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Da "Umanità Nova" n. 2 del 25 gennaio 2004

Libia
L'ultimo walzer del Colonnello Gheddafi


Il colonnello Gheddafi sembra ci abbia stupito ancora una volta! È da poche settimane che la Libia si appresta a ritornare tra le nazioni bene del pianeta, e addirittura col beneplacito di zio Sam, che potrà in breve cancellarla dalla lista nera che Bush ha stilato nel 2002, includendola insieme a Iraq (fuori 1!), Iran e Corea del Nord - di rincalzo: Siria.
Le cose ovviamente sono più complicate del solito, e la rentrée libica nel mondo civile ben si presta a diventare un case study interessante per valutare come funziona la politica internazionale nell'era del terrore globale, con una avvertenza: almeno un protagonista della vicenda, la Libia per l'appunto, è retta da one man only, il che rende la leggibilità della politica estera più lineare, quantomeno rispetto ai molteplici fattori interni di un regime democratico poliarchico per definizione.

I media ci narrano che la svolta di Gheddafi - l'abbandono del programma nucleare e di dotazione di armi di distruzione di massa, unitamente all'accettazione (non ammissione, attenzione!) delle responsabilità sulla strage del volo Pan Am 103 nel 1984 a Lockerbie, e il conseguente pagamento di risarcimenti ai parenti delle vittime per 2.7 mld di sterline, in cambio della definitiva cancellazione delle sanzioni dell'Onu, già sospese nel 1999 - si dati al 9 ottobre scorso, quando l'intelligence europea e americana intercetta un cargo tedesco nel Mediterraneo, contenente turbine per la costruzione di un reattore nucleare, proveniente dai mercati neri asiatici, forse dal Pakistan, destinato alla Libia, sequestrandolo e ancorandolo al porto di Taranto.
Tuttavia, questa ricostruzione pecca di ingenuità, non solo per via dei contatti europei da tempo ristabiliti con la Libia - Italia in primis con Dini e D'Alema negli anni scorsi: la Libia, che sforna ogni giorno 1,7 mln di barili (la metà di quanto faceva negli anni ‘70, dato l'embargo sulle tecnologie), ci rifornisce di petrolio insieme all'Iran, la Lafyco è azionista al 2% della Fiat col benestare governativo, mentre il Regno Unito è stato mediatore ufficiale con gli Usa per l'affare Lockerbie - ma anche perché da almeno gli inizi del 2003 erano stati avviati colloqui più o meno informali con emissari statunitensi per il rientro della Libia tra i partner affidabili della terra.

Gheddafi ha colto l'occasione dell'11 settembre per smarcarsi ulteriormente dal fondamentalismo islamico, più di quanto avesse fatto nel 1999, in quanto la sua concezione islamica, mutate le condizioni di panarabismo degli anni ‘70 e prosciugate le riserve per gli aiuti al terrorismo internazionale negli anni ‘80, si è rivolta al progetto fertile dell'Unione Africana, su modello europeo, in cui l'influenza libica sulle regioni del Sahel e del centroafrica fanno del colonnello un interlocutore pari al Sudafrica quale perno di stabilità. E gli Usa, se vogliono ipotecare la prossima UA, saranno costretti a tenerne conto, e quindi preferibilmente da amici con cui aver risolto già il contenzioso. D'altra parte, Gheddafi è stato attaccato dai fondamentalisti islamici, secondo i quali la società libica non è sufficientemente islamizzata, e la sua dittatura continua a proibire la partecipazione partitica organizzata, in breve non esiste opposizione né libertà di stampa, pur avendo garantito alla propria popolazione un periodo di "benessere" relativo, sia in termini quantitativi, rispetto ad altre popolazioni moribonde del continente nero, sia in termini qualitativi (la condizione femminile in un paese formalmente islamico), anche se adesso la crisi finanziaria di un regime isolato pesa sui conti pubblici.

Volendo pensare quindi alla propria autoriproduzione (per sé medesimo e per i propri figli, forse), in Africa Gheddafi potrà contare se si sgancerà dal panarabismo che oggi si ripresenta sotto le vesti panislamiste, quindi scarsamente propense a sostenere leader nazionali e nei fatti laici quanto al rapporto tra potere e clero. Da qui la svolta libica, che segna da qualche tempo. Del resto, l'embargo Onu alla lunga indebolisce, specie se il contorno del paese desertico non offre mercati da cui approvvigionarsi e su cui contare come sfogo interno di ciò che non è possibile fare altrove; un sostegno tecnologico consentirebbe alla Libia di raddoppiare la produzione energetica (petrolio e quel po' di gas che possiede nelle viscere del suo sottosuolo), offrendosi come partner all'Europa in un momento in cui l'Europa ha bisogno di diversificare la soddisfazione della propria domanda energetica distraendola da un Medio oriente sempre più infuocato e nelle mani della superpotenza alleata e concorrente. La mossa di Gheddafi, pur andando incontro agli Usa, suona anche un po' come sberleffo all'impero a stelle e strisce, perché aiuta direttamente la rivale europea, offrendo solo uno schieramento già effettuato in chiave anti-fondamentalista. Che poi i programmi di dotazione di armi di distruzione di massa e della bomba nucleare siano ad uno stadio embrionale, ce lo ricorda lo stesso Direttore dell'AIEA viennese, l'egiziano El-Baradei.

Infine, tutto questo gioco degli specchi per riammettere la Libia nel clan delle nazioni perbene avviene senza sparare un colpo (a differenza di quanto pensò Reagan nel 1986, quando cercò di assassinare il colonnello in pieno deserto, uccidendogli una figlia, per non parlare dello scenario bellico del giugno 1980 sui cieli di Ustica pochi minuti prima che un razzo di qualche caccia in missione segreta facesse esplodere il DC7 dell'Itavia). In piena epoca di unilateralismo preventivo dei neoconservatori bushiani, volete mettere la bella soddisfazione di un risultato diplomatico in chiave multilaterale di fronte al quale la superpotenza americana non può non accettare l'esito?

Salvo Vaccaro












 

 



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