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Da "Umanità Nova" n. 42 del 21 dicembre 2003

Rivolta e repressione
1894: i Moti della Lunigiana


Sono trascorsi 110 anni da quando il movimento dei Fasci Siciliani, culminato nel 1893, ed in seguito i Moti della Lunigiana, svoltisi ai primi di gennaio del 1894, diedero un forte scrollone al regime monarchico che sempre più si reggeva sulla negazione dello Statuto su cui si era fondata l'unità dello Stato italiano, sull'introduzione crescente di nuove tasse che andavano a colpire gli strati sociali più deboli, la repressione di ogni forma di dissenso, l'affacciarsi della pretesa di conquiste imperiali e la scelta di un uomo "forte" a capo del governo - Crispi - che sarebbe stato uguagliato e superato nei suoi metodi di gestione del potere soltanto trenta anni più tardi da Mussolini.

In quel periodo la zona di Carrara e le Apuane in generale, ove era sviluppata l'estrazione, la lavorazione e il commercio del marmo, rappresentava nel panorama italiano un consistente punto di aggregazione operaia, in un contesto in cui gli insediamenti industriali erano ancora in prevalenza attorno alla costruzione dei grandi snodi di comunicazione ferroviaria, alla fabbricazione di armi, all'edilizia nei centri cittadini che si andavano espandendo, la tessile con alcuni importanti centri al nord, in un contesto nazionale in cui al primo posto era l'agricoltura.

Da considerare inoltre l'importanza di un settore primario, rarissimo nella realtà italiana, in gran parte proteso verso l'esportazione con ritorni in solida valuta, a quasi esclusivo beneficio delle baronie che si erano andate consolidando.

Proprio in questo comprensorio avviene dunque il primo movimento sul territorio italiano a carattere popolare e di massa in cui sono largamente rappresentate le idee dell'emancipazione sociale attraverso l'impegno in prima persona, cioè le idee dell'anarchismo. Fin dalla fine degli anni '60 le idee anarchiche sono presenti, forse facilitate da un più accentuato rapporto con le grandi capitali europee di scalpellini e posatori di marmo, e trovano terreno particolarmente fertile in una popolazione sempre più espropriata del frutto del proprio lavoro, il quale quotidianamente miete vittime e mutilazioni.

Bakunin, Cafiero, Malatesta, Gori, Galleani, Schicchi, Molinari e tante altre figure di portatori del verbo e della prassi dell'anarchismo toscano e internazionale sono di casa fra questi monti, ove spesso tengono riunioni all'aperto e in luoghi appartati, riuscendo quasi sempre a sfuggire alle cure di una polizia particolarmente dedita alla loro intercettazione.

In seguito alla chiamata alla leva direttamente connessa con la repressione dei Fasci Siciliani, ove già era in atto lo stato d'assedio, ai primi di gennaio del 1894 vi è un forte movimento, che prende anche a motivazione i continui aumenti causati dalla tassazione sui generi alimentari e sui marmi. Sabato 13, hanno luogo vari concentramenti di lavoratori, in parte armati, per una sollevazione a carattere generale, che però non riesce - o rinuncia: i resoconti storici questo non sono ancora riusciti a chiarirlo - ad invadere il centro cittadino. Un consistente gruppo viene affrontato ad Avenza da due carabinieri di pattuglia, che uccidono un manifestante e ne feriscono numerosi altri nel tentativo di disperderli, ma a loro volta sono fatti segno di colpi di arma da fuoco, per cui uno muore e l'altro è ferito gravemente. Più o meno alla stessa ora, verso il tramonto, dai paesi a monte i manifestanti scendono verso Carrara ma si limitano a lambire il centro, danno a fuoco un casello del dazio e sulla strada di collegamento con Massa - la "Foce" - mettono di traverso un carro con marmi; anche qui vengono a collisione con due CC in perlustrazione, e ne risultano alcuni altri feriti. Ormai è notte e tutti si disperdono o si ritirano sui monti.

Il sindaco della città - il repubblicano Ratto - non esita ad invocare a gran voce l'invio di truppa, che avviene immediatamente, e la città è posta sotto stato d'assedio fin dal giorno seguente, al comando del generale Heusch dietro decreto di Crispi, prontamente firmato da Umberto I. Gli alpini cominciano ad operare rastrellamenti ed arresti in massa, accanendosi in particolare sulle liste di "sovversivi" fornite dalle autorità di pubblica sicurezza. Il lunedì i fermati sono già molte centinaia e i cavatori esortano l'insieme dei lavoratori a non riprendere il lavoro.

La mattina seguente, radunatisi in varie centinaia, scendono in città verso la caserma Dogali ove sono stati ammucchiati i rastrellati, per chiederne la liberazione. La truppa viene schierata all'esterno, e quando la moltitudine è sufficientemente vicina viene dato l'ordine di sparare, col risultato di undici morti e numerosissimi feriti. Il dato di nessun ferito fra la truppa è più che mai eloquente.

Subito viene insediato il Tribunale di Guerra a Massa, che funzionerà per oltre tre mesi sottoponendo a processo gli arrestati e distribuendo 454 condanne a oltre 2.500 anni di carcere: in pratica, non vi era famiglia di lavoratori in cui non vi fosse almeno un condannato.
Tutto ciò ha lasciato un segno indelebile sulla città, ed ha contribuito a consolidare quel clima di unità operaia che nei primi anni del '900 ha reso possibile conquiste sociali come la giornata lavorativa di 6 ore e 40 o la pensione ai cavatori (questo istituto con esisteva ancora) e, più tardi, durante e dopo il ventennio fascista, un forte movimento popolare di resistenza.

Alfonso Nicolazzi








 

 



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