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Da "Umanità Nova"
n. 41 del 14 dicembre 2003
Tranvieri milanesi
Una lotta fuori dai binari
"…una
volta c'era una parola di cui sono orgogliosa e che fa parte della mia
infanzia: proletariato. Oggi purtroppo non la usa più
nessuno….È il proletariato che ha sempre alimentato la nazione.
Ci dovrebbe essere più rispetto. Se questa classe sociale si
ferma la nazione cade. Oggi, invece, tutti se la sono presa con i
tranvieri, ma si sono accorti di loro solo quando si sono fermati."
Carla Fracci, intervista a "La Repubblica" del 5 dicembre 2003
A distanza di una settimana dallo sciopero degli autoferrotranvieri
milanesi e in previsione di uno sciopero il 15 dicembre è
opportuna una riflessione sui caratteri e sulle prospettive di questa
lotta.
I lavoratori del settore sono quasi 120.000, le imprese circa 200 e fra
il 2002 ed il 2003 vi sono state 212 ore di sciopero per un contratto
che vede i sindacati istituzionali richiedere 106 euro lordi d'aumento
che dovrebbero recuperare il differenziale fra inflazione programmata
ed inflazione reale per il biennio 2000 - 2001 e l'inflazione
programmata per il 2002 – 2003.
Siamo, insomma, di fronte ad una piattaforma tutt'altro che
esaltante e radicale. Il sindacalismo di base, che pure nel settore
è presente, ha, ovviamente, una piattaforma diversa ma lo stesso
sciopero del 1 dicembre non si è sviluppato su questa
piattaforma.
Eppure l'Asstra, l'associazione che rappresenta le aziende del
settore non ha potuto chiudere il contratto per il banale motivo che il
governo nazionale non ha garantito le risorse necessarie a farlo e che,
ad oggi, non ha modificato il suo atteggiamento di fondo e la recente
concessione di 33 milioni di euro al settore (20 milioni per
innovazione e 13 per gli aumenti) è assolutamente inadeguata
visto che la chiusura del contratto comporta una spesa di circa 500
milioni di euro.
Da un punto di vista tecnico, ed è evidente che non si
tratta essenzialmente di un problema tecnico, siamo di fronte ad una
sovrapposizione di ruoli: le imprese e la loro associazione, le regioni
ed i comuni, il governo centrale. Le imprese contrattano ma non hanno
risorse, il governo non contratta ma decide delle risorse, gli enti
locali, in particolare in Lombardia, cercano di giocare un ruolo
maggiore rispetto al passato ma devono fare i conti con i limiti delle
risorse a loro disposizione e del loro potere.
In realtà vi sono diverse contrattazioni: quella fra
Asstra e governo, quella fra enti locali e governo, quella fra
sindacati ed Asstra e, dopo lo sciopero del 1 dicembre, quella fra
lavoratori e sindacati.
La politica governativa sembra di facile comprensione: taglio delle
risorse agli enti locali e alle aziende che sono lasciati gestire le
tensioni e, nello stesso tempo, preparazione, di fatto, del passaggio
alla gestione aziendale regionale ed aziendale della materia.
Il fatto è che siamo in una situazione di guado, non funziona il
vecchio modello di contrattazione centralizzata e non funziona nemmeno
un eventuale nuovo modello di contrattazione regionale ed aziendale ed
il prezzo della situazione lo pagano, e non è una novità,
i lavoratori che non si vedono riconosciuto nemmeno quanto è
previsto dalla concertazione.
Nei giorni che hanno immediatamente seguito lo sciopero
è circolata una lettura dei fatti suggestiva anche se, a mio
avviso, parziale. Sembra che sia stata la stessa Asstra a prospettare
ai sindacati istituzionali e, in particolare, a CISL e UIL
l'opportunità di "scaldare" la situazione al fine di ottenere
risorse aggiuntive dal governo (i tre centesimi di accisa sulla
benzina) per finanziare il contratto. Ammesso che sia vero è
altrettanto vero che non è credibile che i quadri CISL e UIL
siano stati in grado di manovrare i lavoratori e di "indurli" ad uno
sciopero selvaggio, al massimo si può pensare che un'attitudine
diversa rispetto a quella usuale di settori dell'apparato sindacale
abbia lasciato spazio all'iniziativa autonoma degli autoferrotranvieri
milanesi. Non è una novità che il movimento di classe
possa trarre vantaggio dalle contraddizioni interne al fronte avverso.
D'altro canto, la stessa Regione Lombardia ha proposto di
chiudere il contratto su base regionale e di garantire risorse
aggiuntive e, per la verità, CISL e UIL si sono dimostrate
disponibili ad un'operazione del genere.
Nel corso dei giorni passati, è ripartito, su un fronte
solo parzialmente diverso, il dibattito sui meccanismi di repressione
degli scioperi selvaggi. È stato, infatti, evidente a tutti un
fatto che, sul piano razionale, era noto da anni: la legge 146/90, mi
si consenta la citazione maoista, è una tigre di carta. È
certamente efficace come blocco rispetto a scioperi di minoranza,
taglia le gambe ai sindacati non istituzionali che sono sottoposti a
severe sanzioni se indicono scioperi irregolari e cioè gli unici
efficaci ma non funziona bene o non funziona affatto se la situazione
si radicalizza e si danno scioperi di massa non indetti formalmente da
nessun sindacato.
Certo, la Procura di Milano sta indagando e si minacciano
sanzioni severe che arrivano sino al carcere ma sappiamo tutti che non
è facile fare operazioni del genere. Basta pensare, a questo
proposito, allo sciopero degli autoferrotranvieri di Trieste di un paio
di anni addietro che sono stati assolti in tribunale ed alla malattia
di massa di un anno addietro dei lavoratori dell'Alitalia che hanno
lasciato disarmato l'avversario dal punto di vista legale. Detto
ciò, non va sottovalutato, anzi, il rischio che la legislazione
sul diritto di sciopero subisca, a breve, un secco peggioramento.
È anche vero che lo sciopero del 1 dicembre segna un
salto importante. Trieste, infatti, è certo una graziosa
città di frontiera ma lo sciopero selvaggio che l'ha coinvolta
non ha colpito l'opinione pubblica nazionale come quello milanese e la
malattia di massa degli aeroportuali romani, e non vi alcuna presa di
distanza moralistica in questa valutazione, ha una qualità
politica straordinariamente inferiore rispetto allo sciopero.
Ancora una volta, il movimento reale della lotta di classe,
con tutti i suoi limiti e contraddizioni, pone alle organizzazioni
formali del movimento dei lavoratori problemi importanti e mette in
crisi le strategie costruite negli anni.
In particolare, il sindacalismo alternativo dimostra una
correttezza di fondo nelle posizioni di dura critica alla legislazione
antisciopero ma una capacità di iniziativa, a mio avviso,
insufficiente.
Va, infatti, rilevato che lo schema sul quale si è
strutturato e cioè la presa di distanza dalle piattaforme di
CGIL-CISL-UIL è necessario ma non sufficiente, non basta
individuare obiettivi corretti sotto il profilo sindacale per battere
il sindacato istituzionale e, soprattutto, per battere il padrone.
È necessario che le proposte del sindacalismo di base
siano immediatamente connesse a forme di lotta e di iniziativa adeguate
alle piattaforme stesse e che vi sia un intreccio efficace fra
indipendenza progettuale, capacità di colpire l'avversario,
pratica assembleare e che questo intreccio sia tale da determinare
un'identità forte e chiara.
Per quanto ci riguarda, si tratta di sviluppare tre livelli di iniziativa:
- un'informazione la più diffusa possibile sulle ragioni e la necessità di scioperi come quello del 1 dicembre;
- lo sviluppo di strumenti utili alla solidarietà ai
lavoratori colpiti dalla repressione in occasione di scioperi che
spezzano la normativa antisciopero;
- una campagna politica su alcuni obiettivi oggi centrali come
la lotta per forti aumenti retributivi e contro la precarizzazione dei
lavoratori.
Non sappiamo, in questo momento, se i sindacati istituzionali
manterranno lo sciopero del 15 dicembre o se troveranno una mediazione
e quale mediazione. L'assieme dei sindacati di base ha indetto uno
sciopero per lo stesso giorno e, a meno di uno sbracamento
imprevedibile da parte del governo, lo manterrà. È anche
compito nostro sostenere lo sciopero e operare perché tocchi
questioni importanti come quella della precarizzazione dei lavoratori
dei trasporti e delle esternalizzazioni. Non dimentichiamo che il
successo dello sciopero milanese deriva anche dal fatto che un elevato
numero di lavoratori non è assunto con contratti normali ma vive
una situazione di attesa di un'improbabile assunzione, di salari
minimi, di mancanza di diritti.
Si tratta, quindi, di legare l'azione per forti aumenti retributivi a quella per l'unità dei lavoratori.
Un compito non facile ma da assolvere al meglio.
Cosimo Scarinzi
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