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Da "Umanità Nova" n. 38 del 23 novembre 2003

Affari privati, soldi pubblici
Le nuove norme sugli asili: dalla scuola alla balia


La camera ha approvato il 13 novembre il testo di legge sulle "nuove norme in materia di servizi socio educativi della prima infanzia", che cancella la precedente normativa del '71 istitutiva degli asili nido. Della commissione ristretta hanno fatto parte Burani Procaccino (F.I.), Turco (D.S.), Valpiana (R.C.), Mussolini (A.N.), Briguglio (F.I.). Il tutto sotto la regia del ministro Prestigiacomo.
La nuova normativa prevede sostanzialmente, a fianco degli asili nido, l'istituzione di: 1) nidi e micronidi all'interno dei luoghi di lavoro, organizzati secondo criteri di massima flessibilità 2) servizi socio educativi sia presso il domicilio delle famiglie che presso il domicilio degli educatori 3) servizi socio educativi nel medesimo complesso abitativo o in più complessi abitativi limitrofi (i cosiddetti nidi di caseggiato).

Il sostegno economico spetterà ai Comuni, per il tramite delle Regioni; nel caso dei nidi aziendali, possono entrare in gioco anche l'amministrazione dello stato e gli enti pubblici nazionali. La definizione e la garanzia degli standard minimi qualitativi ed organizzativi spetta allo stato (art.5). Le regioni definiscono gli indirizzi e i criteri di programmazione territoriale e provvedono alla riqualificazione del personale (art.6). I comuni partecipano alla programmazione regionale, ma soprattutto rilasciano le autorizzazioni al funzionamento degli asili nido e dei servizi integrativi (nidi aziendali, domiciliari, di caseggiato), oltre ad espletare la vigilanza ed il controllo; questa funzione però può essere appaltata anche integralmente dai comuni ad associazioni familiari, nonché ad organismi del privato sociale(sic!).

Quindi il quadro sia pure grossolanamente delineato è il seguente: il pubblico finanzia il privato che si autoconcede le autorizzazioni e provvede a controllare se stesso. Il testo definisce i profili professionali degli educatori (art.9), che devono rispondere ad uno standard di competenze psicopedagogiche, consistenti nel possesso di determinati titoli di studio e che devono operare secondo non meglio identificati criteri di collegialità difficilmente immaginabili ad esempio in una situazione ristretta come il nido domiciliare. Non una parola viene spesa sul rapporto numerico educatori-bambini, né sulle modalità di reclutamento del personale. Il dibattito è stato assai poco vivace; le uniche contestazioni mosse dall'opposizione, in sede di commissione sono state relative alla quota di contributo delle famiglie (la Turco ha proposto un contributo massimo del 30% del costo del servizio, mentre il testo licenziato prevede il 50%) e un richiamo, proveniente da R.C. e recepito nel testo, alla necessità di prevedere e sostenere forme di integrazione dei bambini disabili. La votazione alla Camera ha avuto esito favorevole, con due sole astensioni (D.S.).

La nuova normativa, basandosi sul principio di sussidiarietà e di libera scelta delle famiglie, svolge una operazione speculare a quella che ha portato, tre anni fa, all'approvazione della legge di parità nella scuola: il concetto base è sempre lo stesso, fondato sulla nozione di sistema integrato pubblico - privato, che dovrebbe rispondere ai bisogni dell'utenza scaricando, almeno in teoria, stato o enti locali dall'onere dell'istituzione di scuole così come di centri educativi. In realtà, una volta creato il sistema integrato, si apre la voragine dei finanziamenti, che vengono erosi alla struttura pubblica per foraggiare l'iniziativa privata.

Nella nuova normativa sui servizi educativi dell'infanzia si parla di sussidiarietà orizzontale, cioè estesa a una gamma quanto mai indistinta ed eterogenea di soggetti privati, pomposamente definiti "privato sociale", in omaggio al luogo comune imperversante che assegna al privato una presunta funzione etica basata sul criterio di soddisfazione del cliente in materia di flessibilità e di orientamenti educativi. L'introduzione dei servizi educativi integrativi assesta dunque ai nidi pubblici un duro colpo, che va ad aggiungersi agli altri gravissimi problemi inferti al settore dalle ripercussioni della riforma Moratti: l'anticipo dell'ingresso nella scuola dell'infanzia a due anni e mezzo restringe infatti considerevolmente l'utenza dei nidi, prefigurando un'elevata quota di esuberi del personale. Ma la nuova normativa annulla anche ulteriormente il valore e il senso dell'educazione dell'infanzia: il bambino non è un soggetto, ma un fardello da collocare nella situazione più congeniale alle esigenze della famiglia, vale a dire ai ricatti dei padroni sulle lavoratrici madri o, come dice il testo all'art.1, favorendo la conciliazione tra le esigenze lavorative, familiari e procreative.

Si ripropone ancora una volta il modello della azienda o della fabbrica come istituzione totale, che assorbe tutto, che educa e trasmette valori, stili di vita e di pensiero, che rappresenta l'unico orizzonte, l'unica atmosfera in cui è consentito respirare, dalla culla alla sempre più remota pensione. E poi i nidi domiciliari o di caseggiato: qualcuno può realisticamente immaginarvi una situazione solidaristico-comunitaria, magari con una spolveratina di autogestione. Sembra piuttosto l'ennesima attuazione dell'imperversante pedagogia cattolico familistica, per cui l'educazione deve costituire un prolungamento della famiglia, un sistema di valori e comportamenti omogenei rispetto a quelli trasmessi dal contesto familiare, che non esponga i bambini, nemmeno quelli piccolissimi, all'esperienza, alla scoperta di mondi e modi diversi . Infine il nido presso il domicilio dell'educatore: non sono in grado di dire niente di questa strabiliante novità; mi vengono in mente solo poppute balie di campagna.

Patrizia










 

 



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