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Da "Umanità Nova" n. 42 del 21 dicembre 2003

Milano COP9
L'autunno di Kyoto


Si è svolta a Milano dall'1 al 12 dicembre, la nona Conferenza delle Parti della Convenzione di lotta al Cambiamento Climatico (COP9). I rappresentanti dei 188 paesi convenuti avevano in programma temi riguardanti i meccanismi del protocollo di Kyoto, i Sinks, le energie pulite; come base scientifica di lavoro il terzo rapporto dell'Ipcc (Intergovernamental panel on climate change).

Ai rappresentanti istituzionali facevano da contraltare i portavoce delle organizzazioni non governative italiane (una quarantina) e quelli del Climate Action Network, la rete di organizzazioni non governative ambientaliste di tutto il mondo.

Con gli studi degli ultimi anni gli scienziati sottolineano un aumento delle emissioni di anidride carbonica del 30% ed incrementi della temperatura entro il 2025 tra 0,4 e 1,1 gradi. L'Italia incrementa le sue emissioni del 7% circa, anziché diminuirle; nel 1997, quando venne definito il Protocollo di Kyoto, per tornare ai livelli d'inquinamento del 1990, bisognava ridurre le emissioni del 5,8%, oggi per giungere allo stesso risultato bisogna ridurle dell'12%.
Per far entrare in vigore il trattato serve la ratifica dei paesi responsabili di almeno il 55 % dei gas serra, ma, anche se già ratificato da 120 Paesi, questo obbiettivo non è stato raggiunto.

Il no degli Stati Uniti, che rappresentano il 36 % del contributo mondiale alle emissioni, ha reso decisiva la firma della Russia, che produce il 17 % dei gas serra; ma anche in occasione del COP 9 milanese, il governo di Putin ha nuovamente rimandato la sua decisione, ritenendo il trattato incompatibile con le sue aspirazioni di crescita economica. Secondo alcuni si tratta di un ‘‘tentativo di alzare il prezzo della ratifica'', ma non si può negare che questo costituisce l'ennesimo fallimento della politica ambientale su scala planetaria.

Per assurdo, il protocollo di Kyoto, lungi dall'essere applicato negli aspetti relativi alla riduzione delle emissioni, sta diventando un'arma per introdurre nuovi elementi di criticità per l'ambiente.

È stata infatti avanzata una proposta, da una cordata di stati pro-ogm, per inserire foreste di alberi geneticamente modificati come forma di sink, ossia in funzione di "serbatoio", che compensi le emissioni dei paesi ad industrializzazione avanzata. A questo proposito il ministro dell'Ambiente Matteoli ha sostenuto di non essere contrario all'utilizzo di alberi geneticamente manipolati "perché questa non è roba che va nel piatto" ha affermato, dimostrando una visione demagogica e per nulla scientifica del problema.

I rappresentanti governativi hanno discusso dei fondi necessari per sostenere le tecnologie a basso impatto ambientale nei paesi in via di sviluppo, continuando a "sponsorizzare" gli investimenti privati su progetti di lotta al cambiamento climatico. Hanno, infine, affrontato il tema delle tecnologie "pulite" in particolare quelle collegate all'utilizzo dell'idrogeno. La conclusione è comunque la solita, la sensibilità ambientale è direttamente proporzionale alla possibilità di ricavare profitti, è con questa logica che i responsabili del danno si occupano anche di trovare il rimedio più adatto. Il guadagno che si garantiscono, in entrambi i casi, è naturalmente a spese della collettività.

Mar.Ta








 

 



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