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Umanità Nova, numero 10 del 21 marzo 2004, Anno 84

Una Costituzione di carta
Iraq: tra equilibrismi politici e terrore di stato



Lo scorso 8 marzo è stata siglata da tutti i componenti il Consiglio provvisorio, che a rotazione e rappresentando tutte le fazioni in gioco nel puzzle iracheno finge di guidare il paese sotto la supervisione del Governatore a stelle e strisce Paul Bremer, la "Law of Administration for the State of Iraq for the transitional period", ossia una Carta costituzionale provvisoria che reggerà l'architettura normativa e giuridica della nazione irachena, ancora sottoposta a occupazione militare da parte delle forze alleate di invasione non autorizzate dall'Onu, sino alle nuove elezioni parlamentari entro l'anno in corso, che avrà il compito di redigere la Carta definitiva.

Già questo periodo transitorio, in condominio con un potere de facto militare, si presenta accidentato per motivi squisitamente politici, prima che di ordine pubblico, con poche garanzie che i tempi vengano rispettati; registrare tutti gli aventi diritto al voto, consentire la nascita di partiti politici e garantire una libera competizione, soddisfare le esigenze di segretezza e libertà del voto da parte di ciascun elettore, sono operazioni minimali ma enormemente complesse, delicate, costose, come avviene per esperienza nei paesi del terzo mondo da poco transitati a regimi democratici sulla carta, ma illiberali nei fatti.

La Carta provvisoria registra quindi tale condizione prospettando una situazione sul campo in cui le varie parti in gioco si legano reciprocamente le mani secondo un delicato equilibrio chiaramente leggibile tra le righe dei suoi articoli, peraltro stesi da una prospettiva esterna: una serie di costituzionalisti statunitensi e iracheni espatriati da tempo, che hanno adottato un modello federale alla canadese, quindi multiculturale e decentrato, di repubblica parlamentare senza organi monocratici. Infatti per evitare la replica di un Saddam, vertice dello stato è un Consiglio di presidenza, collegialmente guidato da un Presidente e due vicepresidenti eletti dal Parlamento provvisorio in ordine di preferenze ricevute, che delibereranno all'unanimità, mentre gli affari di governo quotidiano saranno gestiti da un Primo ministro da loro nominato e da ministri suggeriti da quest'ultimo, che riceveranno un semplice voto di fiducia per entrare in carica. Nulla viene detto sul sistema elettorale con cui si dovrà procedere alla formazione dell'Assemblea Nazionale costituita da 275 deputati. 

Particolarmente curiose le precondizioni per accedere a cariche pubbliche, relative all'età, alla specchiata onorabilità (non si capisce accertata da chi), la non appartenenza alle forze armate tranne se non ci si è dimessi diciotto mesi prima della candidatura, la non compromissione con il regime del partito unico Ba'ath (se non a livelli minimali, e dietro pubblica abiura), non essere stato coinvolto nelle repressioni del 1991 dopo la I guerra del golfo o nel genocidio curdo (l'Operazione Anfal).

L'impianto è sostanzialmente liberale, con tante solenni dichiarazioni contro la discriminazione per genere, lingua, etnia, reddito, religione - in qualche caso si cita pure la "setta" - tranne poi a prevedere il diploma di scuola secondaria per accedere alle cariche pubbliche, che reintroduce dalla finestra una esclusione di fatto per donne e uomini delle campagne, delle periferie urbane, per gruppi vissuti nella repressione linguistica.

L'Islam diventa religione di stato nonché fonte non unica di normazione, il che scontenta non poco gli sciiti che credono di avvantaggiarsi della loro posizione maggioritaria e della loro storica opposizione a Saddam, pagata col sangue, rivendicando il primato teocratico contro la laicità dello stato. D'altronde, i curdi ottengono una autonomia guadagnata sul campo militare, divenendo i padroni di un terzo dell'Iraq pur sottomettendosi all'autorità federale che, tuttavia, si nutre del principio di sussidiarietà, tipico ad esempio dell'Unione europea, grazie al quale le competenze politiche principali, comprese ordine pubblico e fiscalità spettano al governo più vicino al territorio, e quindi alle formazioni sovrane curde. Una autonomia così ampia, che offre quasi un diritto di veto rispetto agli assetti futuri, qualora ratificata potrà essere un valido precedente per l'area turca abitata in maggioranza da curdi, nonché un potente attrattore magnetico per la nazione curda dispersa nell'area mediorientale.

Dalle clausole di chiusura, si svela il trucco di una Carta sia pure provvisoria che viene stesa in condizioni di non libertà (a differenza della nostra Carta costituzionale, stesa da una Assemblea costituente all'indomani della liberazione dal regime fascista e nazista al nord e dell'occupazione alleata); le norme non hanno alcun potere di interferire con le risoluzioni passate, presenti e future del Consiglio di Sicurezza, nel quale recentemente è avvenuta una piccola modifica di equilibri: il nuovo Ministro degli esteri russo, Lvavov, è più filo-occidentale del suo predecessore Ivanov, e potrà alterare la maggioranza in seno al Cds e in seno agli stessi cinque membri permanenti. Del resto, dal cul de sac in cui Bush si è infilato, e a pochi mesi dalle elezioni di novembre in cui, a stare a sentire i sondaggi, arranca dietro al candidato democratico JFK (John Kerry, pur favorevole alla guerra di invasione con metodi differenti di fair play), il coinvolgimento pieno dell'Onu sarà la carta nella manica dell'amministrazione per rilegittimarsi di fronte ad una opinione pubblica locale e europea sempre più diffidente dopo lo svelamento smaccato dell'assenza totale di prove per giustificare l'entrata in guerra con il corollario di oltre 500 morti dalla fine delle ostilità "ufficiali" lo scorso 1 maggio.

Se poi ciò sarà ottenuto a prezzo di altro sangue, sparso da fantomatici terroristi internazionali - che sfuggono a qualsiasi capacità di intercettazione da parte dell'intelligence più sofisticata del mondo - i quali hanno trovato nell'Iraq un terreno fertile quanto mai non era disponibile prima, lanciando uno stillicidio di operazioni destabilizzanti tese a innescare una guerra civile a pretesto religioso tra sunniti e sciiti, squisitamente politica tra curdi e iracheni, non desterà sorpresa visto il cinismo bieco che anima la realpolitik del terrore di stato.

Salvo Vaccaro
 


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