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Umanità Nova, numero 8 del 7 marzo 2004, Anno 84

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Trapani: battute finali al processo per la strage del Vulpitta

Si è tenuta mercoledì 25 febbraio, quella che molto probabilmente è stata la penultima udienza del processo che vede alla sbarra l'ex prefetto di Trapani Leonardo Cerenzìa in merito al tragico rogo in cui morirono sei immigrati reclusi nel CPT "Vulpitta" di Trapani la notte del 28 dicembre 1999.
Il dibattimento è stato aperto dall'avvocato di parte civile Bisagna il quale, riassumendo il contenuto delle testimonianze raccolte in questi anni in sede processuale, ha individuato tutta una serie di errori e omissioni nella gestione del CPT di Trapani dei quali non si può non ritenere responsabile l'ex prefetto, Cerenzia.
La disattenzione nei confronti delle normative antincendio, la presenza di materassi di materiale non ignifugo all'interno delle celle, la presenza di suppellettili altamente infiammabili all'interno del Centro, il mancato rispetto della legge 626/1994 in materia di tutela dei lavoratori (che non avevano ricevuto alcun tipo di addestramento in caso di incendio o altre emergenze), sono tutti fatti "inoppugnabili" che sono stati ammessi dallo stesso imputato.
L'avvocato si è poi soffermato sulla natura dei Centri di Permanenza Temporanea, la cui istituzione costituisce il "peccato originale" del legislatore che ha introdotto nell'ordinamento giuridico italiano la detenzione amministrativa. La "mistificazione ideologica" che vuole occultare la vera natura dei CPT (ancora oggi definiti dai mezzi di comunicazione "centri di accoglienza") ha trovato piena legittimazione nelle omissioni del prefetto che non si curò mai, per sua stessa ammissione, di consultare neanche un qualsiasi direttore di carcere per capire come gestire una struttura come il "Vulpitta".
A cosa è immediatamente assimilabile infatti un luogo con grate e sbarre, in cui se si esce si viene catturati e ricondotti all'interno, se non a un carcere?
Se non è un albergo - e certamente non lo è - ma non è neanche un carcere vero e proprio, si può forse accettare che per un "centro di detenzione - chiamiamolo col suo nome!" non si debba applicare nessuna norma?
L'incendio era un fatto prevedibile poiché, da sempre, la via di fuga più immediata per chi è trattenuto o incarcerato consiste nell'appiccare il fuoco: le tensioni e le rivolte precedenti alla strage avrebbero dovuto mettere in allarme il prefetto, ma così non fu.
L'avvocato non ha risparmiato una giusta valutazione politica delle norme in materia di immigrazione, definendo "scellerato" il Testo Unico sull'immigrazione (l.40/1998) e sottolineando l'importante ruolo del volontariato e dell'associazionismo antirazzista che da questo processo si aspetta che venga fatta giustizia. Una giustizia che deve essere riconosciuta anche e soprattutto per onorare la memoria di chi perse la vita in seguito a quel rogo.
Il successivo e più breve intervento dell'avvocato dello Stato, Arnone, si può così riassumere: al prefetto della Repubblica Cerenzìa non può essere rimproverato nulla poichè all'epoca furono seguite scrupolosamente tutte le linee guida diramate dal Ministero dell'Interno per quanto concerne la gestione dei CPT ("centri sociali" o "centri di accoglienza" sic!).
Vero è che non furono installati i rilevatori antincendio, ma il prefetto diede chiara disposizione a che le celle venissero controllate scrupolosamente 24 ore su 24: il fumo sprigionato da una fiamma raggiunge il tetto e attiva i sensori dell'allarme, ma l'occhio umano ha la possibilità di segnalare la presenza del fuoco nel suo "momento genetico", permettendo un intervento più immediato.
Altresì vero è che quella notte l'intervento non ci fu, o per lo meno non fu immediato e risolutivo.
Ma di questo non si può incolpare il prefetto e, se colpevole c'è, va cercato tra chi aveva ricevuto le disposizioni per la sorveglianza.
E ancora: per quale motivo l'incendio era prevedibile, così come sostenuto dal Pubblico Ministero e dall'"accusa privata"? Come si poteva prevedere che un immigrato recluso accatastasse sei materassi per dargli fuoco?
"Questa è follia, e la follia non si può prevedere!".
Il bizzarro intervento dell'avvocato dello Stato ha chiuso il dibattimento.
Con tutta probabilità durante la prossima udienza che avrà luogo il 15 aprile verrà emessa la sentenza del processo a Leonardo Cerenzia dopo che verrà ascoltata la difesa.
La presenza di quanti in questi anni hanno seguito il procedimento e più in generale si sono battuti per la campagna di Verità e Giustizia promossa all'indomani della tragedia del "Vulpitta", è quanto mai auspicata. Ci saremo.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

Milano: Festeggia la giornata di "San Precario"

Saranno stati circa 200, in prevalenza giovani, che si sono a poco a poco concentrati, provenienti soprattutto da aree di Centri Sociali di Milano e dintorni, coordinati nell'Assemblea Metropolitana.
Assieme ad una rappresentanza della Cub si è inteso festeggiare la giornata di domenica 29 febbraio dedicata a "San Precario" protettore dei precari.
Il luogo privilegiato scelto per la celebrazione è stata l'inaugurazione della Iper-Coop nella zona di Lambrate che, per l'occasione, costringe i dipendenti all'apertura domenicale.
Verso le 11,30 si dà inizio alla "celebrazione". La raffigurazione di "San Precario", che a mio parere, assomiglia un po' a Braccio di Ferro, riposta su un baldacchino, viene posta alla testa della "processione" sostenuta da giovani e valide spalle.
Subito dietro si pone il "vescovo" (o cardinale) con un abito da cerimonia rosso purpureo. Seguono un "frate", un "prete", una "monaca" in rappresentanza del clero e gli altri "fedeli", alcuni dei quali portano in mano dei grossi ceri rossi accesi, da cerimonia ecclesiale.
Dalle casse posizionate su un camioncino vengono trasmesse musiche di cerimonia religiosa.
Il vescovo, impugnando un megafono, amplifica la voce del "signore":
"San Precario facci lavorare... ma non troppo. / Dacci gli aumenti salariali. / Toglici dalla precarietà del lavoro. / Dacci il salario garantito. / Riduci lo sfruttamento su di noi. / Non farci lavorare nei giorni di festa...come vuole il "signore". / Mentre i "processanti" scandiscono ritmicamente: "Così sia. / Sia fatta la tua volontà. / Così in cielo...come in terra."
Dopo aver percorso la strada adiacente i "processanti" entrano nel Supermercato, facendo ben attenzione che l'effigie del santo passi indenne dalle porte d'entrata.
Di fronte ad un vasto pubblico di "consumatori blasfemi" un po' colti di sorpresa, un po' divertiti, il megafono del vescovo scandisce la voce del "signore": "San Precario, dacci le bottiglie di vino buono per le nostre messe. / Dacci tanti "doni" per questi poveri precari che vengono dalla strada."
Il "miracolo" si compie: i "doni" vengono dati.
Nel frattempo prelati in abiti ecclesiali distribuiscono l'effigie di "San Precario", con retro la preghiera che fra l'altro invoca: "Oh San Precario, / Protettore di noi tutti, precari della terra / Dacci oggi la maternità pagata / Proteggi i dipendenti dalle catene commerciali, / gli angeli dei call center, / le partite iva e i collaboratori appese ad un filo / Dona a loro ferie e contributi pensionistici, / reddito e servizi gratuiti / e salvali dai lugubri licenziamenti."
Dopo un lungo giro, in mezzo al peccato delle merci esposte, si guadagna l'uscita.
Qui cambia musica: dalle note ecclesiali si passa ad un più ballabile rock, mentre un presidio davanti alle porte impedisce l'ingresso ad altri "peccatori della domenica".
Una responsabile del market tenta, con il sorriso, alla "conversione e alla rimozione". Il sorriso è bene accetto, la rimozione no. I "guardiani" che si sono anch'esse appressati, non "danno scandalo".
Enrico

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