Umanità Nova, numero 11 del 28 marzo 2004, Anno 84
Era scontato che succedesse, e infatti è successo. Di nuovo nei Balcani, nei territori della ex Jugoslavia comunista del presidente Tito, si affaccia, con lugubre puntualità, la pulizia etnica. Di nuovo odi secolari fomentati, con criminale opportunismo, dalle cricche di mascalzoni che si contendono il potere e il controllo di queste zone strategiche, si risolvono in massacri, linciaggi, devastazioni. Di nuovo il pogrom, la deportazione, la fuga dai luoghi natali. E di nuovo, lampante, si mostra in tutta la sua strumentalità uno dei tanti interventi "umanitari" che hanno contraddistinto in questi anni la politica delle potenze occidentali impegnate a spartirsi il gigantesco bottino reso disponibile dal crollo dell'egemonia sovietica. Delle decine di migliaia di bombe sganciate su Belgrado e sulle altre città serbe dalla democratica alleanza della Nato nel 1999, restano ora questi effetti: un territorio contaminato irreversibilmente dall'uranio impoverito delle nostre bombe intelligenti, una società contaminata, forse altrettanto irreversibilmente, dagli antichi e primitivi odi sui quali hanno soffiato, con cinica protervia, le classi dirigenti locali e quelle delle potenze occidentali.
Cinque anni di occupazione militare nel Kosovo, evidentemente, non hanno sortito alcun risultato. E non poteva essere diversamente. Non saranno certo gli eserciti, le forze di occupazione o di interposizione come le si voglia chiamare, né le polizie internazionali a creare le condizioni per una ripresa della convivenza fra popoli ed etnie diverse. Non è il loro compito, non è il loro ruolo, e soprattutto non è il loro obiettivo. L'inganno, la mistificazione con cui si è cercato di far passare un attacco imperialistico per una operazione umanitaria, devono cedere il passo alla realtà dei fatti. Se prima erano i serbi ad imporre le loro regole alla popolazione albanese kosovara, ora la situazione sembra essersi capovolta e la minoranza serba, non più protetta da una Serbia orfana di Milosevic e ridotta alla ragione, deve subire la violenza organizzata di chi vuole ricreare le condizioni per la ripresa di una guerra civile che possa portare a nuovi equilibri. Le regole sono sempre quelle, quelle della forza bruta e della sopraffazione, quelle che si nascondono dietro miserabili ragioni "culturali" per potere mutare i rapporti di forza e per favorire questo o quell'interesse economico.
E così in una delle regioni più povere d'Europa, dove
la disoccupazione, la criminalità e lo sfruttamento la fanno da
padroni, popolazioni con lo stesso Dna, ma intossicate da secoli di
divisioni religiose, non trovano di meglio che dar vita a una ennesima
guerra fra poveri, tanto rovinosa per le loro già disgraziate
esistenze quanto utile a chi, giorno per giorno, deve convincere le
opinioni pubbliche che gli interventi militari sono utili, belli e
necessari. E in questa guerra fra poveri si assaltano e si bruciano
conventi, monasteri, chiese e moschee, ma non per affermare finalmente
la necessità di liberarsi tutti insieme dalla soffocante
oppressione secolare esercitata su coscienze schiavizzate, ma per
sostituire Dio con Allah e Allah con Dio. Morti ammazzati, capolavori
artistici distrutti, rafforzamento della presenza militare
d'occupazione, qualche satrapo albanese o serbo con un po' più
di potere. Non c'è che dire, davvero un bel risultato!
È facile, di qua dall'Adriatico e all'ombra rassicurante del
nostro benessere, fare i moralisti e ritenerci più civili delle
popolazioni balcaniche. È facile, ma non ce lo possiamo proprio
permettere, perché di tutto questo è pesantemente
responsabile anche l'Italia, e per una volta tanto Berlusconi e la sua
corte non c'entrano. E se oggi i dirigenti dei partiti di sinistra
hanno gioco facile nell'accusare unilateralmente l'attuale governo nel
coinvolgimento nella guerra irachena, a bombardare Belgrado, sotto il
comodo ombrello della Nato, ci avevano pensato loro. Senza troppi
imbarazzi o incertezze. Non se lo ricordavano Fassino e i suoi
scherani, quando, sabato scorso a Roma, hanno dato inizio a una delle
più indecenti e invereconde sceneggiate di questi anni?
Raramente, in tanti anni che seguo le vicende politiche del paese, ho assistito a un episodio squallido come quello cui hanno dato vita i vertici del Pci (uso questa sigla perché lo stile è ancora quello) durante la gigantesca manifestazione pacifista di sabato. E raramente l'obiettivo di una sortita simile è stato così evidente. A fronte di una mobilitazione sulla cui imponenza e vitalità nessuno avrebbe scommesso fino al giorno prima, la presenza del segretario del partito che alle sue primissime esperienze di governo ha mandato gli aerei italiani a bombardare un paese che fino a prova contraria non ci aveva fatto nulla, e che pochi giorni prima si era astenuto sull'occupazione militare in Iraq, non poteva avere che un senso, quello di creare le condizioni perché venisse stravolta, nell'opinione pubblica, l'immagine della manifestazione. E i fischi sacrosanti con i quali è stata accolta la sua ridicola sciarpa arcobaleno erano un prezzo da pagare tanto piccolo quanto ampiamente previsto. Anzi, auspicato!
Una provocazione bella e buona, orchestrata a tavolino, platealmente offerta agli organi di informazione, quanto mai univoci nel commentarla, e sottoposta alla preventiva approvazione delle forze governative. Un piccolo capolavoro di cinismo politico, che oltre ad aver messo in difficoltà gli alleati riottosi (gli stessi, del resto, che sedevano al governo al tempo della guerra in Kosovo), ha permesso di imbastire la vergognosa equazione: movimento contro la guerra uguale a sopraffazione. Quattro fischi a lui e due uova in risposta alla carica del suo servizio d'ordine si sono così trasformate nell'intolleranza degli anni di piombo, nel triste riecheggiare delle p38, nell'oggettiva coincidenza fra pacifisti e bin Laden, e chi più ne ha più ne metta. Evidente, dunque, il tentativo di delegittimare il movimento contro la guerra ed altrettanto evidente il fine di porre una pesantissima ipoteca sulla possibilità, in futuro, di scendere in piazza a manifestare in piena autonomia l'opposizione alle scelte del potere. La sorniona solidarietà concessa al vilipeso segretario dal cosiddetto nemico di governo, mirabilmente sintetizzata dal ministro dell'interno Pisanu, che ha parlato addirittura di lesi diritti costituzionali, non fanno certo ben sperare per il futuro. E le famose convergenze parallele di antica memoria, sembrano sempre più trasformarsi in convergenze... convergenti: quando c'è da menare le mani con aerei, eserciti e carri armati, l'accordo lo troveranno sempre!
Massimo Ortalli