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Da "Umanità Nova"
n. 4 dell'8 febbraio 2004
La guerra continua
DS: bandiere di pace e responsabilità di guerra
La
politica del centro-sinistra sulla guerra in Iraq e Afghanistan ricorda
quei balconi da cui, dopo l'attentato di Nassirya, penzolavano le
bandiere della pace affiancate al tricolore a lutto. Che piaccia o
meno, la bandiera arcobaleno esprime il ripudio radicale dei colori
nazionali e vederla abbinata a quella italiana ci è parso uno
dei tanti controsensi di certo pacifismo.
Ricordiamo anche le tante bandiere dei DS e della Sinistra
Giovanile sventolate all'immensa manifestazione contro la guerra del 15
febbraio dello scorso anno a Roma, ossia le bandiere di quel partito
che solo quattro anni prima, quando era al governo, si rese
storicamente responsabile (assieme a Comunisti Italiani e Verdi, mai
dimenticarlo) della non meno orrenda aggressione della Nato contro la
Jugoslavia.
Tale paradosso si sta riproponendo in queste settimane.
Lo scorso 9 gennaio, mentre il capo del governo italiano si
stava restaurando la maschera, il Consiglio dei ministri ha approvato
un decreto legge per prorogare sino al 30 giugno 2004 le missioni
militari all'estero (Iraq, Afganistan, Balcani, etc. per un totale di
8.000 militari); in tale occasione, il tronfio sottosegretario alla
Difesa Bosi ha sintetizzato il senso di tale provvedimento con una
frase degna di un film di John Wayne: "L'Italia resterà in Iraq
costi quel che costi…".
Tale decreto, per essere efficace con relativi impegni di spesa (oltre
200 milioni di Euro soltanto per l'intervento in Iraq), dovrà
essere approvato dal Parlamento entro il 22 marzo ed il
centro-sinistra, dopo aver protestato per il fatto che il governo ha
accorpato in un unico decreto tutte le missioni all'estero comprese
quelle che vengono ritenute "umanitarie", si è subito dimostrato
diviso sul voto; d'altra parte dopo la risoluzione Onu dello scorso
ottobre che avallava l'occupazione militare dell'Iraq e dopo i morti di
Nassirya, gran parte dei dirigenti del centro-sinistra aveva
accantonato ogni riserva sull'interventismo tricolore, pur auspicando
"un coinvolgimento unitario dell'Europa", il conferimento alle Nazioni
Unite di "poteri effettivi e responsabilità sulla transizione" e
l'entrata in campo di una "forza multinazionale".
D'altro canto, il centro-sinistra continua a non avere dubbio alcuno
sull'opportunità della partecipazione militare italiana al
perdurante conflitto in Afganistan.
I Democratici di Sinistra, seguendo l'indicazione di D'Alema,
sceglieranno quindi con ogni probabilità una pilatesca
astensione, ad eccezion fatta del patetico correntone "di sinistra" che
in questo modo, come i dissidenti Verdi nel '99, vorrebbe salvarsi
l'anima; mentre il partito della Margherita registra divisioni interne
anche più serie per la contrarietà dei cattolici.
Evidentemente le dirigenze del centro-sinistra non intendono
inimicarsi quei settori dell'imprenditoria italiana che si stanno
tuffando nel business iracheno della ricostruzione e non vogliono che a
Washington sorgano dubbi sulla loro fedeltà atlantica.
Tale tatticismo politicante, su una questioncella marginale
quale la diretta partecipazione dello Stato italiano all'occupazione
militare di un paese che non ha mai rappresentato una minaccia per
l'Italia, dovrebbe rivoltare ad ogni persona che si oppone alla guerra,
eppure tragicamente in tempo di elezioni buona parte del "popolo della
pace" continuerà a coincidere con il "popolo della sinistra",
perdonando l'imperdonabile e continuando a nutrire illusioni sul ruolo
dell'ONU e dell'Unione Europea quali "contraltari" del bellicismo Usa.
Questa visione infatti è perfettamente funzionale ai
disegni dell'amministrazione Bush, ansiosa di sganciarsi dall'inferno
iracheno, delegando all'ONU e all'Europa parte del peso di
un'occupazione che, in vista delle elezioni presidenziali, sta costando
la vita di troppi soldati e soldate statunitensi: 500 eroi scomodi i
cui funerali, per disposizione di Bush, non possono essere ripresi da
telecamere.
U. F.
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