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Da "Umanità Nova"
n. 37 del 16 novembre 2003
Morire di lavoro
Morire
di lavoro pare fatto normale, conquista le prime pagine sui giornali se
l'infortunio mortale assume certi connotati, come quello del crollo di
un intero palazzo. La morte sul lavoro senza "botto" non fa notizia. E
così quotidianamente si compie nel nostro paese una strage
silenziosa. Ricordiamoci però che gli infortuni sul lavoro, pur
non mortali, provocano anche gravi invalidità e danni permanenti
alla salute. Insomma, lavorare è rischioso, soprattutto in certi
settori. E certi rischi non tutti se li vogliono prendere. Così
succede che nel settore dell'edilizia trovino lavoro con
facilità tanti immigrati, anche senza permesso di soggiorno, che
assommano allo status di "clandestini" quello di "lavoratori in nero".
Chi magari una casa non la trova in affitto e vive in situazioni
fatiscenti e precarie, lavora alla costruzione delle "nostre" case, dei
"nostri" palazzi. Le statistiche del settore edile dicono che dal 1998
al 2002 i morti nei cantieri sono stati 1487 e che nel 2003 sono
già stati 185. A Genova il muratore rimasto ucciso sabato 8
novembre sotto le macerie era albanese, con permesso di soggiorno,
forse non assunto regolarmente. Sta di fatto che proprio nel settore
dell'edilizia, così rischioso, così pericoloso, trovano
un'occupazione molti clandestini, così come in agricoltura. La
ragione è presto detta: minori controlli, più
facilità a nascondere la reale situazione dei lavoratori, basso
costo della manodopera. E con la frammentazione degli appalti in una
miriade di subappalti affidati a microaziende, anche le grandi opere
pubbliche sono occasione per lo sfruttamento di chi è più
nel bisogno e più ricattabile. Nessuno più si nasconde
che il problema immigrazione è un problema di tutela del
lavoratore straniero o di suo mero sfruttamento. L'impianto della legge
Bossi-Fini è nell'ottica dello sfruttamento e
ricattabilità sia di chi ha un permesso di soggiorno, sia di chi
è clandestino e destinato a restarci, vista
l'impossibilità di una regolarizzazione. E neanche con la
Turco-Napolitano c'era da stare allegri. Bisogna allora dire con
chiarezza che non ci sono differenze tra lavoratori, che l'unica
differenza è tra sfruttati e sfruttatori, che è
necessario abrogare la legislazione liberticida sugli stranieri e
consentire a tutti un'esistenza libera e dignitosa. Consentire a tutti:
italiani e non italiani; perché lo sfruttamento dell'altro,
dello straniero, non è che il modello dello sfruttamento cui
tutti i lavoratori sono sottoposti e saranno sempre più
sottoposti, se non si costruisce una ferma e articolata opposizione
all'attuale stato di cose. Nella rossa Genova che si prepara d essere
città europea della cultura 2004, si aveva fretta di finire i
lavori in un cantiere pubblico e un uomo, albanese, ci ha rimesso la
vita: voleva solo guadagnarsi da vivere ed invece è morto.
Contro l'ipocrisia dei politicanti di destra e di sinistra, che si
sgomitano intorno a questo ennesimo cadavere straniero (già
dimenticati i naufragi degli ultimi mesi?), ricordiamo che solo
l'unione dal basso di chi cerca casa, lavoro, dignità,
benessere, a prescindere dalla nazionalità, potrà
spezzare questa situazione oppressiva e costruire una società
non gerarchica e solidale: la divisione straniero/non straniero
è solo uno dei tanti strumenti di dominio e controllo della
società, icona dello sfruttamento, e come tale va combattuta.
Simone Bisacca
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