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Umanità Nova, numero 8 del 7 marzo 2004, Anno 84

Un arsenale di orrori
Cecenia un gigantesco cumulo di macerie!



Le manifestazioni contro il massacro ceceno che si sono volte il 23 febbraio in diverse parti del mondo, Russia compresa, hanno riportato un po' di attenzione sulla tragedia di questo disgraziato popolo. Ma è ancora poco, troppo poco, rispetto ad una realtà impressionante.

Una situazione insostenibile
"Grozny è una delle città più devastate e bombardate che abbia mai visto" ha recentemente dichiarato l'incaricato per gli Affari Umanitari delle Nazioni unite, Jan Egeland, in visita nella capitale cecena. Anche se non ritiene possibile un suo intervento diretto nella regione, l'ONU continua a svolgere un'azione importate nel favorire il rientro dei profughi verso la Cecenia senza accettare un efflusso troppo elevato, opponendosi cioè alle manovre di rientro forzato teorizzate (e parzialmente messe in pratica) dal Cremlino allo scopo di convincere l'opinione pubblica che la "guerra è ormai conclusa". In effetti oggi i profughi nei campi della vicina repubblica russa di Inguscezia sono stimati in 70mila contro i 200mila del 1999. Questo però non significa che la situazione sia migliorata. Lo testimonia il presidente di "Medici senza frontiere", il medico francese Jean-Hervé Bradol: "Le organizzazioni umanitarie si scontrano in Cecenia contro uno degli Stati più potenti [la Russia ndt] che non rispetta nessuna delle regole definite dalla Convenzione di Ginevra. Le ONG possono condurre solo azioni limitate (rifornimento di ospedali, risistemazione delle strutture sanitarie). Il personale espatriato può fare solo brevi incursioni in Cecenia, e il personale locale è molto esposto"
Il genocidio ceceno infatti è continuato e continua: dal 1991, quando Dudajev ha proclamato l'indipendenza della piccola repubblica caucasica, i ceceni sono stati oggetto di persecuzioni. Oltre 50.000 persone sono morte tra il 1994 e il 1996, nel corso della prima guerra, mentre si calcola che il numero delle vittime civili, dal 1999 ad oggi, sia compreso tra 80.000 e 100.000. "La Russia - ha dichiarato Putin dopo l'attentato del 6 febbraio alla metropolitana di Mosca - non conduce negoziati con i terroristi, ma li distrugge". Per la verità  il governo russo sembra intenzionato ad annientare un'intera popolazione colpevole solo di abitare una regione strategicamente vitale per gli interessi di uno degli Stati più potenti della terra.

Un laboratorio delle tecniche del terrore
Sin dall'inizio del conflitto, infatti, numerosissime organizzazioni umanitarie hanno denunciato la violenza delle truppe russe contro la popolazione, accusata di offrire sostegno ai ribelli: sono stati descritti innumerevoli episodi di rastrellamenti, massacri, esecuzioni sommarie, torture, sparizioni (che avvengono tuttora con una media di 80 al mese), rapine e sequestri a scopo di estorsione. L'esercito russo ha usato e sta usando in Cecenia tutti gli orrori inventati per sconfiggere non tanto poche migliaia di resistenti quanto un intero popolo: lanciarazzi (i famigerati "organi di Stalin"), bombe a frammentazione usate dagli americani fin dai tempi del Vietnam, bombe all'uranio impoverito. Ma i russi hanno anche apportato qualche "novità" all'arsenale dell'orrore. Innanzitutto i "campi di filtraggio", luoghi orribili dove vengono portati e torturati senza pietà i civili prelevati durante le cosiddette operazioni di filtraggio. Non ha importanza che i prigionieri confessino o meno la loro appartenenza alla resistenza indipendentista. Infatti, se dopo quattro giorni di detenzione non arrivano i parenti del prigioniero con il riscatto (soldi o armi) il prigioniero sparisce per sempre. Secondo il governo indipendentista in esilio, attualmente sarebbero ventimila i civili ceceni di cui si è persa ogni traccia dopo che sono stati catturati dai russi e dalla polizia del regime filo-russo. E quasi altrettanti sarebbero ancora rinchiusi nei circa 800 campi segreti di filtraggio sparsi per il paese. La seconda raccapricciante invenzione russa sono i "fagotti umani", cioè si raggruppano alcuni uomini, donne e bambini per farli saltare in aria con le granate in modo che i familiari non possano più trovare traccia dei congiunti arrestati dai russi. La terza invenzione sono le "fosse dei lupi", strette buche dove si lasciano marcire per giorni i prigionieri ceceni in attesa di decidere la loro sorte.

Squadroni della morte contro gli attivisti dei diritti umani
Negli ultimi anni sono stati denunciati diversi omicidi di attivisti di organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. Il 16 gennaio è stato ritrovato vicino a Guderme, seconda città cecena, il corpo mutilato di Aslan Davletukaev, collaboratore dell'Associazione per l'Amicizia russo-cecena, rapito dalle forze federali russe il 10 gennaio.
Davletukaev, che raccoglieva e pubblicava informazioni sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia, non è il primo attivista ucciso. L'1 dicembre 2002 Malika Umascheva, attivista per i diritti umani e sindaco della città di Alkan-Khala, è stata uccisa da squadroni della morte russi a colpi di arma da fuoco. Il 21 maggio 2003 Zura Bitieva, attivista per i diritti umani ed ex-prigioniera del famigerato carcere Tschernokosowo, è stata assassinata insieme ad alcuni suoi famigliari. Altri attivisti per i diritti umani vivono sotto costanti minacce e pericolo di morte.
Il corpo senza vita di Aslan Davletukaev presentava segni evidenti di tortura, gambe e braccia erano state rotte, il corpo disseminato di ferite provocate con oggetti metallici contundenti. L'attivista è stato infine giustiziato con un colpo d'arma da fuoco alla testa, probabilmente poco dopo essere stato rapito. Naturalmente non è mai stato trovato alcun responsabile di questi omicidi. I militari russi godono quindi di una sostanziale impunità e i casi di ufficiali russi processati per stupri e violenze sono rarissimi.
Sulla questione dei crimini di guerra perpetrati dai russi è scattata la "solidarietà internazionale fra gli Stati": la diplomazia ha messo la sordina alle critiche provenienti dalle organizzazioni umanitarie specie dopo che a seguito dei fatti dell'11 settembre 2001, la Russia si è schierata a fianco degli americani nella guerra al terrorismo internazionale. Stati Uniti e Unione Europea hanno ormai sposato la tesi di Putin secondo cui in Cecenia è in corso un'operazione antiterroristica, condannando gli attentati suicidi ma non menzionando affatto le stragi e le devastazioni governative. A questo proposito uno dei vertici di ipocrisia è stato raggiunto dal fido scudiero berlusconiano, Frattini. Nonostante i quotidiani massacri, "il Ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, in un colloquio tenutosi con la controparte russa Igor Ivanov e citato dall'agenzia AP, ha affermato che "è da rilevarsi l'esistenza di un desiderio e di una inclinazione alla trasparenza per tutto quello che sta avvenendo in Cecenia, particolarmente per quanto concerne l'attenzione per i diritti umani". "Stiamo valutando l'idea di aprire un ufficio di rappresentanza dell'Unione Europea in Cecenia o in Inguscezia"

Caccia al ceceno in Russia
Intanto a Mosca dopo l'attentato alla metropolitana (41 morti e oltre 100 feriti), è ricominciata la caccia al ceceno. Secondo quanto sostiene Amnesty international, un po' in tutta la Russia si assiste ad un'ondata xenofoba nei confronti dei ceceni e, in generale, di tutti gli immigrati provenienti dal Caucaso. La responsabilità è da addebitarsi a Putin che nonostante nessuno abbia rivendicato l'attentato non ha atteso un secondo per incolpare gli estremisti islamici ceceni. I caucasici sono ridivenuti oggetto di controlli discriminatori, perquisizioni arbitrarie, aggressioni razziste giustificate con la necessità di vendicare i morti. Una organizzazione di estrema destra avrebbe addirittura convocato una manifestazione per "ripulire Mosca dai banditi ceceni". 

A. Ruberti

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