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Da "Umanità Nova"
n. 3 del 1 febbraio 2004
La gabbia legale
Migranti: le cavie di un nuovo modello disciplinare
La
legge Turco-Napolitano in materia di immigrazione ha introdotto nel
nostro ordinamento, tra l'altro, un istituto (peggiorato dalla legge
Bossi-Fini) che per la sua gravità merita un'attenta analisi:
quello dei CPT, cioè dei Centri di Permanenza Temporanea. Dietro
la blanda formulazione si nasconde una realtà di violenza e
squallore indegna di un paese che si proclama civile, una vera e
propria realtà carceraria dove vengono rinchiusi gli
extracomunitari in attesa di espulsione. La peculiarità dei CPT
è che per esservi rinchiusi non è necessario aver
commesso nessun reato classico di sorta (furto ecc.): basta essere
entrato o permanere illegalmente nel nostro paese; basta, cioè,
aver violato una disposizione meramente formale. Per di più
tutta la gestione dei CPT fa capo al ministero dell'Interno, si svolge
su di un piano amministrativo in cui le garanzie di chi finisce nelle
maglie di questa rete ben poco valgono. Le condizioni all'interno dei
CPT sono note: degrado igienico-sanitario, pestaggi, violenze e
umiliazioni; da ultimo, è emerso che in alcuni CPT si svolgano
vere e proprie pratiche manicomiali, come la somministrazione
indiscriminata di psicofarmaci. Val la pena riflettere sul trattamento
che viene riservato a chi ha solo la colpa di esser immigrato nel
nostro paese per cercare una vita migliore. Il fenomeno
dell'immigrazione da aree povere a aree più ricche del pianeta
è fenomeno storicamente sempre esistito: il bisogno muove gli
uomini a lasciare tutto e emigrare, nell'Italia dell'800, come
nell'Africa di oggi: l'emigrante non è un turista. Le
sperequazioni attuali tra i continenti, fra Nord e Sud del mondo, la
fame, la guerra, spingono masse sempre maggiori di uomini e donne a
emigrare verso i luoghi dell'opulenza, tra cui il nostro paese. Ma qui
trovano una legislazione punitiva che cerca di impedire loro una vita
normale, lacci e lacciuoli burocratici, se non vera e propria
repressione. Il modello dei CPT è quello dell'incarcerazione "di
polizia" senza processo e va combattuto perché crea un circuito
discriminante e punitivo per alcuni membri della società,
insinuando l'accettabilità di pratiche repressive fuori da ogni
controllo e basate solo sull'appartenenza ad un gruppo (in questo caso,
gli extracomunitari). Assistiamo oggi negli Stati Uniti ed in
Inghilterra a pratiche simili (detenzione senza processo) sui
sospettati di "terrorismo" e non ci sarebbe da stupirsi se il fenomeno
si allargasse. La costruzione di status giuridici differenti
all'interno della società, status gestiti dalle forze "di
polizia" rientra in un progetto in atto di restringimento delle
libertà fondamentali in occidente. Agli extracomunitari spetta
di far da cavie; domani potrebbe toccare a chiunque. La lotta per
l'abolizione dei CPT è la lotta di tutti noi per una
società libera e solidale.
Simone Bisacca
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