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Da "Umanità Nova" n. 3 del 1 febbraio 2004

"Bruciati come topi"
Algeria: la catastrofe al petrolchimico di Skikda


27 morti e 74 feriti è il tragico bilancio dell'esplosione che lunedì 19 gennaio ha praticamente distrutto il maggiore centro petrolchimico algerino, quello di Skikda. Del più grande disastro industriale mai accaduto in Algeria, la "grande stampa" italiana ha parlato pochissimo considerandolo uno dei tanti avvenimenti minori che colpiscono il terzo mondo. È invece opportuno approfondire questa notizia perché quello che accaduto in Algeria poteva accadere in una delle tante polveriere industriali situate in Italia. Come sempre in questi casi non si è trattato di fatalità o di imperizia nella gestione di impianti ad alto rischio – come magari un certo modo di dare le informazioni cerca di farci credere - ma di un crimine figlio della ricerca spasmodica del profitto e della leggerezza e incoscienza dei responsabili della fabbrica.
Ma veniamo ai fatti come sono stati ricostruiti dal giornale algerino "Libertè" nei suoi reportage pubblicati dal 20 al 24 gennaio. Altre notizie le abbiamo raccolte da diverse fonti presenti in rete.

Sono le 18 e 40 di lunedì 19 gennaio, l'enorme complesso petrolchimico di Skikda, città portuale a 600 km da Algeri, è semideserto. Il complesso, nato nel 1973 e ampliato nel 1981, si estende su una superficie di 92 ettari e ha una capacità di produrre annualmente 8 miliardi di metri cubi di GNL (gas naturale liquefatto), oltre a quantità minori di etano, di propano, di butano e di gazoline. La struttura ha anche una notevole capacità di stoccaggio dei prodotti in gran parte destinati all'esportazione. I 12mila dipendenti hanno lasciato il lavoro e la fabbrica è presidiata solo da tecnici e operai addetti alla manutenzione e alla sicurezza. "C'è stata una prima esplosione - ricorda Kraim Ryad, uno dei sopravvissuti che al momento dello scoppio si trovava a pochi metri dalla fatale unità 40 - ma niente di particolarmente grave. Come in altre occasioni ho pensato che la caldaia dell'unità 40 aveva ceduto". Ryad ricordava bene che sei mesi fa la caldaia dell'unità 40 aveva subito un incidente simile senza però gravi conseguenze. Ma ben presto ecco una seconda detonazione, seguita da una terza sorda e fatale che getta Ryad a terra, stordito. Nel giro di pochi minuti l'impianto della Sonatrach, la società petrolifera pubblica, si trasforma in un inferno di fuoco. Vanno in cenere oltre all'unità 40 anche la 30 e la 20 oltre al nuovissimo blocco amministrativo. Nella vicina Skikda la popolazione si riversa nelle strade, convinta di essere vittima di un terremoto, poi scorge una nuvola opaca avvolgere le alture che circondano la città. Eppure poteva andare peggio, enormemente peggio. Se l'incendio avesse raggiunto le cisterne di stoccaggio la deflagrazione avrebbe annientato tutto nel raggio di 45 km2, vale a dire la città di Skikda e i suoi 150mila abitanti. Solo un caso e l'intervento dei pompieri ha bloccato le fiamme in prossimità dell'unità 10, situata a ridosso della zona di stoccaggio. Dopo 13 ore di lavoro alle 7 del mattino i pompieri riescono a domare l'incendio.

"Ci hanno bruciato come topi" denuncia Aami Ahmed, operaio, che piange i suoi compagni di lavori ammazzati dallo scoppio della caldaia: "Sono tutti morti, ho visto dei pezzi di cervello da una parte e piedi e mani dall'altra". "Scrivetelo - dice Ahmed ai giornalisti - sono i responsabili della fabbrica che hanno ucciso i nostri compagni. Ci hanno rinchiuso come dei topi, vedete, questa recinzione che circonda tutta la fabbrica ha bloccato i lavoratori che volevano sfuggire alle esplosioni e all'incendio. Nessuno poteva fuggire anche dopo aver udito le prime esplosioni e vibrazioni. L'hanno fatto apposta, sono degli assassini, degli irresponsabili, avranno sulla coscienza i nostri amici morti carbonizzati…"  La collera operaia si è fatta sentire anche durante la visita del presidente della repubblica algerina, Bouteflika: "Ye kedhbou aalina" (ci stanno mentendo) urla un operaio mentre un altro denuncia: "Tutti i dirigenti sapevano che l'unità 40 era ciclicamente guasta e che costituiva un grave pericolo, ma tutti hanno fatto finta di non vedere". Bouteflika assorbe senza batter ciglio le contestazioni e promette di istituire la rituale "commissione d'inchiesta".

Degno rappresentante della classe dirigente algerina - una burocrazia di stato arricchitasi all'ombra della rendita petrolifera - Bouteflika appare preoccupato solo di rassicurare i partner esteri (Italia compresa) della capacità algerina di garantire le forniture di GNL. D'altra parte quella degli idrocarburi è la maggior fonte di profitti del paese che nel 2003 ha raggiunto la produzione record di 210 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. I governanti e i manager di Stato algerini sembrano meno preoccupati da incendi, esplosioni o fughe di gas, anche con conseguenze mortali, più volte denunciati nel 2003 dalla stampa del paese.

Fin qui i fatti che siamo riusciti a ricostruire. È evidente come la catastrofe di Skikda ricordi tante italiche tragedie, dalla micidiale nube tossica sprigionata da una anonima fabbrichetta di Seveso, il 10 luglio 1976, allo scoppio all'interno del Petrolchimico di Marghera che il 28 novembre 2002 rischiò di ripetere la catastrofe di Bhopal del dicembre 1984. A Skikda, come a Bhopal, a Porto Marghera, a Gela, a Tolosa e in decine di altri centri ad alto rischio, Stato e capitale applicano la stessa logica di rapina, lo stesso cinismo che gioca d'azzardo con la vita e la sorte delle persone e dell'ambiente del "terzo" come del "primo" mondo. A Skikda era "tutto sotto controllo" e i reparti ultrasicuri… E se poi succede qualcosa ci pensano le "commissioni d'inchiesta" e i tribunali ad insabbiare. Tutti assolti, come a Bhopal, come a Porto Marghera, come sempre…

Indagator













 

 



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