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Da "Umanità Nova" n. 41 del 14 dicembre 2003

Prove tecniche di repressione
Le esternazioni di un generale


Non si può certo dire che non ci provino. Che non ci provino sempre di più a fare dell'Italia un paese nel quale le libertà formali siano "garantite", purché non entrino in rotta di collisione con gli interessi del potere. E il succedersi sempre più incalzante di tali "prove tecniche di repressione" deve far rizzare le antenne sul capo di chi ancora ha a cuore il problema della libertà.

Le ultime "prove", in ordine di tempo, ma non certo di importanza, sono le dichiarazioni rilasciate in una intervista al "Corriere della Sera" dal generale Tricarico, il quale, anche se il suo nome non dice granché ai non esperti, non è certo una semplice comparsa nella costruzione della strategia governativa del controllo sociale. Già comandante dell'aviazione italiana durante la guerra in Kosovo, e prezioso amico dei generali dell'aria inquisiti per la strage di Ustica, Tricarico è infatti da tempo il consigliere militare degli ultimi capi di governo, oggi del cavalier Berlusconi come ieri di D'Alema, e si capisce pertanto che le sue autorevoli parole non possono essere voci dal sen fuggite, ma, indipendentemente dalle smentite o correzioni che accompagnano ogni intervista, espressioni concrete e dirette di propositi ben precisi.
Parlando delle misure necessarie a combattere quelle forme di violenza che, nell'accezione comune, vanno sotto il nome di terrorismo (in questo caso, va da sé, non si comprende anche il terrorismo di stato), il generale, senza entrare in dettagli che forse sono ancora da definire, ha voluto comunque indicare quale dovrà essere la "filosofia" che uniformerà il nuovo tipo di approccio al problema. Filosofia efficacemente riassunta nel titolo dell'intervista: "Meno diritti per combattere il terrorismo" e altrettanto efficacemente chiosata con l'ineffabile "non si può affrontare un'emergenza come questa con leggi ordinarie". Dove per leggi ordinarie, e relativi strumenti di indagine, si intendono quelle esistenti e che già concedono i più ampi poteri discrezionali a una magistratura autorizzata a tenere la gente in galera per anni prima che si celebri il processo, e per leggi straordinarie quelle che, evidentemente, non farebbero altro che estendere a dismisura questi poteri di giudici e polizia. E, tanto per non lasciare nulla all'immaginazione, il buon generale ipotizza la chiusura delle moschee nelle quali non si esalti l'amore per l'occidente (e quindi delle sedi o dei centri sociali dove si continui a teorizzare l'opposizione sociale al sistema), la violazione della privacy quando non si possono ipotizzare prove a carico in altro modo (e quindi estensione a chiunque del concetto di indagato e di sorvegliato speciale), il coordinamento di queste e altre misure "illegali" con organismi internazionali subalterni agli Usa, quali il G8 o la Nato (e quindi l'adeguamento dei codici alle esigenze degli interessi imperialistici). E questo tanto per cominciare, poi si sa che l'appetito viene mangiando.

E, come da copione, se questo invito a un nuovo ciclo di leggi speciali, che sta a significare leggi repressive in modo speciale, non ha minimamente scalfito il disinteressato garantismo degli amici dei vari Previti e Dell'Utri, sembra avere comunque scosso le delicate coscienze democratiche dell'opposizione, in particolare di quella diessina, che ha parlato di attentato alle garanzie costituzionali. Distinguendosi in questo, come sempre, il sapido e supponente dottor Violante, il quale, immemore di quando, per combattere le Br, incitava il fido Giuliano Ferrara a promuovere schedature e spiate di massa nei caseggiati popolari della Torino operaia degli anni settanta, ha affermato che "è bene che i generali non si occupino mai dei diritti di libertà". Cosa sulla quale concorderemmo volentieri con lui se non sapessimo che, potendo, avrebbe concluso la frase dicendo che "queste cose è meglio lasciarle ai commissari politici".

È da tempo ormai che andiamo denunciando, da queste colonne, la progressiva involuzione autoritaria orchestrata in nome della lotta al terrorismo (ma quanto è funzionale questo terrorismo, grande o piccolo che sia, ai giochi del potere!). Involuzione che procede senza tentennamenti o passi falsi, ma che, per essere fatta propria da una opinione pubblica altrimenti scettica su certe misure, deve esprimersi in un grottesco gioco delle parti, nel quale si muovono, con la disinvolta sicurezza degli infami, grandi attori, primedonne e piccole comparse. Il governo che si sporca le mani rimestando nello strame della provocazione, l'opposizione che grida alla soppressione della libertà, in attesa di proporre a sua volta misure analoghe, una caterva di utili strumenti disposti, in nome di una falsa religione o di un'idea maldigerita, a fornire nuovi pretesti per più pesanti strette repressive. Come in una sequenza infinita, il copione è sempre lo stesso: intervento repressivo del potere, radicalizzazione delle vittime della repressione, loro risposta sul piano della pura provocazione, tale da giustificare il primo intervento repressivo e preparare il secondo. E via andare! L'importante è che, al di là di fin troppo facili apparenze, a condurre il gioco, e sul terreno a loro più congeniale, siano sempre lo stato e i suoi apparati di comando.

E mentre così si fa credere che il vero nemico sia questo terrorismo, micro o macro che sia, pericoloso o ridicolo non importa, purché "inventato" e in perfetta simbiosi con il potere, le leggi create in nome della "sicurezza dei cittadini" vanno a colpire il loro vero obiettivo, vale a dire tutti quei soggetti sociali e politici che ancora, e sempre più, intendono opporsi ai fini totalitari dei padroni del vapore scegliendo gli unici strumenti realmente in grado di colpire i loro interessi. Scendendo in piazza per opporsi alle politiche di morte, organizzando le lotte sui posti di lavoro e nella società, estendendo la coscienza che solo una lotta collettiva e consapevole, condotta con mezzi non autoritari per fini non autoritari, può creare le premesse del vero cambiamento. Precisamente quello per cui ci battiamo da sempre.

Massimo Ortalli








 

 



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