Umanità Nova, numero 10 del 21 marzo 2004, Anno 84
Il 4 aprile 1949 i rappresentanti di Stati Uniti, Canada e dieci
Stati europei riuniti a Washington davano vita all'Organizzazione del
Trattato del Nord Atlantico, meglio conosciuta come NATO o come
Alleanza Atlantica. Secondo quanto sosteneva la propaganda delle classi
dominanti europee e nordamericane l'Alleanza era uno strumento
difensivo dell'occidente "capitalistico e democratico" contro le
minacce espansionistiche dell'Unione Sovietica, "comunista e
totalitaria". La vera finalità dell'Alleanza atlantica era
invece quella di costruire una rete capillare di basi militari in
Europa necessaria nel caso di eventuali interventi militari ma anche
capace di tenere sotto costante pressione il blocco sovietico. La
presenza americana in Europa serviva altresì ad influenzare
costantemente le politiche interne degli alleati europei. Dal quel 4
aprile molte cose sono cambiate e non solo perché il blocco
sovietico si è liquefatto dopo la caduta del muro di Berlino del
1989. Anche se il ruolo della NATO come strumento della strategia
globale americana non è certo venuto meno molti oggi si
interrogano sul futuro di una alleanza che ritengono politicamente
morta.
La guerra del Kosovo e il vertice di Washington
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, la classe dominante americana si
affrettò a ribadire l'importanza della NATO. In un documento
realizzato nel 1994 da un gruppo di esperti guidati da Paul Wolfowitz
si sosteneva infatti che era di "fondamentale importanza preservare la
NATO quale principale strumento della difesa e della sicurezza
occidentali, così pure quale canale dell'influenza e della
partecipazione statunitense negli affari della sicurezza europea." Si
confermava, dunque, il ruolo della NATO come "palla al piede" degli
sforzi di costituire una politica militare europea autonoma dalle
ingerenze americane. Il compito principale che gli americani affidarono
alla NATO in quegli anni è chiaro: contribuire ad estendere
l'influenza USA all'Europa dell'Est e al Medio Oriente "allargato" al
Caucaso e alle ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale. Non si
trattava solo di aumentare il numero dei paesi aderenti, ma si doveva
sancire il principio di poter intervenire militarmente fuori
dall'originaria area geografica dell'Alleanza. Fondato su "un approccio
globale alla sicurezza", questo nuovo concetto strategico affermava che
oltre alle sue finalità originarie (di dissuasione e difensive)
l'Alleanza doveva anche saper reagire fuori dalla zona atlantica,
dappertutto nel mondo, ai rischi e alle minacce legate a fattori
politici, economici, sociali, religiosi o ambientali. In questo senso
la guerra del Kosovo (la prima e per ora unica "guerra della NATO")
rappresentò un grande successo della strategia americana. Con i
bombardamenti contro la Serbia della primavera 1999 la NATO raggiunse
l'apice della propria grandezza. È sintomatico che il vertice
per il 50° anniversario della NATO, tenutosi a Washington quasi
contemporaneamente alla guerra del Kosovo, mutò il "concetto
strategico" dell'Alleanza superando il suo carattere difensivo e
accettando di fatto la supremazia politico-militare degli Stati
Uniti.
A questo punto tutto sembrava favorire uno sviluppo trionfale della
NATO come strumento principale degli interessi americani almeno in
Eurasia, cioè dalla Mauritania al Mar Caspio, passando,
naturalmente, dal Medio Oriente. E invece non è stato
così.
L'11 settembre e il "gran rifiuto" per la guerra all'Afganistan
All'indomani dell'11 settembre la NATO, sulla base dell'articolo 5 del
Trattato che stabilisce che un attacco ad un membro dell'Alleanza deve
essere considerato come un attacco a tutti gli altri membri, offre la
sua collaborazione. La risposta americana è raggelante: "grazie,
ma preferiamo fare da soli". Si tratta di una svolta epocale che nella
confusione mediatica di quei giorni viene percepita da pochi
osservatori. Gli Stati Uniti inaugurano con la guerra al regime di
Kabul una nuova strategia, originale e impensabile fino a pochi mesi
prima. La superiorità tecnologica e militare rende i
responsabili americani che circondano Bush (i vari Cheney, Rumsfeld,
Powell, Rice, Wolfowitz, tanto per citare i soliti nomi) insofferenti
ai condizionamenti posti dagli alleati europei. "La NATO - pensano i
neoconservatori al potere a Washington - va cambiata, a costo di
snaturarla!"
Il vertice di Praga: gli americani usano il bisturi
Si sviluppa così compiutamente la nuova strategia americana nei
confronti della NATO, strategia che trova la sua applicazione teorica
nel vertice di Praga del novembre 2002. Mentre nel Golfo fervono i
preparativi per una guerra preventiva decisa unilateralmente dagli
Stati Uniti contro la volontà di molti alleati atlantici, a
Praga sette paesi del vecchio blocco comunista vengono ufficialmente
invitati ad entrare nell'Alleanza (l'ingresso avverrà il
prossimo primo maggio) ma, soprattutto, vengono approvate alcune
proposte americane destinate a segnare profondamente l'Alleanza. Viene
creata, innanzitutto, una nuova struttura di comando che, non
casualmente, sposta a Norfolk, Virginia, il "cervello" della NATO:
insomma, le decisioni importanti per il futuro della NATO verranno
prese negli USA. Viene poi approvato il PCC (Prague Capabilities
Committement), nuova versione aggiornata e ridotta di un vecchio
programma approvato al vertice di Washington, il DCI (Defense
Conventional Iniziative), miseramente fallito. In sintesi il PCC
può essere definito come una iniziativa essenzialmente
militar-commerciale con la quale gli americani cercano di spingere gli
europei ad aumentare le spese militari indirizzandole verso programmi
tecnologicamente avanzati, naturalmente di produzione USA. Viene infine
costituita la "NATO Response Force" (NRF), unità multinazionale
"tecnologicamente avanzata, flessibile, dispiegabile, interoperabile e
sostenibile nel tempo, comprendente elementi di terra, mare ed aria
pronti a muoversi rapidamente ovunque sia necessario". La NFR, che
dovrebbe essere operativa entro l'ottobre 2006, ha il grande pregio,
dal punto di vista americano, di essere costituita solo da europei
(sovrapponendosi e rendendo sostanzialmente inutile la progettata Forza
di reazione rapida dell'Unione europea) e di essere svincolata dalle
decisioni prese all'unanimità dai paesi aderenti. Il vertice di
Praga segna dunque un fondamentale successo americano: tutte le
proposte USA vengono accettate, senza emendamenti.
La riorganizzazione della presenza militare americana in Europa
Questa ristrutturazione concettuale e operativa della NATO si inserisce
a pieno titolo nella volontà americana di ridimensionare la
propria presenza militare in Europa. Secondo quanto pubblicato dalla
stampa specializzata in cose militari gli Stati Uniti intenderebbero
ridurre di un terzo il contingente di stanza in Germania, spostando
basi e truppe nell'Est europeo. "Tramontata la minaccia di un attacco
di truppe corazzate alla Germania - ha dichiarato il segretario alla
Difesa americano Donald Rumsfeld - è giunto il momento di
ridefinire le nostre posizioni europee". Questi cambiamenti determinano
una revisione della presenza militare statunitense in tutto il mondo,
dall'Estremo Oriente all'Africa: secondo queste fonti entro il 2010 si
assisterà al più imponente ridispiegamento di forze
militari dalla fine della II^ guerra mondiale.
La strategia annunciata da Rumsfeld prevedrebbe il rientro negli Usa delle unità terrestri pesanti e il trasferimento in Polonia, Romania, Bulgaria, Turchia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria (ma si parla anche di Albania e Nord Africa) di reparti di fanteria leggera e forze speciali, reparti aerei, unità navali e basi logistiche. Basi più leggere, flessibili, ricavate spesso da installazioni ex sovietiche, con poligoni di addestramento, in grado di ricevere ingenti rinforzi in tempi brevissimi e in posizioni strategiche per intervenire rapidamente nelle aree di crisi: Medio Oriente, Caucaso e Asia Centrale.
In Italia sarebbe previsto il rafforzamento soprattutto delle basi di Aviano e Sigonella e il trasferimento da Gaeta del comando della Sesta flotta, 21 mila militari, 40 navi e 175 aerei che sarebbero spostati non si sa bene dove: il porto turco di Smirne, la base spagnola di Rota, sull'Atlantico, il porto bulgaro di Burgas, sul Mar Nero, o la nuova base di Taranto? La base siciliana di Sigonella, gestita dalla marina americana ma impiegata anche dall'aeronautica (soprattutto per i voli di spionaggio degli U-2 su Africa e Medio Oriente), pare destinata ad assumere un ruolo chiave con la crescente attenzione di Washington nei confronti dell'Africa. Anzi, è probabile un futuro allargamento dell'area di competenza in Africa dell'European command, che a Sigonella concentrerebbe forze e centri di comando e controllo. Anche la base logistica di Camp Darby, fra Livorno e Pisa, dovrebbe subire un riammodernamento soprattutto delle sue strutture portuali.
Nei piani di rischieramento delle forze statunitensi oltremare il
Pentagono ha avviato trattative con Marocco, Tunisia e Mauritania per
costruirvi basi in grado di ospitare forze aeree e terrestri e in
particolare forze speciali e anfibie dei Marine per "condurre
operazioni contro forze terroristiche o insurrezionali islamiche".
La NATO e il piano per il "Grande Medio Oriente"
Dunque, tutto lascia pensare che la strategia americana miri a
trasformare la NATO in una Alleanza politico-militare capace di
interventi a livello planetario ma non legata al consenso di tutti i
paesi membri. La dimostrazione è la struttura volutamente
indefinita della NFR: "Essa sarà adattata a seconda dei bisogni
di una operazione specifica… potrà condurre operazioni proprie
oppure nel quadro di una forza di più grandi dimensioni… la sua
taglia e la sua composizione specifica sono allo studio e saranno
oggetto di una definizione più precisa." Anche i compiti della
NFR sembrano molto vaghi: "I compiti della NFR saranno senza dubbio
principalmente quelli che esigono una capacità di reagire
dispiegando le forze migliori in un breve lasso di tempo. Questi
compiti potranno consistere, specificatamente, in una dimostrazione di
forza per dissuadere un aggressore, in un dispiegamento in quanto forza
autonoma per operazioni che derivano dall'articolo 5 del trattato
(difesa collettiva) o che non ne derivano (gestione delle crisi,
stabilizzazione), e in un dispiegamento come forza di ingresso iniziale
nel quadro di una operazione di grande portata". Ce n'è
abbastanza per confermare i timori di coloro che vedono la NFR come una
"Legione straniera" formata da soldati europei a disposizione degli USA
per le loro avventure militari in giro per il mondo.
La notizia che l'amministrazione Bush sta per lanciare un piano per un "Grande Medio Oriente" che prevede un ruolo attivo della NATO conferma questa tendenza ad usare lo strumento dell'Alleanza per gli interessi planetari americani. Il piano mira a porre sotto controllo un'area vastissima con al centro il Medio Oriente, ma che include l'Africa del Nord, l'Asia meridionale fino all'Indonesia e l'Asia centrale dal Caucaso alla Cina. Si tratta di una zona ricca di risorse energetiche, attraversata da condutture e via di trasporto che spesso sfuggono al controllo dell'imperialismo americano a favore dei concorrenti europei, russi o cinesi. Poiché il pensiero dominante negli Stati Uniti considera che è la forza militare la sola a poter garantire la stabilità del sistema (cioè l'egemonia americana), la NATO, così come rimodellata nel vertice di Praga, è giudicata capace di integrare le strategie militari americane finalizzate a raggiungere l'egemonia mondiale.
C.S.M.