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Da "Umanità Nova" n. 39 del 30 novembre 2003

Lo Stato, quando uccide, di fa chiamare, patria
Un'immonda partita a scacchi


Indubbiamente l'impatto è stato particolarmente forte. E questo può spiegare la vastità delle reazioni. Dalla fine della seconda guerra mondiale, infatti, l'esplosione di Nassirija è il fatto di sangue più drammatico che abbia coinvolto l'esercito italiano, e i militari e i civili uccisi nello scoppio dell'autobomba che ha distrutto la caserma dei carabinieri ne sono la testimonianza. A dimostrazione che, alla faccia di quell'ipocrita e osceno mare di retorica che in questi giorni ha ammorbato l'aria del Belpaese, quella dei carabinieri, evidentemente, non era intesa come una missione di pace.

Scrivevamo, pochi giorni orsono, che truppe armate dislocate in un paese che non le ha richieste si chiamano, sic et simpliciter, truppe di occupazione, e che, in quanto tali, nonostante le belle parole e le solite menzogne di chi ha preso la decisione di invadere un altro paese, possono naturalmente essere colpite da prevedibili atti di resistenza armata da parte della popolazione. L'azione dei kamikaze di Nassirija non ha tardato a darci ragione: i sostenitori del passato regime di Saddam Hussein e i loro nuovi alleati dentro e fuori dell'Iraq hanno inteso mandare, all'Europa e non solo all'Italia, un messaggio quanto mai preciso e tragicamente efficace, con l'obiettivo di suscitare nuove riflessioni soprattutto nelle opinioni pubbliche dei paesi che più hanno appoggiato l'invasione americana.

E in questa immonda partita a scacchi, che vede contrapposti gli appetiti capitalistici dei vari padroni del vapore, che vede la criminale strumentalizzazione dei fanatismi religiosi, che vede rinfocolare razzismi speculari ad altri razzismi, che vede uccidere e morire miriadi di pedine destinate a salvare il potere di un re e di una regina, in questa immonda partita a scacchi, dicevamo, anche l'Italia, con il sistema dell'informazione quanto mai vergognosamente compatto, ha finalmente potuto abbandonare l'abituale ruolo da comparsa e recitare da protagonista. Sembrava proprio che non si aspettasse altro!

Mai si è assistito, infatti, come in questi giorni di "lutto nazionale", a uno spettacolo tanto squallido e falso quanto corale e ben organizzato. In un coordinato concerto di nobili sentimenti, il mondo politico, superata finalmente ogni divisione, si è stretto intorno ai suoi ragazzi, rivendicando con orgoglio il proprio diritto di mandare a uccidere e a farsi uccidere i suoi fedeli servitori. E di mettere a tacere, vista tale unanimità di sentimenti, quei pochi coglioni rimasti ad agitare le ragioni della... ragione.

"Il nemico è selvaggio, crudele e assassino, noi siamo buoni e pieni di premure, la popolazione ha bisogno dei nostri simpatici marmittoni, se andassimo via sarebbe tradire il sacrificio degli eroi di Nassirija, questa rimane una missione di pace, l'amico americano ci chiede di restare, bisogna restare!". Sembra impossibile, ma questo concentrato di idiozie irresponsabili e foriere di altre stragi ha riempito, in giorni che avrebbero meritato ben altre considerazioni, le pagine dei giornali, gli schermi televisivi, le aule parlamentari e amministrative, senza che nessuno, o quasi nessuno, impedisse alla propria dignità e intelligenza di affogare in questo maleodorante mare di retorica, fatto di onore nazionale, di orgoglio ferito, di dolore della gente, di popolo del dolore, di spirito di corpo, di inno della Sassari, di canto del Piave, di nostri ragazzi, di bare allineate, di solenne cerimonia, di parole del capo dello stato, di bandiere a mezz'asta, di milite ignoto, di commozione dei presenti, di abbraccio del paese, di fusti di cannone. E, perché no?, di tricolore ritrovato.

Che poi questi soldati, con i civili che ne hanno seguito la sorte, si siano fatti ammazzare perché i comandi non avevano capito nulla della situazione, perché non erano state prese misure di protezione più idonee, perché il criminale mito dell'italiano brava gente aveva fatto sottovalutare la pericolosa ostilità degli iracheni, perché i servizi di intelligence (ma quanto sono intelligence!) si sono ben guardati dal collaborare e scambiarsi le soffiate, ha avuto talmente poca importanza che nessuno ha pensato di parlarne. Forse si temeva che da simili considerazioni il pur genuino dolore di tanta gente, invece di essere doverosamente sommerso e annichilito da questa montagna di demagogia, potesse trasformarsi in consapevolezza della criminalità con la quale il governo e le gerarchie militari giocano sulla pelle altrui.
Ma tant'è! Ancora una volta da una tragica vicenda il cinismo del potere ne ritrae il suo utile. E ancora una volta non possiamo non chiederci quanto sia casuale tutta questa storia, che da minacciosa tragedia si è trasformata, con un perfetto detournement mediatico, in una magnifica occasione di intossicazione di massa, e alla cui realizzazione hanno concorso, con identiche responsabilità anche se con varie sfumature, tutti i centri di potere politici, economici, militari e religiosi. In questa orgia di buoni sentimenti e pessime intenzioni, quasi nessuno si è voluto sottrarre al sacro dovere di onorare la patria nel momento del lutto e di avvolgersi nella tronfia retorica della bandiera italiana, chi perché finalmente poteva esibire senza più vergogna il suo edipico amore per la divisa, chi perché vittima essa stessa della propria ipocrisia, chi perché incapace, vigliaccamente, di affermare le proprie ragioni. E quei pochi che hanno timidamente fatto capire che si sarebbe anche potuto dire altro, hanno presto dovuto chinare il capo in atto di contrizione.
Ma se in questi momenti di suprema unità non c'è spazio nemmeno per un timido dissenso all'interno delle istituzioni, diventa ancora più importante che la nostra voce impedisca alla nebbia della retorica e del conformismo patriottardo di coprire definitivamente il nostro paese.

M. O.










 

 



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