![]() Da "Umanità Nova" n. 38 del 23 novembre 2003 Nassirija: la vendetta di Imdugud Ormai era questione solo di tempo: la guerra contro le truppe
d'occupazione straniere ha colpito anche il contingente militare
inviato in Iraq dal governo italiano, con un numero di soldati morti
mai registrato dalla fine del secondo conflitto mondiale. Politici ed esperti da salotto televisivo si sono affannati nell'interpretare, decodificare, spiegare tale massacro, attribuito ad un imprecisato "terrorismo internazionale" che assume sembianze non meno mitologiche della misteriosa forza maligna incarnata appunto da Imdugud. Che un simile micidiale attentato esplosivo abbia anche risvolti terroristici è indubbio, come testimoniano le numerose vittime civili sia italiane che irachene, come è terroristico qualsiasi bombardamento di un centro abitato; ma è comunque innegabile che si è trattato di un atto di guerra, seppure non ortodossa, contro un comando militare di truppe occupanti, composte da soldati di professione pagati, addestrati, equipaggiati ed armati per svolgere una missione che solo l'ipocrisia dominante può definire di pace. Il fatto che a fianco dell'attività di presidio e
contrasto, mantenimento dell'ordine pubblico, ricerca di armi, arresto
di sospetti ed addestramento degli agenti della costituenda polizia
irachena, i militari italiani specializzati in questo genere di
operazioni, svolgessero anche funzioni di assistenza civile e
sanitaria, non cambia assolutamente la natura della loro missione;
qualsiasi esercito d'occupazione, infatti, cerca di guadagnarsi un
minimo di simpatia da parte della popolazione locale, fornendo cibo,
caramelle e generi di prima necessità. A Nassirya, è invece andato in onda uno spezzone di una
guerra che non si è mai conclusa e che in questi mesi ha
seminato la morte tra i "liberatori" anglo-americani; tale conflitto,
nelle ultime settimane, aveva già registrato un allargamento.
Erano state infatti colpite organizzazioni sovranazionali quali l'Onu e
la Croce Rossa nonché l'ambasciata turca; veniva ucciso anche un
ufficiale polacco che si aggiungeva alla già lunga lista di
caduti di nazionalità americana, britannica, danese e ucraina. L'ipotesi di un intervento militare turco è stata presto accantonata, in Polonia si mette in discussione il rinnovo della missione, mentre il governo giapponese, dopo aver visto la sorte toccata agli italiani ha deciso che non invierà militari e quello sud-coreano ha ridotto da 5 mila a 3 mila il numero dei propri soldati in partenza; la Spagna invece ha ritirato la rappresentanza diplomatica. E lo stesso luttuoso governo italiano, dopo l'alluvione di retorica, fermezza e orgoglio nazionale, dovrà rivedere i suoi disegni di valvassino imperiale, riavvicinandosi all'asse Germania-Francia-Russia, dato che persino negli ambienti militari emergono ormai dubbi sul senso della sua politica interventista. La guerra in Iraq ha infatti inchiodato in Mesopotamia
l'imperialismo statunitense che prospettava decenni di conflitti
globali ed immancabili vittorie; infatti se aumenta il numero delle
proprie truppe rischia un'escalation vietnamita, se inasprisce le
rappresaglie incrementa la resistenza popolare, se abbandona il campo
perde assieme alla guerra, gli affari legati al petrolio e la propria
influenza strategica nell'area. Se il nemico rimane invisibile, di certo c'è un dato: se è vero - come teorizzato dagli storici militari - che un movimento di guerriglia per sopravvivere necessita almeno del sostegno del 10% della popolazione, dietro gli oltre trenta attacchi giornalieri contro le forze d'occupazione e i continui sabotaggi degli impianti petroliferi, vi deve necessariamente essere la condivisione attiva di consistenti settori popolari che attraversa tutte e tre i principali gruppi (sciiti, sunniti, kurdi), così come sono verosimili appoggi esterni da parte di stati e gruppi capitalisti - neanche troppo nell'ombra - parti in gioco nel più generale scontro che contrappone oligarchie e interessi economici. Per loro i morti non rappresentano certo un problema etico, siano questi iracheni, americani o europei. Nell'indifferenza degli dei e dei mortali, facile prevedere che altro sangue scorrerà tra il Tigri e l'Eufrate. Uncle Fester
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