Umanità Nova, numero 10 del 21 marzo 2004, Anno 84
A scanso di equivoci e per il piacere della sinteticità, il concetto andava riassunto con uno slogan, e allora ci ha pensato il buon compagno Boselli: "L'Italia non può, dopo una guerra sbagliata, commettere l'errore di abbandonare il popolo iracheno e dimenticare il sacrificio dei nostri soldati".
C'è tutta la cosiddetta sinistra, quella istituzionale per intenderci, in questo capolavoro di ipocrita e disperata tortuosità sintattica ed ideologica, che campeggerà in un manifesto sui muri delle città italiane. E l'ambigua doppiezza, già monopolio del famoso partito "di lotta e di governo", oggi contraddistingue l'intero schieramento "democratico e costituzionale", lacerato fra gli spasimi di una crisi da astinenza ministeriale e il bisogno di far credere di distinguersi in qualcosa di sostanziale dalle aberranti politiche della Casa delle libertà. È la storia di sempre, ma è anche, soprattutto, la storia di questi anni, la storia di un percorso condiviso con il "nemico" nei fatti, anche se osteggiato nelle parole, e che ha visto innalzare furiose barricate e infantili girotondi a difesa di questo giudice o quel conduttore televisivo (come è facile suscitare l'indignazione della gente!) ma che ha anche registrato la più pallida delle opposizioni, se non addirittura l'accordo sottobanco, su questioni non proprio secondarie come la guerra, le pensioni, la scuola, il mercato del lavoro e via dicendo.
Da quando il polo berlusconiano, con perfetto spirito monopartisan, è andato a prendersi tutte le poltrone del comando, le prefiche della democrazia hanno cominciato ad innalzare i loro lugubri lamenti al capezzale della libertà. Indubbiamente la rozzezza dei nuovi arrivati, accompagnata a una overdose di furia vendicativa, ha facilitato il compito di questi interessati laudatores del tempo andato, facendo passare in secondo piano le responsabilità dei governi del centro sinistra rispetto alle odierne decisioni del centro destra. E con quale coerenza e continuità! Prima della riforma Maroni c'era stata quella Dini, prima che con la Moratti avevamo dovuto confrontarci con Berlinguer, prima della Bossi-Fini eravamo stati allietati dalla Turco-Napolitano, prima della guerra in Iraq ce ne era stata una nel Kosovo, e anche i giuslavoristi Biagi e Sacconi non avevano certo negato la loro collaborazione ai vari Prodi e D'Alema. E se Tremaglia e Berselli hanno potuto celebrare nella massima ufficialità della Festa della repubblica il macello di El Alamein, non va dimenticato che già un certo Violante aveva pensato di spendere qualche buona parola sui "ragazzi di Salò". Solo rispetto al proibizionismo si è marcata una certa differenza, ma questo era scontato, visto che almeno in questo campo le distinzioni sembrano reggere ancora: la canapa è di sinistra e la coca di destra. Davvero, non c'è che dire, difficilmente si sarebbe potuto fare meglio!
I segnali che una volta terminata la doverosa fase "dell'aspro confronto", si sarebbero ritrovate le forme della civile convivenza fra governo e opposizione (cane non mangia cane, si diceva un tempo), si stanno facendo sempre più frequenti. E riesumato l'antico bon-ton istituzionale, non passa giorno che le mosse di riavvicinamento si facciano più sfacciate. Una volta è l'appoggio alla mostruosa legge sulla fecondazione assistita, passata con il voto di Rutelli e annessi e connessi, la volta dopo il progetto di una riforma della giustizia ampiamente bipartisan, con buona pace del pasdaran Taormina. E inframmezzate a quotidiane genuflessioni, altre chicche come le vergognose dichiarazioni del solito Violante sul caso Battisti o la tentata costituzione in parte civile del Comune di Genova al processo per i fatti del G8.
Movendo quindi da queste premesse, anche nella "sofferta" sceneggiata del voto sul mantenimento delle truppe di occupazione in Iraq si è passato in rassegna l'intero repertorio dei trucchi di scena dei mestieranti della politica. Con una suddivisione delle parti pianificata con talento professionistico, tutte le sfumature, nessuna esclusa, hanno infatti trovato spazio in parlamento dove si è coperto un arco di opzioni che partiva dal ragionante possibilismo dei moderati per concludersi nella massima intransigenza dei soliti estremisti. Al di là della facile ironia sul cedimento ai "se" ed ai "ma" di chi aveva ostentato una maschia opposizione alla guerra senza se e senza ma, quello che è emerso, ancora una volta, è il totale disprezzo della piazza, sia da parte di chi ne cerca strumentalmente l'appoggio, pronto poi a spenderlo sul tavolo da gioco dei compromessi, sia da parte di chi, con buona dose di aristocratica puzza sotto il naso, rifugge dal confondersi con questo primitivo strumento della vecchia politica.
In nome dei sacri interessi del benessere occidentale, e in virtù della tradizionale obbedienza agli amici americani, si mandano a ramengo le pompose dichiarazioni pacifiste sulle quali si era aggregato un grande movimento di massa, abbindolato ancora una volta dai facili motivetti dei vari pifferai magici che se ne spartiscono gli umori. Ben sapendo che la piazza va bene per creare consenso, ma che perde voce in capitolo quando si delegittima delegandosi ai suoi interessati rappresentanti. E che in forza di questa delega si fa complice, colpevole, di scelte che altrimenti non le apparterrebbero.
Non ci sono alternative. Se si vuole ribadire il più radicale no! a questa guerra, come a tutte le guerre, si lascino cuocere quei tromboni, una volta per tutte, nel loro torbido brodo. I nostri gusti sono altri!
Massimo Ortalli