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Da "Umanità Nova" n. 38 del 23 novembre 2003

I dannati del cemento
Genova/Italia: morire di lavoro


Il recente incidente sul lavoro che è costato la vita al giovane muratore albanese Albert Kolgjegja (morto l'8 novembre, schiacciato da una soletta di cemento nel crollo di un edificio nel porto di Genova), nella sua "normalità" (quasi tre morti sul lavoro al giorno in Italia, la maggior parte in settori a "rischio" di cui l'edilizia è quello più rappresentativo) potrebbe essere archiviato rapidamente - così come hanno fatto i mass-media sull'onda della morte dei militari italiani in Iraq - se non ponesse una serie di questioni attinenti il mondo del lavoro (e non solo) di estrema attualità e rilevanza. Le cito senza ordine di priorità. La prima è quella del lavoro edile e delle sue caratteristiche; la seconda è quella della sicurezza sul lavoro; la terza è quella più generale dell'immigrazione; la quarta è quella delle grandi opere (pubbliche o semipubbliche) che imperversano in città come Genova alla vigilia di grandi avvenimenti.

Edili
Racconta un compagno, da decenni nel settore, sempre in bilico tra dipendenza da mini e microaziende (gestite, quando va bene, con criteri paternalistici) e piccoli lavori in proprio (tappulli, in genovese), di lavoro sempre precario, di licenziamenti senza giustificazioni, di cedolini paga irregolari, di mancati versamenti alla Cassa Edile, di mancato rispetto delle qualifiche, di salari bassi e di ritmi di lavoro estenuanti, di caporalato diffuso, di manodopera (immigrata) senza nessuna preparazione, di condizioni di lavoro pericolosissime e di mancato rispetto di ogni misura di sicurezza. Tutto quel repertorio, insomma, che ha anticipato sistematicamente l'infame lavoro interinale e l'altrettanto infame "legge Biagi".

Legge 626
La tanto sbandierata legge sulla "sicurezza" (con le sue propaggini di inutili commissioni aziendali e di altrettanto inutili delegati dei lavoratori) non riesce ad intervenire sulla caduta di calcinacci in un qualsiasi ufficio pubblico, figuriamoci sui pericoli che corrono i lavoratori di una qualsiasi azienda manifatturiera né, in specifico, nelle attività edilizie che sono storicamente l'esempio dell'esposizione totale a rischi mortali. Sa, chiunque abbia lavorato in fabbrica, quanto sia incompatibile l'utilizzo di attrezzature di sicurezza e di indumenti protettivi con le normali attività lavorative che sono richieste: caschi, calzature rinforzate, occhialoni (e per gli edili, imbragature, moschettoni, ecc.), fanno bella figura sui cartelloni e i manuali non certo addosso a chi è obbligato a tenere i ritmi di lavoro che sono richiesti. Ma se non li indossi e succede qualcosa, la responsabilità è tua, la "buona legge" è salva. E poi se ti cade qualche tonnellata di cemento addosso (perché qualche affermato architetto ha fatto calcoli con superficialità) a che ti sarebbe servito l'elmetto?

Immigrati
La nicchia in cui sono inseriti i "regolari" albanesi è proprio quella dell'edilizia: lavoro, apparentemente, non qualificato; facilità di assunzione, almeno in periodi di boom edilizio come è attualmente per Genova. Ricattabilità per il rinnovo dei permessi di soggiorno e disponibilità ad accettare paghe da fame e ritmi altissimi, fanno degli albanesi (come di altri gruppi etnici: rumeni, ecuadoregni, ecc.) la manodopera ideale per lavori precari, faticosi e pericolosi. Accade così che persone che, come si dice, "non hanno mai preso una cazzuola in mano" diventino i "dannati del cemento" nella ristrutturazione selvaggia di una città che li sta espellendo dai tuguri del centro storico nei quali vivono.

Grandi opere
Genova è tormentata da più di dieci anni (per non risalire più indietro) da una serie infinita di grandi lavori. Dal nuovo look delle stazioni ferroviarie di Italia ‘90, al maquillage del "salotto buono" (Piazza De Ferrari, palazzo Ducale e dintorni) per il vertice G8 del 2001, all'attuale ennesima ristrutturazione del vecchio porto per la Genova, capitale della cultura, del 2004. Il tutto contornato da una eterna metropolitana (che costerà più del tunnel sotto la Manica, che servirà a poco se non a garantire commesse alla declinante Ansaldo) e da nuovi mega-centri commerciali (Fiumara, Campi). Ma tutto questo ricadrebbe della normalità italica se non si verificasse in una città da sempre (salvo rare eccezioni) amministrata da giunte di sinistra e che ha visto quella attuale rieletta con percentuali bulgare. Se è vero che di notte tutti i gatti sono grigi, è altrettanto vero che la lobby politico-amministrativo-affaristica che governa Genova in quanto a nefandezze non ha nulla a che invidiare ad altre di segno opposto e di zone più meridionali del paese (magari potremmo dire, con una battuta macabra, i suoi morti li seppellisce sotto il cemento piuttosto che dentro il cemento). È un sistema di potere consolidato e ben radicato che distribuisce prebende ad intellettuali e professionisti di rango (architetti, urbanisti, ecc.) e a cooperative (magari edili) del suo stesso segno politico. E a proposito di ciò, la malacoscienza sindacale si è espressa, anche nel caso di Albert, con le ripetute interviste a un dirigente della CGIL che, trasudante untuosa commozione, premetteva puntigliosamente - ad ogni dichiarazione sulle condizioni di lavoro degli edili - la precisazione che non tutte le aziende del settore erano da considerarsi fuori o ai confini della legge. Certo, su una cosa ha ragione: ci sono quelle piccole e rapaci che arraffano le briciole (di sub-appalto in sub-appalto) sfruttando all'inverosimile i lavoratori, poi ci sono quelle grandi, rispettabili, che fanno lo stesso, ma con più stile, sfruttando sinergie, consociazione e parentele politiche. Non hanno diritto ad una buona difesa d'ufficio da parte dei "rappresentanti ufficiali" dei lavoratori?

E qui il cerchio si chiude, ritorniamo alla morte di Albert, immigrato, vittima dell'intersezione di queste purulente questioni. E ci ritorniamo per un'ultima surreale vicenda: il Comune di Genova, azionista di maggioranza della Porto Antico s.p.a., la società che gestisce l'area del porto vecchio e che è responsabile di tutte le ristrutturazioni operate (e in corso d'opera, come il costruendo Museo del Mare sotto il cui crollo è morto Albert) e le speculazioni connesse, tuona contro le irregolarità che stanno emergendo. Si costituirà parte civile contro sé stesso? Alle tragedie come questa non ci abitueremo mai, sono intollerabili, ma tanto più intollerabile è il ridicolo di cui quattro lestofanti di alto bordo le circondano.

Ultima notazione: i lavoratori edili della città hanno risposto con rabbia all'ennesimo omicidio bianco, ma una parte cospicua di genovesi (migliaia di persone) era in coda per un biglietto gratuito per lo spettacolo di un tal Panariello che non conosco, ma che pare essere uno showman famoso. Contraddizioni in un tessuto sfrangiato di classe o soporosa indifferenza proletaria alle cose brutali del mondo?

P. Medina










 

 



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