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Da "Umanità Nova"
n. 3 del 1 febbraio 2004
La città della morte
Ciudad Juárez: strage delle donne
Ciudad Juárez, una grande città al confine tra Messico e Stati Uniti.
Una città di due milioni di abitanti, sorta nel nulla al confine del deserto.
Un deserto in cui, da dieci anni, affiorano corpi di donne uccise, seviziate, stuprate.
Corpi mummificati dal sole e mangiati dagli animali del deserto.
Dal 1993 ad oggi sono 370 le donne uccise da mani sconosciute e più di 200 sono scomparse.
Una carneficina infinita, senza colpevoli, senza storia, senza nessuna parola che la racconti.
Le donne di Ciudad Juárez hanno ribattezzato la loro città con il nome "città della morte".
Ciudad Juárez è una città nata dal
nulla. Una città di immigrati: gente povera che arriva qui di
passaggio, inseguendo il sogno americano. L'America è a pochi
passi, al di là del Rio Grande.
Di qua, invece le maquilladoras, che producono a ciclo continuo,
più di 4.000 fabbriche che appartengono a grandi multinazionali
e che impiegano per l'80% manodopera femminile; salari irrisori e senza
garanzie, le stesse operaie al di là del fiume, negli USA,
guadagnerebbero 10 volte di più. Maquilladoras, il nome con cui
vengono definiti gli impianti industriali deriva da "maquilla", la
parte di farina che il mugnaio trattiene per sé. E il nome
già indica a chi andranno i profitti...
50.000 immigrati nuovi ogni anno, che vanno ad abitare le baraccopoli
della città, sognando di potersi spostare ancora più a
nord, di andare via al più presto, ed invece accumulano rabbia e
frustrazione.
Una città di confine, lontana dalle altre, con un tessuto
sociale disgregato. Uno sviluppo incontrollato ed improvviso, una
città divisa tra i ricchi quartieri dei dirigenti e dei
narcotrafficanti e le periferie senza acqua e senza luce.
Ed in questa città, ancora più che altrove, le donne diventano oggetto di orrore.
Una città poverissima, immersa in una società machista.
Nelle famiglie messicane vige il culto dei vecchi. Associazioni di
donne raccontano di centinaia di casi di bambine stuprate dai nonni. Un
mondo dove gli adulti subiscono le devastazioni del potere economico, i
più giovani subiscono il potere degli adulti e le donne
subiscono...
Un mondo dove le donne sono strette tra un sistema economico che le
sfrutta ed un sistema culturale che le opprime e le colpevolizza
proprio perché vanno a lavorare.
E, da dieci anni, le donne continuano a sparire, per riapparire poi violate e straziate, nel deserto.
Sulle cause di questo orrore si sono fatte molte ipotesi: traffico di organi, videotape estremi, tratta delle bianche...
Tutte le ipotesi sono possibili. Il governo non indaga, lascia correre,
e riconduce tutto a delitti familiari. Per il governo non esiste
emergenza criminale ed ha inventato alcuni colpevoli. Non sono mai
state svolte indagini approfondite, le testimonianze sono state
manipolate, molti sono stati costretti a confessare sotto tortura per
trovare in fretta un colpevole qualsiasi, gli stessi mass media locali
solo da poco hanno cominciato ad occuparsi del problema.
Ma i delitti continuano... Le donne continuano ad essere uccise: tutte giovani, tutte povere, tutte torturate.
Chi c'è dietro tutto ciò? Chi possiede il denaro ed il potere sufficiente per poter agire impunito da dieci anni?
In questa città i diritti umani ed i diritti delle
donne sono calpestati, schiacciati, stritolati tutti i giorni. Le donne
sono strette in una morsa di miseria e violenza. Donne povere che si
vorrebbe anche senza voce.
Ma qualcuna protesta, nonostante le pesanti minacce e le intimidazioni ricevute.
A Ciudad Juárez le donne hanno eretto una grande croce per
testimoniare questa tragedia e vi hanno conficcato più di 500
chiodi, uno per ogni donna scomparsa, una per ogni vittima di questo
orrore. Quanti altri chiodi ancora dovranno essere conficcati prima che
tutto questo finisca?
Le donne di Ciudad Juárez si ritrovano attorno al
monumento. Attaccano ricordi, fogli, oggetti appartenuti alle donne
scomparse. Mantengono viva la memoria e la voglia di lottare. La loro
canzone dice: "...non ci stancheremo mai di gridare... NI UNA MAS"
R. P.
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