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Da "Umanità Nova"
n. 42 del 21 dicembre 2003
Le nuove frontiere dell'ENI
Il cane a sei zampe nel vespaio del mar Caspio
L'ENI
(Ente Nazionale Idrocarburi) - oggi la principale azienda
multinazionale controllata da capitale italiano - è una holding
che opera in ambito energetico, principalmente nei settori strategici
del petrolio e del gas, anche se rimane attiva nel petrolchimico e nei
servizi. Fondata nel secondo dopoguerra, sull'onda del Piano Marshall
voluto dagli americani per ricostruire sotto il loro controllo l'Europa
occidentale, l'ENI oggi raggruppa l'AGIP, fondata nel 1926 e
incorporata nel 1997, la SAIPEM, la SNAM e l'Italgas, oltre ad altre
decine di società minori. L'ENI gestisce un enorme impero
energetico attivo in 67 paesi con 60mila dipendenti (la metà di
quanti ne aveva nel 1992) e dichiara una produzione di 1,54 milioni di
barili al giorno. L'obiettivo è quello di arrivare a 1.8 milioni
di barili al giorno entro il 2006. Nel 2001 l'ENI ha fatturato circa 48
miliardi di euro con un utile di 4.593 milioni di euro. Nel 2002 la
contrazione del prezzo del petrolio ha ridotto gli utili che comunque
rimangono molto alti. Attualmente l'ENI è controllata dallo
Stato (33,2% delle azioni) mentre tutti gli altri azionisti maggiori -
S. Paolo IMI SPA, Fondazione Monte dei Paschi di Siena e due gruppi
americani - non possiedono più del 2,5% delle azioni.
L'AVVENTURA NEL MAR CASPIO: LA CONQUISTA DEL KAZAKISTAN
"Dobbiamo crescere - dichiarava il 17 novembre 2001 a "Il Sole-24 ore"
l'amministratore delegato Mincato - Vogliamo entrare nel gotha delle
super major. Ci arriveremo sia attraverso le acquisizioni sia grazie ai
risultati delle nostre esplorazioni". Con l'acquisto dell'inglese Lasmo
ma soprattutto con la penetrazione nel Mar Caspio, l'ENI sembra aver
raggiunto il suo ambiziosissimo obiettivo. In Kazakistan - che ricopre
un ruolo chiave nella regione poiché le sue riserve di petrolio
e gas sembrano superiori a quelle dell'Azerbaigian, tanto propagandate
dagli americani nei primi anni '90 - l'ENI sta svolgendo un ruolo di
primo piano sia a Kashagan, sito off shore considerato uno dei
giacimenti più grandi fra quelli scoperti negli ultimi 30 anni,
che a Karachaganak, giacimento sito nelle sperdute steppe del nord
ovest kazako. Il giacimento di Kashagan, che dovrebbe divenire
operativo nel 2006 arrivando a pieno regime nel 2015, rappresenta un
successo senza precedenti poiché l'ENI è riuscita a
vincere la concorrenza dei colossi petroliferi mondiali divenendo
operatore unico.
Ma l'ENI non è presente solo in Kazakistan. In Azerbaigian l'ENI
fa parte, in società con i russi della Lukoil, del consorzio
multinazionale che esplora l'area off-shore di Shack Denitz mentre nel
nord della provincia russa di Astrachan, a poche decine di chilometri
dal confine kazako, l'ENI sta operando dal 2001 una campagna di
sondaggio in società con un altro gigante russo, la GAZPROM.
Il Mar Caspio rappresenta, insieme all'Iran con il quale sono stati
raggiunti alcuni maxi accordi fra il 1999 e il 2001 con francesi e
iraniani, la nuova frontiera energetica dell'ENI. Si tratta di una vera
"rivoluzione" se si considera che appena nel 1998 il 60% del petrolio
ENI veniva prodotto nel Nord Africa e nell'Africa occidentale, mentre
il restante 30% proveniva dal Mare del Nord e dalla produzione interna.
Dando prova di una grande intraprendenza i dirigenti dell'ENI hanno
quindi impiegato gli enormi profitti ricavati negli ultimi anni in
scelte anche rischiose poiché investire nel Mar Caspio e in Iran
significa entrare in rotta di collisione con gli interessi
imperialistici degli Stati Uniti.
LA GUERRA DEGLI OLEODOTTI: USA CONTRO RUSSIA MA NON SOLO…
Per rendersi conto degli interessi che si muovono attorno alla regione
caspica occorre riassumere, sia pur brevemente, quello che gli
specialisti di geopolitica definiscono il "grande gioco americano in
Eurasia", cioè nella regione che comprende le tre repubbliche
del Caucaso (Armenia, Georgia e Azerbaigian) e le cinque repubbliche
centroasiatiche (Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan e
Turkmenistan), tutte nate dalla dissoluzione dell'Impero sovietico. A
partire dagli anni '90 la regione è divenuta per gli strateghi
americani essenziale nell'ambito dello sforzo per il controllo
dell'equilibrio energetico globale tramite la creazione di un sistema
di estrazione alternativo a quello ormai troppo insicuro del Golfo
Persico e chiuso alla penetrazione di Iran, Cina, India e,
naturalmente, Russia. Verso la metà degli anni '90 Washington
lancia la rituale campagna propagandistica, sostenuta dai suoi
"autorevoli" centri di ricerca, tesa a sopravvalutare le riserve di
petrolio del Mar Caspio, definite in grado di rivaleggiare con quelle
del Golfo. In pratica gli Stati Uniti perseguono una politica di
proiezione di potenza con l'obiettivo di espellere i russi e di tener
lontani gli altri rivali dall'Eurasia, considerata un potenziale
elemento di giuntura fra Europa, Medio Oriente, India, Cina, Pacifico.
A tal fine per gli americani è essenziale ottenere che le vie di
comunicazione e trasporto energetico per la regione seguano tracciati
funzionali a Washington e ai suoi alleati turchi, sauditi e israeliani.
In questo quadro gli americani giudicano prioritario: 1) togliere alla
Russia il monopolio degli oleodotti e dei gasdotti, 2) rafforzare le
oligarchie autoritarie al potere nelle otto repubbliche ex sovietiche
attraverso una penetrazione economica e militare, 3) associare Turchia
e Israele al piano strategico facendoli divenire consumatori finali del
gas caspico. È interessante notare come la strategia del governo
di Washinton abbia trovate spesso resistenze e contrasti proprio fra le
"major" angloamericane (la ExxonMobil, per esempio), tutt'altro che
convinte della redditività dei progetti architettati dagli
strateghi del Pentagono. Comunque sia, nella seconda metà degli
anni '90 vengono presentati una serie di nuovi gas-oleodotti che
escludono Russia, Iran e Cina. I progetti maggiori si concretizzano
attorno al cosiddetto AGT, enorme sistema per il trasporto di
idrocarburi fra Azerbaigian, Georgia e Turchia, articolato nel BTC
(Baku, Tiblisi, Ceyhan), oleodotto lungo 1.760 km che parte dalla
capitale armena Baku e arriva, attraversando la Georgia, al terminale
turco di Ceyhan, nel Mediterraneo, e nel SCP, gasdotto del sud del
Caspio che dovrebbe portare il gas da Baku al terminale turco di
Erzurum. Nei piani americani (e inglesi) all'AGT si dovrebbe connettere
un altro ambizioso progetto, il TCP (Trans Caspian Project), gasdotto
sottomarino che dovrebbe portare a Baku e quindi ai terminali turchi il
gas turkmeno, kazako e uzbeko.
A prescindere dalle difficoltà politiche ed economiche che hanno
portato alla sospensione del TCP e a gravi ritardi nel BTC c'è
da segnalare che i russi non sono stati a guardare anche perché
dopo la caduta del gruppo dirigente al soldo degli interessi
occidentali che ha governato negli anni di Eltsin, il governo di Mosca
si è reso conto che un successo della manovra americana avrebbe
significato lo strozzamento dell'economia russa, fondata al 40% sulle
esportazioni di idrocarburi. La prima mossa è stata la
costruzione del KTK, l'oleodotto entrato in funzione nell'ottobre 2001
che porta il greggio del Kazakistan al terminale russo di Novorossijski
nel Mar Nero, la secondo mossa è stata la costruzione del
gasotto "Blue Stream" che una volta ultimato porterà il gas
russo in Turchia attraverso il Mar Nero, mettendo quindi in crisi il
BTC. Nella primavera di quest'anno Putin ha poi varato un piano di
nuovi oleodotti "a 360 gradi" che dovrebbero portare gas e petrolio
russi nel Regno Unito, via Germania, Giappone, Cina e Stati Uniti.
LE STRATEGIA "MIRATE" DELL'ENI
Al di là degli esiti del "grande gioco", esiti tutt'ora incerti
dove si segnalano successi per gli americani ma anche per i russi ,
è interessante vedere come l'ENI si muova in questo "vespaio"
perseguendo i propri interessi. A questo proposito è utile
soffermarsi sull'intervento di Mincato alla Conferenza internazionale
sul gas di Istanbul svoltasi il 20 giugno 2001 (ben prima, dunque
dell'attacco alle torri gemelle). Mincato fornisce la sua visione della
diplomazia del petrolio e del gas, fondata su una strategia di vie
multiple per trasportare gli idrocarburi fuori dal Caspio. Non solo
Blue Stream, nel quale l'ENI è impegnata in società con
GAZPROM e turchi, ma anche partecipazione alla BTC e ad una eventuale
pipeline iraniana, progetto ventilato dai francesi. In agosto Mincato
parlerà anche di un progetto di pipeline sottomarina fra Iran e
India. Le ragioni delle scelte sono evidenti: l'ENI non ha alcun
interesse ad escludere, come vorrebbero gli americani, Russia e Iran,
con cui sta facendo ottimi affari, ma al tempo stesso deve tenere buoni
rapporti con i consorzi caspici, controllati dalle multinazionali
angloamericane. I dirigenti italiani non possono dimenticare che gli
Stati Uniti si sono fermamente opposti a Blue Stream, da essi
considerato un pericoloso concorrente al BTC. Si spiega così la
decisione di entrare con il 5% nell'angloamericano BTC, preceduta da
quella di entrare col 2% nel russo KTK!
Insomma l'ENI si barcamena piuttosto abilmente nel vespaio caspico con
un unico grande obiettivo: fare i propri interessi . Come sempre. Come
tutte le multinazionali.
Mario Baldassarri
Tabella
Le riserve e la produzione giornaliera delle principali compagnie petrolifere
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SOCIETA' RISERVE PRODUZIONE
(mld barili equiv.ti) (mln barili/giorno)
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EXXONMOBIL
21,1
4,4
SHELL
19,0
3,8
BP
16,3
3,4
TOTALFINAELF
10,7
2,2
CONOCOPHILIPS
8,5
1,7
ENI
6,9
1,5
REPSOL
YPF
5,5
1,0
ANADARKO
2,3
0,5
BURLINGTON
2,0
0,6
OCCIDENTAL
2,3
0,4
UNOCAL
1,9
0,5
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