Russia ad inviare truppe e a sostenere economicamente la
normalizzazione in Iraq, anche dopo l'avallo dell'Onu. Tale decisione
costringe il Pentagono a rivedere il programma per la riduzione del
numero di militari Usa dislocati in Iraq.
Secondo quanto rivelato poche settimane fa dal Washington Post
tale piano doveva essere avviato nel secondo trimestre del 2004 ed
aveva lo scopo di ridurre entro la fine del 2005 a circa 50.000 le
attuali 130.000 unità impiegate. Adesso invece si parla di un
ulteriore incremento a breve termine e della partenza con destinazione
Iraq di 4 mila militari della brigata Stryker con nuovi mezzi
corazzati, dato che le previste "sostituzioni" sul campo appaiono del
tutto incerte, dopo che è apparso controproducente l'ingresso di
10.000 militari turchi in un paese dove i turchi sono storicamente
considerati un nemico nazionale e dove una tale presenza determinerebbe
la sollevazione nel territorio curdo.
Il turn over sarebbe quindi affidato a contingenti di nazioni quali il
Giappone peraltro già presente, il Pakistan, la Corea del Sud o
a qualche paese ex-socialista come la Polonia e l'Ucraina già
operanti con migliaia di militari assieme a quelli britannici e
italiani.
Si tratta di un puzzle sempre più complicato anche
perché resta irrisolto il problema nodale della ricostituzione
di un esercito nazionale iracheno, al servizio di un possibile governo
formato da iracheni e sotto la tutela "democratica" degli Stati Uniti,
senza il quale l'amministrazione americana non può permettersi
alcun disimpegno sul campo, se non vuole regalare ad altri gli affari
legati al petrolio, agli oleodotti e alla ricostruzione, affari che
erano e restano al centro dell'aggressione imperialista. La
centralità di tale questione è stata con tutta evidenza
ben intuita dai gruppi della resistenza irachena che continuano a
colpire con spietatezza i propri connazionali accusati di intesa con
l'occupante, come dimostrano le continue uccisioni di iracheni
assoldati, agenti di polizia ed anche civili sospetti di
collaborazionismo.
Il terrore chiama terrore, la guerra chiama guerra, la morte chiama morte.
Uncle Fester
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