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Da "Umanità Nova" n. 41 del 14 dicembre 2003

La legge del più forte
Potere, legalità, conflitto sociale


Lo sciopero del 1 dicembre degli autoferrotranviari milanesi, effettuato in palese e cosciente violazione della normativa che regolamenta il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, consente di fare alcune riflessioni sui tempi che viviamo ed in particolare sui rapporti tra potere, legalità, conflitto sociale.

Poniamo la legalità come termine medio tra potere e conflitto sociale perché essa ha una natura ambigua. La norma, infatti, si presenta come costrizione e garanzia, a seconda del punto di vista dalla quale la si guardi. Ma, più in profondità, la norma è una forma che sposta il discorso dai rapporti reali ed economici, che sono sempre rapporti di forza, ad un piano formale. La norma funziona, cioè, da maschera del reale e pure come discorso deviante che conduce ad un vicolo cieco, come oblio della realtà, come feticcio.

Per inquadrare correttamente ciò che è successo il 1 dicembre a Milano, credo che il dato fattuale da cui partire è lo stato di guerra, in cui il mondo si trova. Nello stato di guerra si possono rispettare delle regole, esiste il diritto bellico, formalizzato da convenzioni internazionali. Costituzioni di molti paesi, compreso il nostro, come è noto, legittimano la guerra solo a certe condizioni. Oggi, si dice, è però in corso la "guerra al terrorismo" e quindi sono saltate le regole della guerra tradizionale. Che ne è stato del diritto? Gli USA hanno invaso l'Iraq violando il diritto internazionale e contro l'ONU: c'è qualcuno che li possa sanzionare? Puro stato di fatto, forza pura.

Contemporaneamente, il nostro governo manda soldati in un paese invaso illegittimamente finanziando l'operazione con un voto del parlamento, nel rispetto, cioè, di regole formali. Anche Bush deve far finanziare la sua guerra da un voto del Congresso americano. E gli alpini in Afganistan come ci sono arrivati? E il governo D'Alema non ha bombardato l'ex Jugoslavia?

Guerra, parlamenti, governi, leggi: basta il rispetto formale delle norme a legittimare una violazione sostanziale delle norme stesse? Quanto è ipocrita, doppio, ambiguo, il diritto.

Il bello è che le norme non sono frutto del concepimento da parte dello spirito santo, ma sempre prodotto storico, anche quando sono gabellate come diritto naturale. Qualcuno le avrà pur create ed è sempre il più forte. Tanto è vero che il più forte le viola senza alcuna conseguenza.
Il problema è che il modello liberale e quello socialdemocratico sono andati in cortocircuito svelando la loro intrinseca ipocrisia.
 Semplicemente il potere non ha oggi bisogno della loro maschera per affermarsi, per porsi. Chi oggi si appella semplicemente alle "regole democratiche", al "diritto", per chiederne il ristabilimento a livello internazionale o contro l'attuale governo di destra nel nostro paese, fa un'operazione debole e ipocrita al tempo stesso. Perché pone al centro del discorso solo il piano normativo, che, abbiamo detto, è profondamente ambiguo e, per il potere reale, del tutto inutile.
E continuare a parlare di diritto, di leggi da rispettare, di leggi da difendere, di proposte di legge, da parte dei partiti di sinistra e dei sindacati di stato, porta all'oblio del conflitto sociale, alla sua formalizzazione, al suo snervamento.

Così, quando dopo due anni di scioperi secondo le regole senza aver ottenuto nulla, gli autoferrotranviari di Milano scioperano fuori dalle regole, smascherano il dispositivo formale che ingabbia il conflitto e lo sterilizza. Da destra si fa quindi appello alla legge e ai suoi tutori istituzionali per reprimere i reprobi e si chiede di modificare in senso ancor più restrittivo la legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali; da sinistra si fa appello alla legge per chiedere che sia semplicemente applicata, affermando di "capire la protesta", ma di non accettarne il metodo perché "fuori dalle regole".

E che dire della precarizzazione del mondo del lavoro resa totale dalla "riforma Biagi", quando il "pacchetto Treu" aveva legalizzato il lavoro interinale e con esso la logica della precarietà e dello sfruttamento selvaggio della forza lavoro? Bisognerebbe oggi lottare contro le leggi di Berlusconi per difendere le leggi dell'Ulivo?

Il discorso va spostato dal piano dell'ordinamento giuridico a quello dei rapporti economici e di forza. La critica del presente deve partire dalla constatazione che chi detiene il potere reale usa i sistemi giuridici e politici come apparati funzionali al suo mantenimento e alla sua affermazione. La prima gabbia da rompere è proprio quella della legge, perché essa è semplicemente un feticcio, non ha forza in se. E lo strumento per rompere questa gabbia è l'esercizio della libera volontà individuale, che si manifesta anche, come nel caso di uno sciopero, collettivamente.

In fondo è lo stato di guerra in cui siamo stati tutti trascinati che svela, come detto, l'ipocrisia e l'ambiguità dell'ordinamento giuridico. Oggi lo si vorrebbe far funzionare solo per chi lotta per migliori condizioni di lavoro e per una vita migliore e così esso si svela per quello che è, strumento di riproduzione del dominio di chi sfrutta su chi è sfruttato. Alla pura affermazione di se stesso che fa il potere, va contrapposta la volontà individuale e collettiva che prescinde dal binomio legittimo/illegittimo e pone libertà uguaglianza solidarietà come metodo e scopo della propria azione.

Simone Bisacca








 

 



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