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Da "Umanità Nova" n. 2 del 25 gennaio 2004

Orrori democratici
Guantanamo: la Corte suprema approva le gabbie


Uno ha tredici anni. Dicono che sia afgano. Altri due ne hanno quattordici. Se ne ignora la nazionalità. Quando sono arrivati, avevano poco più di dieci anni. Sono pericolosi nemici, pare che siano terroristi.
Vestono tute arancione, camminano coi ceppi ai piedi, sempre incappucciati, sbattuti in qua e in là da omaccioni in tuta mimetica. Dormono in gabbie a cielo aperto, fanno i loro bisogni sotto gli occhi di tutti. Ma non possono comunicare. Non sanno nulla delle famiglie, non sanno se il loro villaggio sia ancora in piedi, forse non ne ricordano nemmeno il nome.
Non hanno avvocati. Del resto, senza specifici capi di accusa, non si capisce a che servirebbe l'avvocato. E si sa come vanno le cose, quando si va per avvocati... E poi, proprio come i confinati del ventennio, ora sono in villeggiatura. Cosa vogliono di più? Vivono in una delle più belle isole del mondo, li hanno trasferiti dagli aridi deserti dell'Oxiana a godersi il sole e le palme dei Caraibi. E non soffrono di solitudine. Sono almeno seicento i loro compagni di avventura, più o meno giovani, più o meno esotici, più o meno coinvolti in quella brutta faccenda dell'11 settembre. Che poi tanti non sapessero neppure come fosse fatto un grattacielo, che importanza può avere?
Tutti senza avvocati, dicevamo. E senza diritti. Senza delegazioni umanitarie o commissioni parlamentari in visita in punta di piedi. Senza che la "libera stampa", orgoglio delle grandi democrazie, possa metterci becco. Senza che le opinioni pubbliche occidentali, sempre attente al rispetto dei propri diritti, levino qualcosa di più di una flebile voce di educata riprovazione. Così, tanto per non disturbare e salvare la faccia! Sono, queste, considerazioni che abbiamo fatto altre volte, e che altre volte ancora, ne siamo sicuri, si renderanno attuali e necessarie.
Guantanamo. All'epoca dei blocchi contrapposti, sarebbe stato un formidabile strumento propagandistico da usare come una clava contro l'avversario. Ma adesso che non c'è più un "avversario", adesso che siamo tutti alleati, più o meno volontari, del colosso americano, che bisogno c'è di fare della "propaganda"? Lasciamola a quegli straccioni del terzo e quarto mondo, che tanto... per quello che contano! E poi siamo in guerra. E à la guerre comme à la guerre, non si va per il sottile. I trattati internazionali, le dichiarazioni dei diritti, gli accordi fra "gentiluomini", tutte cose che non valgono nemmeno l'inchiostro con cui vengono scritte.

Così la pensa anche la Corte Suprema degli Stati Uniti, che sarà anche l'eterno mito che ci perseguita quando si tratta di esaltare i principi della democrazia liberale, ma che ogni tanto la sua brava schifezza non propriamente democratica la fa anche lei. È di questi giorni infatti la sua decisione di non ricorrere contro una sentenza della Corte d'Appello (e quindi, sostanzialmente, di approvarla) che ha giudicato pienamente legittimo il trattamento riservato ai detenuti di Guantanamo. E altrettanto legittimo il diritto del governo degli Stati Uniti di impedire, su tale trattamento, qualsiasi forma di controllo. Evidentemente, se dopo oltre due anni di detenzione questi prigionieri devono ancora essere privati delle più elementari forme di garanzia, e nessuno può andare a mettere il naso in quello che sta combinando l'Amministrazione Bush, le magagne che vi accadono devono essere veramente grosse. E il segnale che si vuole mandare al mondo intero, e in particolare a quello musulmano, non potrebbe essere più chiaro.
Se il governo dei neocons temesse realmente, nel terrorismo islamico, un ostacolo per i suoi interessi egemonici, non sarebbe certo con questa strategia che andrebbe a contrastarlo. Anzi! È evidente, infatti, che le inutili forme di umiliante prevaricazione e di arroganza messe in atto non solo a Guantanamo, ma anche nelle prigioni irachene e afgane controllate dagli americani, hanno il solo scopo di esasperare sentimenti già esasperati e dare nuova e preziosa linfa alle leadership islamiche che giocano, dall'altra parte del tavolo, la stessa partita di potere. Ed è altrettanto evidente che mantenere in continuo stato di fibrillazione sia l'opinione pubblica interna che i centri mondiali del potere politico ed economico, è un ottimo modo per giustificare e rendere indifferibili gli interventi armati, lo sviluppo di una impressionante macchina militare, la restrizione degli spazi di libertà, il varo di leggi ad hoc. Ormai tutto ciò è sempre più chiaro: la paura di un nemico invisibile e minaccioso, ingrassato ad arte e legittimato come il nemico, speculare, nelle sue pratiche di terrore, al terrore praticato dal potere, diventa l'alleata più fedele del nuovo imperialismo e lo strumento più efficiente per aiutarlo a realizzare i suoi progetti di dominio. Una volta si diceva "prevenire per reprimere", oggi, per reprimere basta solo strumentalizzare.
È la solita storia. Che, in piccolo o in grande, si ripresenta puntuale.

Massimo Ortalli












 

 



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