Da "Umanità Nova"
n. 2 del 25 gennaio 2004
Nuove tecniche di controllo
Niente più segreti
Il
primo gennaio di quest'anno è entrato in vigore il "Codice in
materia di protezione dei dati personali" (Legge Delega 127/2001), una
raccolta di varie norme in materia di riservatezza che segna il punto
di arrivo della Legge 675 del 1996, la cosiddetta "legge sulla
privacy", con la quale per la prima volta in Italia si affrontavano
questi temi.
Il Decreto è un corposo malloppo di quasi duecento pagine che
spazia dalla sicurezza dei sistemi di archiviazione dei dati personali
ai codici deontologici di varie categorie professionali, dall'accesso
ai documenti amministrativi all'uso degli archivi da parte delle forze
di polizia e della magistratura.
Senza entrare nel dettaglio dei singoli articoli basti
segnalare che, come spesso accade, le "buone" intenzioni dell'estensore
del Codice si scontrano con la realtà di un sistema sociale che
ha fatto del controllo e della trasparenza (nel senso che allo stato
non si può nascondere alcunché) due dei principali
cardini della sua politica di autoconservazione. E così, tutte
le belle promesse sulla possibilità di mantenere qualche momento
della propria vita al riparo dal paranoico occhio statale si infrangono
invariabilmente davanti alle necessità del controllo e della
repressione.
Per fare un esempio, l'Art. 6 (Disciplina del trattamento) prevede che: "1.
Le disposizioni contenute nella presente Parte si applicano a tutti i
trattamenti di dati, salvo quanto previsto, in relazione ad alcuni
trattamenti, dalle disposizioni integrative o modificative della Parte
II."
Ovviamente la "Parte" in questione si riferisce ai dati
archiviati nei computer delle forze di polizia che sono esentate dal
rispettare le norme, come chiaramente specificato nell'Art. 53, del
quale riportiamo il primo comma:
"1. Al trattamento di dati
personali effettuato dal Centro elaborazione dati del Dipartimento di
pubblica sicurezza o da forze di polizia sui dati destinati a
confluirvi in base alla legge, ovvero da organi di pubblica sicurezza o
altri soggetti pubblici per finalità di tutela dell'ordine e
della sicurezza pubblica, prevenzione, accertamento o repressione dei
reati, effettuati in base ad espressa disposizione di legge che preveda
specificamente il trattamento, non si applicano le seguenti
disposizioni del codice: a) articoli 9, 10, 12, 13 e 16, da 18 a 22,
37, 38, commi da 1 a 5, e da 39 a 45; b) articoli da 145 a 151."
Nulla di nuovo quindi in una normativa che serve solo a dare
l'illusione di una riservatezza capace di scendere nei minimi
particolari in alcuni settori e lasciarne completamente scoperti altri.
Ma qualcosa doveva essere sfuggito alla vigile opera dei
novelli guardoni per cui, con la solita tecnica del "colpo di mano
festivo", attuata alla vigilia dello scorso Natale, il Governo ha
pensato bene di modificare sostanzialmente uno degli articoli del
Codice, ancor prima che entrasse in vigore, quello riguardante la
durata della conservazione dei dati.
L'Art. 123 infatti prevedeva che i dati dei flussi di
comunicazione potessero essere conservati per una durata non superiore
a sei mesi e, solo in caso di una eventuale richiesta della
magistratura, anche per un ulteriore periodo di trenta mesi, come
previsto dall'Art. 132.
I Ministri Stanca e Castelli hanno deciso di inserire nel decretone
natalizio una norma che invece prevede la conservazione dei dati per
almeno sessanta mesi (30+30), e questo - naturalmente - al fine di
salvaguardare le necessità della "lotta alla criminalità
organizzata e al terrorismo".
Lo scorso anno, la retata contro le "nuove BR" si è
basata, stando ai comunicati ufficiali, proprio dall'analisi del
traffico telefonico di cellulari e schede e per alcuni degli arrestati
le uniche prove in mano agli inquirenti sono esclusivamente delle
telefonate dei cui contenuti nulla si può sapere. Inutile far
rilevare l'assurdità di trasformare in prove di reato dei
collegamenti telefonici che, per quanto improbabile, potrebbero anche
solo essere frutto di una casualità: chi oserebbe utilizzare una
scheda telefonica trovata per strada e che magari è già
servita per una chiamata "fuorilegge"?
Ma c'è anche il lamento sollevato dai gestori del
traffico di dati, che si dovranno accollare per legge l'archiviazione
di quantità sempre maggiori di informazioni, il che si
tradurrà in un aumento delle spese di gestione senza una diretta
contropartita economica, a meno di non voler scaricare sull'utenza
anche questi ulteriori costi. Il problema è di particolare
urgenza per gli Internet Provider che, si solito, conservano i dati
relativi ai collegamenti solo per pochi giorni e solo per ragioni
tecniche e che invece adesso dovrebbero attrezzarsi per custodire (in
modo "sicuro") quantità ingenti di dati.
Ma il problema più grave è che, incrociando i
dati dei flussi di informazione è ormai possibile ricostruire
nei dettagli la cerchia delle relazioni di vita che ognuno di noi
intesse con gli altri: telefonate fatte e ricevute, messaggi di posta
elettronici spediti e arrivati. E poco importa che, come si sono
affrettati a chiarire i Ministri, tali controlli non riguarderanno i
"contenuti" delle comunicazioni.
Questo ennesimo passo verso il tentativo di controllo totale
della società vede, purtroppo, una debole opposizione e non solo
da parte della sinistra riformista, fatto scontato, ma anche da parte
di ampi settori del movimento di opposizione che - pericolosamente -
sottovalutano questo specifico aspetto della lotta contro il sistema di
sfruttamento che sta diventando sempre più necessaria e, col
passare del tempo, sempre più difficile.
Pepsy
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