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Da "Umanità Nova"
n. 3 del 1 febbraio 2004
I mille fronti di Mr. Bush
Il discorso dell'Unione: guerra e religione
Sicuramente
non è il massimo dei piaceri doversi occupare delle
argomentazioni con le quali i ghost writers della Casa Bianca hanno
infarcito il tradizionale discorso sullo stato dell'Unione, letto
recentemente (con la immancabile difficoltà) da George W. Bush
davanti al Parlamento statunitense. Ma poiché questo signore,
oltre ad essere il presidente degli Stati Uniti, vuole anche essere il
padrone del mondo e, temiamo, dei nostri destini, una qualche
considerazione su tale discorso va inevitabilmente spesa. Glissando
però, con nobile generosità, sulla espressione facciale
con la quale il presidente ha recitato il suo copione, a tratti
disinvolta e maledettamente intelligente come quella di un criceto in
letargo, a tratti stupefatta e incattivita come di uno che si è
appena fatto ciullare lo stipendio al tavolo delle tre carte.
Sia come sia, Bush e i suoi consiglieri hanno illustrato con pragmatica
chiarezza cosa hanno fatto, perché lo hanno fatto e,
soprattutto, cosa intendono ancora fare. Come era prevedibile, il punto
centrale dell'allocuzione, circa la metà del tempo che l'ha
visto faticosamente impegnato nella lettura, ha riguardato la
situazione irachena e afgana ("paesi nei quali è stata riportata
la libertà e che ora marciano sulla strada della democrazia"), e
la conseguente, scontata, riproposta della crociata contro il
"terrorismo", anche se, stranamente, si è ben guardato dal
nominare l'amico e collega Osama. Premesso, dunque, che gli Stati Uniti
"porteranno a termine il lavoro cominciato" (meno male, temevamo che
volessero smettere!), ha lasciato intendere che la nuova politica
espansionista americana, tesa a impadronirsi direttamente delle materie
prime e ad affermare la leadership militare e finanziaria della
superpotenza, non è che agli inizi, e che inevitabilmente a
questa strategia globale dovranno adattarsi tutti gli altri paesi.
Incluso, naturalmente, quello governato dall'amico Berlusconi.
Se indubbiamente l'aspetto fino ad oggi più
(s)qualificante dell'iniziativa dell'amministrazione repubblicana,
ossia l'impegno armato con i suoi tragici risultati, ha rappresentato
l'argomento più forte e prevedibile del discorso presidenziale,
anche altri sono stati, come naturale, i punti trattati dal presidente.
Tutti comunque, pur nella loro varietà, facenti esplicito
appello ai sentimenti reazionari, illiberali e antisolidaristici di
quella vastissima opinione pubblica che si riconosce ottusamente
nell'oltranzismo fondamentalista tipico della più profonda anima
americana. Si sa, del resto, che Bush ha buon gioco nell'evocare questa
subcultura integralista e identificarsi con essa, perché questa
occupa pienamente il suo piccolo mondo popolato di irrazionali e
superstiziosi fanatismi e di certezze talmente granitiche da escludere
ogni possibilità di dialettica: di qua il bene, di là il
male. Ne sappiamo qualcosa anche da noi!
Ecco quindi, sbattuti in faccia al mondo intero, i soliti osceni
interessi economici e politici, rivendicati con cinica
brutalità, mescolati a ispirati richiami a una morale assoluta
che dovrebbe a trovare sostanza in un terrificante stato etico. Un vero
e proprio incubo!
Di qua l'esaltazione del militarismo, il taglio delle tasse ai
profitti delle imprese, il sostegno all'industria bellica, i progetti
di guerra e rapina ai danni dei paesi più deboli, l'estensione
di provvedimenti limitanti le più elementari libertà, la
privatizzazione di una sanità pubblica già ridotta ai
minimi termini; di là gli aiuti alle congregazioni religiose,
l'invito alla castità, il monito a non fornicare fuori dal
sacramento matrimoniale, la riproposizione di una cultura omofobica
escludente e repressiva, la centralità della religione nella
scala dei valori da sostenere. Perfino l'abuso degli steroidi nello
sport professionistico. Di problemi ambientali, diritti delle fasce
deboli della popolazione, morti in guerra, americani o meno che siano,
aiuti alle organizzazioni internazionali, evidentemente non valeva
neppure la pena parlare. Anche il famoso progetto di far uscire dalla
clandestinità milioni di lavoratori chicanos, recentemente
strombazzato ai quattro venti, è finito nel mare delle nebbie
delle buone intenzioni.
Se fossimo ancora permeati da quella "antica" supponenza tutta
europea che portava a vedere negli americani dei bambinoni ingenui,
generosi e un po' sciocchi, i classici "grandi, grossi e pistoloni"
tanto per intenderci, potremmo forse limitarci a sorridere di fronte a
queste pruderies bigotte e moralistiche, e relegarle nella stravaganze
proprie di un popolo sostanzialmente chiuso ed egocentrico. Ma
poiché, è giocoforza ammetterlo, abbiamo già
dovuto occuparci da un pezzo della loro egemonia in campo politico e
militare, e delle conseguenze sulle nostre vite delle loro rapaci
teorie economiche, pensare che possano colonizzarci anche nella sfera
della morale privata, è roba da far tremare le vene ai polsi.
Per non perderci il sonno, non ci resta dunque che resistere,
resistere, resistere. A costo di farci dolorosi e reciproci torti fra
coniugi, di vanificare i sacrifici fatti per raggiungere la pace dei
sensi, di riempirci di testosterone per giocare al football, di non
dare più l'obolo al frate all'angolo, e di costringere una
coppia di amici gay ad andare a sposarsi nella residenza municipale. E
fargli anche da testimoni alla faccia di daboliù!
Massimo Ortalli
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