archivio/archivio2003/un01/unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 39 del 30 novembre 2003

Iraq: registi, comparse e controfigure


In Iraq i giochi di parole e gli eufemismi ormai non possono più nascondere la guerra in corso, tra bombardamenti aerei, cannonate e attacchi bellici di rappresaglia contro intere aree urbane, sospettate di fornire appoggio ai "terroristi", mentre gli Usa contano già più caduti che nei primi tre anni della guerra in Vietnam.

Davanti all'acuirsi della guerriglia, sia settori dell'Amministrazione Bush che i governi europei stanno spingendo, con l'appoggio dell'Onu, affinché si arrivi quanto prima alla formazione di un effettivo governo iracheno in grado di gestire il "dopoguerra" e ricostruire lo stato, a partire dalle forze armate. Che tale prospettiva sia ormai ineludibile appare chiaro, dato che il principale elemento di forza della resistenza è che si sta opponendo ad un'occupazione straniera; ma allo stesso tempo proprio la prospettiva di un governo nazionale appare controproducente, tanto da lasciar intravedere il divampare di una o più guerre civili per la conquista del potere.

Innanzitutto per dare vita ad un governo con un minimo di decenza sarebbero necessarie delle libere elezioni ma la democrazia irachena nascerebbe già sotto le ipoteche e i ricatti statunitensi tendenti ad evitare l'instaurarsi di un governo a guida nazionalista o islamica. Secondo il governatore americano Paul Bremer entro metà del 2004 dovrebbe essere formato un nuovo governo pro-tempore, composto da iracheni, con l'incarico di gestire il paese sino alle elezioni democratiche nell'estate 2005. Dietro tanti condizionali vi è il governo degli Stati Uniti che pretende di insegnare la democrazia agli iracheni, a patto che questi votino nel modo auspicato dalla Casa Bianca e da Wall Street, tanto da preventivare una presenza militare Usa di almeno 100 mila unità sino al 2006.

L'ex-consigliere speciale dell'amministrazione di Nassiriya, Marco Calamai, a riguardo è stato esplicito nel dare le proprie dimissioni: "qui non c'è né ricostruzione, né transizione alla democrazia (…) inglesi e americani continuano a voler comandare loro".

Lo stesso attuale Consiglio Provvisorio iracheno presieduto da Jalai Talabani, rispecchia la complessità del problema e non la sua soluzione; esso, mentre la disoccupazione supera il 50%, a livello popolare è malvisto e poco credibile, in quanto vi sono rappresentate anche forze con scarso seguito che sono state mantenute in vita negli Usa durante gli anni del regime di Saddam Hussein. Gli stessi vertici del Partito Comunista Iracheno, già perseguitato dal passato regime ed oggi facente parte del Consiglio, rischiano di perdere il loro seguito di massa anche se si dichiarano contrari all'occupazione militare straniera.

D'altra parte la maggioranza degli iracheni - circa il 55% - è di fede sciita e l'influenza iraniana sulla comunità sciita irachena è rilevante, tanto da far fondatamente ritenere che sarebbero la forza politica maggioritaria all'interno di un governo democraticamente eletto, concretizzando per l'amministrazione Bush uno dei peggiori spettri della sua guerra, dato che le principali organizzazioni politiche sciite parlano apertamente di rivoluzione islamica, così come le principali autorità religiose.

Già nel '91, durante la prima guerra del Golfo, Bush senior di fronte ad una tale evenienza, preferì lasciare al suo posto il famigerato Saddam Hussein, permettendogli di massacrare i rivoltosi sciiti nel sud del paese e i curdi al nord; quello stesso Saddam Hussein che per anni era stato sostenuto dai governi Usa in funzione anti-iraniana.

Il fatto poi che Jalai Talabani, assieme ad alcuni ministri del Consiglio Provvisorio iracheno, tra i quali quello del petrolio, e al governatore della Banca Centrale irachena abbia amabilmente incontrato il presidente iraniano Khatami e raggiunto un accordo per lo scambio di prodotti petroliferi certo non deve aver riempito di gioia l'entourage di Bush junior.

Sul fronte della guerriglia la realtà non appare meno complessa e articolata.

Negli ultimi mesi, di fronte all'escalation delle azioni di guerriglia, gli osservatori si sono mobilitati per cercare di dare un volto e un nome all'opposizione armata anti-americana, scontrandosi oltre che con la non-visibilità dei combattenti anche con un quadro difficilmente semplificabile.

Da tempo politici e giornalisti puntano il loro dito sul Al Qaeda e i Fedayn-Saddam ma appare del tutto evidente che si tratta di un'operazione tendente ad attribuire alla rete terroristica di Bin Laden e ai nostalgici del passato regime ogni azione ostile, al fine di accreditare l'idea che la popolazione irachena veda con favore l'occupazione straniera.

Le parti in gioco sono invece molteplici; è innegabile, ad esempio, che un'effettiva ripresa della produzione del greggio iracheno porrebbe seri problemi ai produttori del petrolio della regione, in particolare all'Iran e all'Arabia Saudita, che vedrebbero diminuire il loro peso e la loro influenza in seno all'Opec. Inoltre, sicuramente, stati come quello d'Israele, la Turchia e la Siria hanno interessi strategici notevolissimi, seppur diversi, riguardo il divenire della situazione irachena; impossibile quindi credere che siano semplici spettatori di quanto sta avvenendo.

Tutti questi cinque stati confinanti e le rispettive borghesie hanno interessi economici e politici che si scontrano con la normalizzazione irachena e quindi le diverse resistenze interne trovano sponde ed alleanze fuori dal paese sicuramente importanti e forse persino decisive.
Cerchiamo comunque di fotografare, seppur approssimativamente, le diverse componenti della guerriglia, cominciando ad osservare che ormai questa colpisce gli occupanti sia nel nord che nel centro e nel sud dell'Iraq, coinvolgendo tutti i principali gruppi etnico-religiosi (curdi, sunniti, sciiti).

La lotta armata, frammentata in una miriade di sigle più o meno attendibili, vede con ogni probabilità l'interazione di più "anime". In primo luogo vi è quanto sopravvive del partito Baath e dell'apparato militare-poliziesco del passato regime; nell'insieme deve trattarsi di una realtà rilevante comprendente veterani dell'esercito, agenti dei servizi segreti e l'organizzazione paramilitare basata su diverse strutture ( Fedayn Al Awda, Brigate di Gerusalemme, etc.). L'impostazione di questa resistenza è sostanzialmente di tipo nazionalista e non religiosa (nonostante l'esistenza di un sedicente Esercito di Maometto), seppure legata alla minoranza islamico-sunnita, storicamente avversa alla maggioranza islamico-sciita.

Vi è poi la galassia delle organizzazioni sunnite salafite, sopravvissute alla repressione durante il regime di Saddam Hussein (Brigata Faruq, Ansar al Islam, Brigata martire Khattab, etc.), presenti anche in Kurdistan nonostante i bombardamenti Usa contro le loro basi; tra le sue diverse emanazioni vi è l'Organizzazione della bandiera nera, di carattere nazional-religioso, a cui sono attribuiti i sabotaggi delle installazioni petrolifere.

Altra galassia è quella legata alla comunità sciita (Brigate Badr, Esercito dell'imam Mahdi, etc.), contraria all'occupazione straniera ma certo non nostalgica del regime di Saddam Hussein da cui fu spietatamente perseguitata e sterminata; anche questa realtà è però divisa al suo interno tra quanti hanno gli ayatollah di Teheran come punto di riferimento e quanti non vi si riconoscono.

Infine vi è il tanto enfatizzato ruolo di Al Qaeda e l'entrata in campo di volontari arabi intenzionati a combattere la blasfema presenza americana in luoghi sacri all'Islam come Karbala e Mosul, tale ruolo risulta ancora tutto da dimostrare e comunque già prima della guerra esisteva un Comando supremo dei Mujaheddin, composto da veterani anche non iracheni delle guerre in Afganistan, Cecenia e Balcani, oggi in grado di trasformarsi in una sorta di Legione straniera islamica.

A far dubitare il fatto che Al Qaeda possa attualmente avere una parte significativa in Iraq, vi è anche la circostanza che la rete di Bin Laden si richiama alla tradizione wahhabita, tutt'altro che ben vista dalle altre correnti islamiche.

Evidentemente però, dato che l'occupazione militare dell'Iraq da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati è stata presentata come sviluppo della guerra al terrorismo che ha assunto la data dell'11 settembre come sua ragione d'essere, per i registi di questa guerra Al Qaeda è ormai divenuta la formula magica per giustificare lacrime e sangue.

Uncle Fester










 

 



Contenuti  UNa storia  in edicola  archivio  comunicati  a-links


Redazione fat@inrete.it  Web uenne@ecn.org  Amministrazione  t.antonelli@tin.it