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Da "Umanità Nova"
n. 37 del 16 novembre 2003
America Latina Un continente in bilico
Che
cosa sta succedendo in America latina? In quel cortile di casa
(backyard) che ogni potere statunitense ha inteso, almeno dalla
dottrina Monroe dei primi decenni del XIX secolo come l'emisfero a
portata di mano, in cui essere sicuri che nulla e nessuno si
opporrà ai voleri di zio Sam?
L'ignominiosa fuga di Goni Sanchez Solada dallo scranno
presidenziale di Bogotà a qualche aurea residenza in Florida,
nonostante l'appoggio della Casa Bianca sino a qualche ora prima della
sua partenza, suona come un campanello d'avvertimento per Washington,
peraltro l'ultimo di una serie contraddittoria di elementi politici
ostili, per così dire, alle visioni imperiali dei
neoconservatori americani al potere.
In Venezuela, fonte di importazione petrolifera per gli Usa, il vecchio
golpista fallito al potere legale resta in sella nonostante la canea
reazionaria dei media e dell'élite locale si scagli contro ogni
giorno rinfacciandogli promesse radicali peraltro non sempre mantenute
a favore dei diseredati e degli equilibri di potere locale leale agli
interessi forti stranieri. In Argentina l'ultimo (in ordine di
apparizione) presidente Kirchner negozia una ristrutturazione dello
stratosferico debito estero con il Fmi tenendo duro su condizioni
accettabili per una economia un tempo tra le prime dieci del mondo
industriale ed oggi ridotta a metà strada tra secondo e terzo
mondo. In Brasile il peteista Lula sembra proseguire nel suo programma
socialdemocratico e cerchiobottista, che alimenta disillusioni a destra
(parte della comunità finanziaria) e a sinistra (qualche
comunista doc e Sem terra alla prova dei fatti), e quindi mettendosi al
centro di una dialettica politica e forse sociale che gli potrà
garantire un successo equilibrato memore della lezione di Allende.
Tirando le fila e immaginando che l'America latina sia un
tutt'uno, il che ovviamente non è, possiamo seguire alcuni
quadri di riflessione tra loro reciprocamente connessi. Il primo si
lega al posto che quel continente si ritaglia sul piano dell'economia
globale: una parte sempre minore di risorse globali arriva da quelle
parti sotto forma di investimenti diretti, di capitali in cerca di
rendimenti alti - la vicenda dei bond esteri vanificati in Argentina e
l'impossibilità a tutt'oggi che i detentori ricchi del nord
siano tutelati dal governo argentino a rischio default la dice lunga su
quanta acqua è passata dal 1984 quando il pesos messicano mise
in ginocchio le casse di risparmio americane obbligando il governo a
varare un grosso piano di ripianamento dei debiti e di appropriazione
delle ricchezze messicane, cosa che oggi risulta impraticabile in
Argentina. La quota della ricchezza globale che si dirige verso il
continente latino-americano è sempre in via di costante
diminuzione anche sotto forma di aiuti allo sviluppo da parte dei
grossi finanziatori mondiale, ossia giapponesi europei e americani,
salvandosi solo per il sistema ancora in piedi delle nazioni unite (in
primo luogo il Pnud).
In secondo luogo, tale percezione diffusa alimenta un diniego
crescente verso quelle politiche di apertura ai mercati globali non
controllate direttamente dai governi locali, che quindi privatizzano e
liberalizzano, magari in maniera più rallentata del passato, ma
solo con programmi di cui le élite locali di governo controllano
e sono beneficiarie. Ciò comporta pertanto il gioco di attrito e
resistenza verso quelle forme di globalizzazione regionale avviate
attraverso zone di libero scambio quali, nella fattispecie, l'ALCA che
estenderebbe di fatto i benefici perversi del NAFTA dall'Alaska sino
alla Terra del fuoco, senza alcuna gestione dei governi nazionali.
In tale scenario, quelle che un tempo sarebbero state
etichettate come borghesie nazionali - in quelle latitudini sempre
compradore - intuiscono come una ragione di sopravvivenza propria li
spinga a sposare una retorica sinistrese in grado di mobilitare media e
opinione pubblica a loro sostegno, visto che tale politica li conduce
verso una rotta parzialmente collidente con la potenza d'area
dominante. Quanto poi questo spazio locale equidistante da una politica
realmente a tutela e sostegno dei diseredati del continente e da una
politica tutta liberista nell'ambito economico e finanziario abbia
speranze di successo è un fatto di cui verificare in pratica
senza pregiudizi ideologici; il ricompattamento di blocchi sociali
egemoni a livello nazionale si scontra infatti con una loro
frantumazione che polarizza, come nel resto del mondo d'altronde,
ricchi e poveri snellendo la piramide globale proprio nella zona
intermedia dove i ceti medi vedono sempre più erosi i loro
margini di privilegio per essere spinti verso giù (solo pochi
riescono ad agganciarsi al treno della globalizzazione e vengono
trainati verso l'alto).
Infine, in tale scenario di miserie suburbane dei ghetti
metropolitani e di povertà rurale e campesina in grado di
formare organismi di massa ancora vitali nella consapevolezza di una
disperata corsa contro il tempo della loro africanizzazione, si innesta
l'elemento antropologico, per così dire, testimoniato dal fatto
che la maggioranza dell'emisfero è di origine india.
L'indigenismo è tuttora la questione rimossa, erede del
genocidio del XVI secolo, che tuttavia risalta alla vista di tutti,
specie in una epoca di differenze sospinte, articolate, quasi promosse
in una divisibilità infinita per meglio imperare. Lingua, fedi,
tradizioni, costumi, sostanzialmente estranei alla modernità
bianca e meticcia costituiscono una risorsa sotterranea presso cui
attingere non solo come memoria di resistenza, ma anche come luogo
della fantasia creativa per ribaltare un mondo letteralmente micidiale,
in favore di una reinvenzione di società alternativa e altra di
cui tutti abbiamo bisogno, senza nostalgia in un passato affatto
glorioso (pensiero comunitarista), ma con desiderio di ricreare
innovando pratiche associative, aggregative, decisionali, solidali di
cui una cultura sterminata serba un potenziale ancora da elaborare,
come insegnano le comunità chiapaneche.
Salvo Vaccaro
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