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Da "Umanità Nova" n. 4 dell'8 febbraio 2004

Missione incompiuta
Georgia: giochi di potenza tra USA e Russia


Nell'ultimo articolo sul golpe dell'opposizione georgiana abbiamo affrontato le implicazioni geopolitiche di quanto è avvenuto tra dicembre e gennaio nella piccola repubblica ex sovietica. In quest'articolo vorremmo affrontare, invece, lo svolgimento dei fatti con un'analisi più puntuale degli avvenimenti politici a Tbilisi culminati con la presa del potere dell'opposizione nazionalista e filoamericana rappresentata dal neo presidente Saakashvili.

Il 2 novembre si sono svolte le previste elezioni legislative che hanno incoronato vincitrice la coalizione "Nuova Georgia" del presidente Eduard Shevardnadze, asceso al potere nel 1993 dopo la guerra civile iniziata nel 1991 che aveva visto il raccogliticcio esercito georgiano del primo Presidente, il nazionalista Gamsakurdia, disfarsi in fedeltà claniche e cedere di fronte all'insorgenza nazionale delle repubbliche autonome dell'Ossetia del Sud e dell'Abkhazia. La vittoria dell'ex Ministro degli Esteri di Gorbaciov viene immediatamente contestata dalle opposizioni nazionaliste che iniziano una campagna culminata con l'assalto al Parlamento georgiano del 23 novembre e proseguita con la mediazione del Ministro degli Esteri russo, Igor Ivanov il quale, dopo una visita al Presidente assediato e la partecipazione a un meeting dell'opposizione, annunciava l'abbandono del paese da parte di Shevarnadze, la nomina di Nino Burdzhanadze (figlia di Ancori, vecchio amico del Presidente e monopolista nazionale del commercio di granaglie) a capo dello stato ad interim, e la fissazione della data del 4 Gennaio per nuove elezioni presidenziali.

Queste ultime sono state vinte agevolmente da Mikhail Saakashvili che ha conquistato il 78% dei voti non dovendo scontrarsi con nessun candidato degno di questo nome dopo il ritiro di Shevardnadze.
Le ostilità, però, non risalgono agli scorsi mesi, quanto al 4 luglio del 2003, quando l'ex segretario di Stato Usa James Baker, attualmente consigliere esterno della Casa Bianca ed appartenente al "clan Bush", visitò il paese caucasico e tenne una serie di riunioni con i partiti dell'opposizione allo scopo di unificarli in vista di una candidatura anti-Shevardnadze. Quest'ultimo era ritenuto da Washington troppo freddo con le pretese USA di arrivare in breve termine alla costruzione dell'oleodotto Baku-Ceyan che avrebbe attraversato il paese determinando così la marginalizzazione di Mosca nel processo di commercializzazione del petrolio e del gas caspici. Peraltro il vecchio diplomatico sovietico veniva considerato da Washington troppo vicino ai russi che, pur non amandolo, lo ritenevano il male minore da affrontare per non perdere completamente la partita sul gioco degli oleodotti caucasici. Shevardnadze in questi anni si è barcamenato tra Mosca e gli Stati Uniti, accettando l'indipendenza di fatto delle regioni autonome (oltre all'Ossetia e all'Abkhazia bisogna annoverare l'Adjaria) e la presenza di truppe russe in questi territori (teoricamente come cuscinetto tra i georgiani e le forze indipendentiste), ma si era assicurato un certo consenso alla Casa Bianca ospitando alcuni istruttori militari, teoricamente inviati da Washington a "tagliare i rifornimenti" ai ribelli ceceni in odore di adesione ad Al Qaeda nella gola del Pankisi, stretto territorio ai confini della repubblica russa ribelle, orograficamente poco controllabile dai georgiani, e aderendo al programma GUUAM (Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbajian, Moldova) insieme ad altre repubbliche ex sovietiche in procinto di passare armi e bagagli sotto l'ala americana.

A Washington il gioco su due tavoli del Presidente georgiano non è più bastato con l'approfondimento del confronto con Mosca sul controllo dei territori ex sovietici e, in particolare, di quelli strategici per il rifornimento di petrolio e gas naturale all'Europa. In specifico la decisione di ribaltare Shevardnadze è avvenuta dopo l'accordo tra Russia, Bielorussia, Ucraina e Kazakistan per la costituzione di uno spazio economico comune, e dopo l'accordo raggiunto in Moldova che consente l'indipendenza di fatto della Transnistria, regione a maggioranza russa al di la del fiume Dniestr e incuneata tra il corpo della Moldova e l'Ucraina, e la presenza in pianta stabile del XII° reggimento dell'Esercito Russo nella capitale di questo territorio, Tiraspol.

Così il quattro di luglio si è svolta a Tblisi una riunione tra Baker e i politici considerati filoamericani allo scopo di imporre una lista unica per l'opposizione facendola capeggiare da Nino Burdzhanadze, e di imporre una nuova procedura elettorale studiata dagli esperti del Dipartimento di Stato americano che prevedeva commissioni elettorali composte da cinque rappresentanti del governo, nove dell'opposizione e nemmeno uno del Presidente; inoltre il presidente della commissione sarebbe stato nominato dall'OSCE.

A queste riunioni erano presenti Zhvanja per i Democratici, Gachechiladze per la Nuova Destra, Natelashvili per i Laburisti, Gogiditze per Rinascita, Asatiani per i Tradizionalisti e , naturalmente Saakashvili per i Nazionalisti. Baker durante la sua permanenza presso il paese caucasico rifiutò ostentatamente di incontrarsi con il Capo del governo e leader delle forze filo-Shevardnadze, Dzhorbenadze.
I risultati della riunione furono ottimi per gli americani dal punto di vista del varo della nuova legge elettorale, ma lo scontro tra i politici dell'opposizione per la leadership iniziò subito e ridiede fiato alle speranze di Shevardnadze: il leader della Nuova Destra si sfilò accusando Saakashvili di avere posizioni estremiste sulla questione delle truppe russe sul suolo del paese caucasico, i Laburisti si staccarono dal blocco per timore di perdere consensi nel loro insediamento di sinistra apparendo troppo filoamericani, Saakashvili, infine, contestò il diritto alla leadership di Burdzhanadze, asserendo di essere lui ad aver diritto alla preminenza in quanto presidente del Consiglio comunale di Tbilisi. Dopo estenuanti mediazioni gli americani riuscirono a mettere insieme un'alleanza tra Burdzhanadze, i Democratici, Tradizionalisti e i Nazionalisti di Saakasvhili, il quale ottenne la guida della coalizione. Dopo i risultati resi noti con una settimana di ritardo, e le contestazioni degli osservatori internazionali, l'opposizione ha iniziato la mobilitazione il cui risultato sono state le dimissioni del contestato Presidente, la fissazione di nuove elezioni presidenziali, e l'annullamento di quelle legislative che saranno ripetute in primavera.
La Russia è intervenuta tra il 12 e il 23 novembre, rendendosi conto di non poter più difendere il vecchio ministro di Gorbaciov e ha iniziato un'opera di mediazione che si è conclusa con il ritiro di Shevardnadze e con l'apertura di credito agli "americani" dell'opposizione. Apertura di credito che è durata lo spazio di un mattino, visto che alle pacate dichiarazione di Nino Burdzhanadze ("l'opposizione è pronta ad ascoltare i buoni consigli e i desideri della Russia"), sono seguite quelle ben più bellicose del neo-presidente Saakashvili che ha dichiarato che il suo programma ha tre priorità: la costruzione dell'oleodotto Baku-Ceyan, la riunificazione al paese delle repubbliche secessioniste e il ritiro delle truppe russe. Ovviamente un simile programma è destinato a trovare il plauso d Washington e la contrarietà di Mosca la quale dispone ancora di carte importanti per determinare gli sviluppi del vicino caucasico.

Dal punto di vista geopolitico si può dire che gli USA hanno segnato un punto nella partita a scacchi che giocano con gli ex sovietici dal 1991 a oggi; la Georgia ha infatti un'importanza strategica per due paesi, non per le proprie risorse, quanto per la propria posizione geografica: essa si trova sull'unica direzione che permetterebbe agli USA di commercializzare le risorse gaspetrolifere del Caspio senza passare dal territorio russo. La partita del trasporto delle risorse energetiche del Caspio e della loro commercializzazione è centrale non tanto dal punto di vista economico, quanto da quello politico. In gioco, infatti, è il controllo del rubinetto delle risorse principali alle quali guardano i paesi europei per il loro sviluppo; le alleanza tra la Gazprom, il conglomerato russo per il gas e il petrolio) e le multinazionali europee del settore (tra cui l'Agip) preoccupano fortemente Washington per il loro potenziale non solo finanziario, quanto politico e foriero di possibili alleanze tra l'Europa e la Russia. Per Washington si tratta di impedire questa prospettiva e di marginalizzare la Russia sullo scenario internazionale. Per ottenere questo risultato gli Usa sono disposti anche a spingere per la costruzione di un oleodotto come il Baku-Ceyan che, dal punto di vista economico, è un'impresa costosa, difficile e inutile, e a impedire alle imprese angloamericane di partecipare a imprese vantaggiose come il gasdotto da Novorossijsk alla Turchia e quello che dal Kazakistan porta il gas verso la Russia e da qui all'Europa. Questi progetti ovviamente mirano a rilanciare il ruolo della Russia nell'area e a elevarne il rango di fronte ai paesi europei: due obiettivi che la Casa Bianca non può che contrastare per imporre il suo controllo sul corridoio eurasiatico.

Lo scontro Mosca-Washington dura ormai dal 1992 quando le repubbliche dell'ex Unione Sovietica si resero indipendenti e si avviò il processo di progressiva annessione di queste all'interno del blocco ad egemonia americana. La Russia reagì a questo inserimento degli USA nel proprio "cortile di casa" sostenendo tutti soggetti che giocassero un ruolo di destabilizzazione dei nuovi poteri. Appoggiò l'Armenia nella guerra contro l'Azerbaijgian per il Nagorno Karabak, ottenendo il risultato di sconfiggere il principale alleato degli americani nell'area, appoggiò l'insurrezione nazionalista delle repubbliche autonome della Georgia, ottenendo poi dall'allora neopresidente Shevardnadze di stanziare le proprie truppe in funzione di Peacekeeping. Questo almeno in teoria, perché in realtà le truppe russe impediscono ai georgiani di attaccare osseti, abkazi ed adjari e costituiscono uno strumento efficace di pressione sulla leadership di Tbilisi.

Washington, da parte sua, ha combattuto la sua guerra non dichiarata non solo con l'appoggio ai governi postsovietici, ma anche con l'appoggio alla progressiva islamizzazione dell'indipendentismo ceceno, che ha trasformato quest'ultimo in una guerriglia islamica i cui legami con i servizi segreti sauditi e pakistani (e, quindi, con la rete di Bin Laden) sono accertati sia dalle fonti dei finanziamenti di cui godono i ceceni, sia dalla presenza nelle loro fila di comandanti e combattenti arabi provenienti dalla scuola dell'Afganistan. La Cecenia ha un'importanza strategica all'interno dell'area paragonabile a quella georgiana, dal momento che l'oleodotto Baku-Novorossijsk (oggi la strada principale per il petrolio azero e caspico in generale) passa proprio per il martoriato territorio caucasico.

La guerra afgana di Bush aveva temporaneamente avvicinato Mosca e Washington perché la seconda aveva bisogno dell'appoggio della prima per garantirsi il rapporto con l'Alleanza del Nord della quale la Russia era diventata da nemico numero uno alleato principale dopo l'affermazione dei Talebani. I russi, d'altra parte, vista la situazione finanziaria interna avevano l'assoluta necessità di vendere quanto più petrolio possibile e gli Stati Uniti, dietro contropartita di una sensibile riduzione del prezzo al barile, si erano prestati ad alzare esponenzialmente la quota di greggio acquistato in Russia. La guerra in Iraq, però, ha rotto l'idillio tra i due ex nemici della Guerra Fredda; la Russia si è resa conto che la politica mediorientale di Bush l'avrebbe definitivamente esclusa da ogni possibilità di influenzare gli eventi nell'area e ha iniziato una progressiva virata della propria politica estera che l'ha portata in rotta di collisione con Washington sul Caucaso, sull'Asia Centrale (dove l'esercito russo ha aperto una piccola base radar non lontana dalla base americana impiantata alla fine del 2001) e naturalmente sull'Iraq. Le elezioni per la Duma russa di novembre sono stata l'ultima occasione per rinfocolare lo scontro tra i due paesi, con l'amministrazione americana che condannava i metodi (non certo limpidi) utilizzati da Putin per eliminare i partiti filoamericani dal Parlamento, dopo averne arrestato i finanziatori appartenenti al clan dei favoriti dalle privatizzazioni gestite da Eltsin e dal piccolo gruppo di oligarchi ex comunisti ed eroi nel neo capitalismo mafioso che hanno gestito la Russia nel decennio Novanta. Putin, da parte sua, ha risposto per le rime ricordando al Presidente americano le non certo limpide circostanze della sua elezione. Dopo questo scambio di cortesie si è sviluppata la vicenda georgiana che, con il suo temporaneo finale è destinata ad acuire ulteriormente lo scontro tra la strategia del dominio di Washington e il tentativo di Mosca di sopravvivere come potenza regionale e principale interlocutore dei paesi europei.

Giacomo Catrame














 

 



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