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Da "Umanità Nova" n. 6 del 22 febbraio 2004

La strage silenziosa
L'uranio impoverito continua ad uccidere


Di uranio impoverito si continua a morire anche se di queste morti si parla solo se si tratta di soldati italiani che hanno prestato servizio nei vari contingenti impegnati nelle avventure militariste decise dal governo. Poco o nulla si parla invece delle disgraziate popolazioni che vivono nei siti contaminati dalle migliaia di tonnellate di armi all'uranio impoverito sganciate da americani e inglesi durante le guerre degli ultimi 15 anni. I primi prototipi di bombe all'uranio impoverito furono infatti usate durante la breve guerra di Panama del 1989. In seguito questi micidiali proiettili sono stati utilizzati nella guerra del Golfo (1991), nei bombardamenti NATO contro i serbo-bosniaci attestati attorno a Sarajevo (1995), nella "guerra umanitaria" per la "liberazione" del Kosovo (1999), nella guerra afgana (2001) e nella guerra contro l'Iraq (2003). Naturalmente le armi all'uranio sono progressivamente "migliorate" negli anni: così mentre nella guerra del 1991 le armi usate dagli americani erano solo di piccolo calibro (circa 5 Kg) in l'Afganistan e in Iraq nel 2003 sono state usate bombe gigantesche, pesanti 10mila libbre (una libbra è pari a circa 454 grammi). Fra l'altro usare queste terrificanti armi - che una risoluzione del settembre 2001 dell'ONU considera armi di distruzione di massa - è anche una comoda maniera per smaltire tonnellate di scorie prodotte dalle centrali atomiche per la produzione di energia.

L'Unep (Agenzia per la protezione ambientale delle Nazioni Unite) e l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) continuano sostenere che le ricerche sull'uranio impoverito non hanno dimostrato che esso abbia effetti a lungo termine sull'organismo umano. "L'Unep e l'Oms hanno pubblicato, rispettivamente in marzo e in aprile 2001, importanti rapporti. A questi fanno continuo riferimento i sostenitori del carattere inoffensivo dell'Ui, primo fra tutti il Pentagono, il quale sottolinea l'indipendenza e la neutralità delle due organizzazioni. Ma lo studio dell'Unep è quanto meno incompleto, mentre quello dell'Oms decisamente poco affidabile.

Il sopralluogo in Kosovo a partire dal quale l'Unep ha elaborato la sua analisi è stato organizzato sulla base di carte fornite dalla Nato, le cui truppe accompagnavano i ricercatori per proteggerli dalle munizioni inesplose, incluse le parti residue delle bombe a frammentazione. Con ogni probabilità, erano queste a contenere cariche vuote all'uranio (Ui). Le truppe Nato, impedendo ogni contatto dell'équipe con questi residui, non le avrebbero dunque permesso di scoprirne l'esistenza.

Tanto più che - come si è saputo - nel corso dei sedici mesi precedenti la visita dell'Unep, il Pentagono aveva inviato nella zona almeno dieci équipe di controllo, che avevano lavorato duramente per fare pulizia. Sugli 8.122 "perforanti" anticarro tirati sui siti visitati, l'Unep ne ha recuperati solo undici, malgrado un tasso piuttosto elevato di esplosioni mancate. E la quantità di polveri prelevate direttamente nei punti che si riteneva fossero stati colpiti da queste armi, a diciotto, venti mesi di distanza dalla loro utilizzazione, è risultata molto scarsa. Quanto all'Oms, non ha condotto alcuno studio epidemiologico degno di questo nome, ma una semplice ricerca accademica. Cedendo alle pressioni dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, si è limitata a studiare l'Ui come metallo pesante chimicamente contaminante."

In realtà le notizie, frammentarie, che giungono, per esempio dalla ex-Jugoslavia, parlano di un crescente numero di morti per leucemia. "Primo piano", la trasmissione del TG3, ha messo in onda lo scorso dicembre un'inchiesta sulla popolazione bosniaca colpita dagli effetti dell'uso militare dell'uranio impoverito, realizzata nelle zone vicine a Sarajevo dove sorgevano installazioni militari serbe bombardate dagli americani nell'autunno 1995 con almeno 3400 proiettili all'uranio. "Viene riportata la testimonianza dei medici attivi nell'area: essi parlano di oltre 150 casi all'anno di tumori e leucemie tra i 5000 profughi serbi della località di Hadzici. La troupe di Rainews24, grazie al fortuito incontro con una équipe attrezzatissima di una TV giapponese presente sul luogo che ha messo a disposizione strumentazioni scientifiche di altissima precisione, ha riscontrato in alcune aree una radioattività pari a 120 microsievrt/ora. Tale radioattività è superiore, in un giorno, alla massima quantità compatibile con l'organismo umano in un anno, secondo le organizzazioni internazionali". I giornalisti hanno intervistato alcuni dei 50 bambini bosniaci giunti in Italia per curarsi: si sono ammalati giocando con la terra smossa dai proiettili contaminati. Dopo la fine delle ostilità nessuna autorità americana ha messo sull'avviso del tremendo pericolo le popolazioni.

Un'altra recente testimonianza sulla tragedia balcanica è il breve ma significativo reportage apparso sul sito "Osservatorio sui Balcani". L'autore riferisce di una sua visita a Bogutovac, una delle cinque località serbe contaminate dai bombardamenti anglo-americani durante la guerra del 1999. "Qui di uranio impoverito si continua a morire" dice un rappresentante del forum civico indicando un annuncio funebre attaccato sui muri del paese. "Le persone che ci accompagnano ci dicono che le aree colpite dai missili all'uranio ora sono state bonificate dall'esercito e che non dovrebbe esserci alcun pericolo. Così andiamo sui luoghi dove è stato stoccato il materiale contaminato (soprattutto bombe inesplose e loro parti) in fusti piombati. Si tratta di un sito, una specie di discarica a cielo aperto ricoperta di terra e con qualche presa d'aria, senza protezione alcuna, né un cancello, né un cartello di pericolo. E la gente ci passa attorno, i bambini con lo zainetto mentre vanno a scuola, le loro madri con i sacchetti della spesa, ogni giorno. D'altra parte non possono fare diversamente. Ci dicono che li vicino c'è un missile all'uranio inesploso da quattro anni e mezzo, in attesa che gli americani vengano a bonificarlo"

Sul Kosovo, il protettorato NATO sorto dopo la guerra, non si hanno notizie precise anche se le informazioni provenienti dai militari di ritorno a casa parlano di "carenze nei sistemi di bonifica che non prevedono protezione" per i soldati addetti alla decontaminazione.  Figurarsi i rischi corsi dalla popolazione locale!

Antonio Ruberti
















 

 



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