Umanità Nova, numero 8 del 7 marzo 2004, Anno 84
Un'abusata mitologia sorta ai tempi della guerra fredda e alimentata da un sistema della comunicazione dalla schiena particolarmente curva, contrapponeva a una plumbea Unione Sovietica, nella quale sembrava fosse vietato pure starnutire, un'America aperta e permissiva, patria tollerante di tutte le libertà. Un mito duro a morire, anche perché alcuni tratti della società d'oltre Atlantico sono effettivamente improntati a uno spirito innovativo e sostanzialmente liberale; ma, come tutti i miti, anche questo destinato a fornire, partendo da un po' di verità, un'immagine della realtà profondamente distorta. Infatti, il sistema di "valori" proprio della grande maggioranza dei cittadini statunitensi, determina una struttura sociale sostanzialmente reazionaria, se non oscurantista, e comunque improntata ad un autoritarismo basato non solo, come d'uso, sulla forza della legge, ma anche sulla condivisione di modelli forti ai quali non ci si può sottrarre pena la repressione o l'ostracismo. E anche se può apparire contraddittorio, visto che si tratterebbe della società più secolarizzata al mondo, a fondamento di questi "valori" troviamo sempre la credenza religiosa, accompagnata da un esasperato patriottismo isolazionista e da una abissale ignoranza delle realtà circostanti. Gli esempi non mancano, e non incoraggiano certo a fare dell'Ammereca il nostro modello.
Sentendosi sul collo il fiato della concorrenza, il presidente guerriero Bush, quello che in tre anni ha fatto due guerre, ma che quando toccava a lui correva a imboscarsi in un corpo "combattente" meno della nostra forestale, cerca di recuperare consensi sfrugugliando nella prolifica feccia del moralismo subculturale dell'elettorato. E spalleggiato da quel campione di progressismo di Schwarzenegger, indìce, dopo quella al terrorismo, la crociata contro gli omosessuali, evidentemente ritenuti minacciosi come il buon Osama. Così, se il governatore Conan si propone di impedire al popolo gay di contrarre matrimonio, scatenando in California l'affannosa corsa alla "regolarizzazione" di questi giorni, al resto del paese ci pensa lui, dichiarandosi perfino disposto ad emendare la Costituzione, pur di impedire a due che si vogliono bene di normare il loro status come meglio credono. Dietro non c'è solo la facile ricerca del voto di un elettorato prude e conservatore, ma evidentemente anche la convinzione che lo Stato, altrimenti liberista in campo economico e sociale, possa e debba essere il dispensatore dei principi morali e religiosi ai quali tutti devono uniformarsi. Dopo lo stato etico dei paesi del socialismo reale, nei quali la pretesa di costruire ex cathedra l'uomo nuovo sfociò nella legittimazione del totalitarismo, ecco che un'America profonda, ispirata dal peggiore integralismo, si appresta ad edificare uno stato altrettanto "etico". Liberisti in economia, così aumentano i profitti, ma statalisti quando si deve stabilire quali debbano e non debbano essere i valori del paese.
Evidentemente l'omologazione "spirituale" della nazione è talmente prioritaria nella scala dei valori dell'unica superpotenza rimasta, che in suo nome non ci si vergogna di ricorrere massicciamente al controllo dei cittadini fin dentro le mutande. Se ad esempio in parecchi stati degli Usa le pratiche sessuali non finalizzate alla procreazione, anche se fra consenzienti, sono da sempre severamente vietate (tanto da rendere legittime, se non doverose, le delazioni di spie e guardoni), sempre più frequenti si fanno gli esempi dell'ingerenza moralistica e repressiva, da parte dell'autorità, sui comportamenti non certo "criminali" dei cittadini. È di questi giorni la notizia della schedatura, in cinque stati dell'Unione, di tutte le donne che hanno recentemente abortito, anche se legalmente e in centri riconosciuti, e da un pezzo le cronache parlano dei frequenti arresti di giovani che commettono l'esecrando delitto di marinare la scuola. Del resto basta considerare il rapporto popolazione/carcerati, forse il più alto del mondo, per comprendere come stanno davvero le cose: tutto è permesso, comprese le più estreme e squallide pratiche pornografiche, se ci sono da fare affari, ma se il business non c'è, allora la rigida etica protestante, di concerto con quella cattolica, ha totale carta bianca per affermare il suo carico di bigottismo e soffocante controllo sociale.
Un ulteriore esempio di come l'integralismo religioso riaffiori costantemente come un fiume carsico, magari anche sposandosi al guadagno (fede ed affari, il massimo del piacere!), l'offre in questi giorni lo straordinario successo negli Stati Uniti del film Passion di Mel Gibson. Senz'altro molti lettori già ne avranno sentito parlare per cui, se non vale dilungarsi sull'esasperato realismo-pulp, con il quale vengono descritte la flagellazione e la crocifissione di Cristo, non si può però non pensare alle ferite mai rimarginate che questa eccitata riproposizione di un popolo giudeo deicida e crudele, potrà riaprire anche in un paese come gli Usa dove forte è la presenza ebraica. Da una parte, in nome del profitto e del successo, non ci si deve preoccupare delle conseguenze e dei rigurgiti antisemiti che questo film provocherà, dall'altra la componente più integralista del sistema può constatare con soddisfazione che anche Hollywood comincia a buttare alle ortiche la sua antica anima liberal, per andare ad abbeverarsi nelle acque del fanatismo religioso.
Non si può certo dire che non sia preoccupante questa continua riproposizione, nel paese più "avanzato" del mondo, della centralità della credenza religiosa e della conseguente supremazia del pensiero metafisico su quello sociale (solo quando, però, non urti gli interessi economici e militari della nazione). Così come è preoccupante il riaffacciarsi fra i cristiani, gente "civile e tollerante" a differenza dei barbari musulmani, di un antisemitismo che tutte le chiese hanno ufficialmente condannato (anche se il papa e la curia, alla faccia del loro ecumenismo d'accatto, hanno accolto entusiasticamente l'uscita di Passion). Preoccupante perché, al di là degli effetti contingenti che questo o quell'episodio possono avere, sempre più prepotentemente si vuole dare legittimità alla volontà dei preti, dei preti di tutte le razze, di imporre i propri convincimenti all'intera società. Contrastare questa deriva non è solo una questione di civiltà o di libertà, è anche una questione di sopravvivenza.
Massimo Ortalli