Umanità Nova, numero 11 del 28 marzo 2004, Anno 84
P.M., bolo'bolo, Edizioni La Baronata, casella postale 22, 6906 Lugano, € 14,50
Quando il compianto editore anarchico Fiorenzo Lafranchi lo ha pubblicato per la prima volta in italiano, mi ricordo che ero rimasto un po' perplesso. Bolo'bolo: che razza di titolo è? E poi l'autore: p.m. Per non dire dei titoli dei capitoli: yalu. sibi. sufu. bete. Sembra l'oracolo di Delfi, gli ho detto. Invece di "bolo'bolo", non poteva dire più semplicemente: "Federazione di comunità autogestite"? Almeno, chi entra in libreria ed è interessato al tema sa dove volgere l'occhio. Ma forse l'idea dell'autore era proprio questa: attirare l'attenzione di altri occhi, stuzzicare la curiosità, evitare lo scontato. Prevenire i riflessi pavloviani. E forse aveva ragione: il suo libretto ha avuto un successo strepitoso, è stato tradotto in numerose lingue, ha ispirato Hakim Bey, ha dato il nome a siti in rete e continua a suscitare interesse, soprattutto naturalmente nel paese d'origine dell'autore, la Svizzera. Di lui, il pubblico italiano forse conoscerà meglio Amberland, la storia dell'isola che non c'è. Pubblicato nel 1992 da Eleuthera, si tratta di una proiezione nella vita pratica, ancorché immaginaria, del progetto sviluppato in bolo'bolo. Ora, grazie all'iniziativa editoriale di "La Baronata", bolo'bolo è disponibile in una nuova versione completamente ritradotta e riveduta e contenente una nuova prefazione dell'autore. Oggi, spiega P.M, ci troviamo in una situazione paradossale: da un lato, c'è un sistema che fa acqua da tutte le parti, devastante nei suoi effetti sociali e ambientali, dall'altro mancano reali alternative. Certo, c'è chi propone per esempio un reddito garantito versato dallo stato per assicurare un'esistenza decente per tutti, ma anche questo sistema presuppone per forza un'economia fiorente, capace di generare le imposte necessarie per finanziare il reddito garantito. Certo, c'è chi sostiene la necessità di portare lo standard di vita nel terzo mondo ai livelli occidentali, ma non aggiunge che una generalizzazione del nostro stile di vita provocherebbe un'immediata catastrofe ecologica. E ancora: ci battiamo per i posti di lavoro, per il diritto al lavoro senza accorgerci che lo scopo della macchina-lavoro è ovunque lo stesso: rubarci il nostro tempo, la nostra salute, la nostra vita. Il lavoro, o la Macchina-Lavoro Planetaria come la chiama lui, è al centro dell'attenzione di P.M., forse troppo. È vero che la tendenza, dopo gli anni delle 40 ore, delle 35 ore, della pensione a 60 anni o a 58 anni, oggi è inversa. Ma il problema, a questo punto, non è forse più tanto quello della produzione (la puoi avere con vent'anni usa-e-getta in Asia, per esempio), ma della privatizzazione della sicurezza sociale, ossia il passaggio dal mutualismo alla copertura individuale delle prestazioni. Per conto mio, continuo a pensare che il capitalismo stia in realtà puntando tendenzialmente alla colonizzazione del tempo libero, fino alla sostituzione del consumo alla produzione. P.M., in un altro testo, propone il "mercoledì libero" come tempo di riappropriazione di interessi propri e di costruzione dell'alternativa. Forse la vedo un po' grigia, ma non riesco a cancellare dalla mente l'incubo di lunge file d'auto in attesa di entrare nel parking del mega centro commerciale con dieci ristorantini etnici, quattro cinema, un pattinaggio, una rampa skate, una discoteca di tendenza e una di liscio, quaranta negozi, due ipermercati, dove "il tempo libero diventa la "decima ora di lavoro", la più faticosa e la più estranea, una specie di secondo lavoro, di seconda fatica" (Gianni Toti, "il tempo libero", 1961). Ad ogni modo, l'assunto di base di P.M. è che "con ogni evidenza" questa vita, non ci piace, che i deal proposti dalla "macchina" sono diventati inaccettabili. Stress, depressioni, ulcere e suicidio caratterizzano i delusi dal consumismo; alcoolismo, noia, litigi familiari e arrivismo i frustrati del socialismo (la prima edizione del libro è del 1983) e fame, insicurezza, corruzione e massacri ciò che la Macchina-lavoro ha lasciato agli abitanti del Terzo Mondo. La delusione, le frustrazioni e la miseria, abbinate alla consapevolezza della catastrofe ecologica in agguato, sfoceranno in un movimento planetario di sos/truzione (costruzione combinata con sovversione) che darà forma a nuovi modi di convivenza sociale a partire dalla vita quotidiana delle singole persone. P. M. non è un utopista. Lo smantellamento della macchina-lavoro planetaria è un processo in atto. I lavoratori lottano, le donne lottano, come pure i pacifisti, gli ecologisti, gli animalisti o gli zapatisti. Generalmente però il cordone ombelicale che ci lega alla macchina-lavoro non viene reciso. Continuiamo ad avere bisogno di lei, la foraggiamo con le tasse, le mendichiamo sussidi. Vogliamo la sua paga ed essere assunti nelle sue ditte. Pretendiamo strade, benzina, energia, sicurezza. Guardiamo la sua televisione. Votiamo per lei. E così continuiamo a saldare gli anelli delle catene della nostra schiavitù.
Ma laddove le lotte superano le divisioni per categorie, sesso, cultura o continente si creano nodi di sovversione-costruzione comunitari che gettano le basi per realizzare concretamente il distacco dalla macchina-lavoro: "possono essere centri di quartiere, cooperative alimentari, scambi agricoltori-artigiani, comunità di strada, comuni di base, club, scambi di servizi, cooperative di produzione e di distribuzione di energia, bagni comunali, consorzi per l'utilizzazione di automobili ecc." La caratteristica di opacità, la flessibilità, l'assenza di bandiere e di etichette, il rifiuto del comportamento politico e di ogni delega proteggerà questi nodi dai tentacoli della macchina.
Focolai di resistenza, dunque, che sorgono dalle esigenze stesse della vita individuale di ciascuno, estesi su scala planetaria per paralizzare la macchina nel suo insieme. Ovviamente, da quel che si è detto finora, tali comunità embrionali o focolai di appropriazione dei valori d'uso punteranno all'autosussistenza. In effetti, la base del potere della macchina-lavoro è il ricatto dell'approvvigionamento. Nel progetto bolo'bolo, una comunità urbana di medie dimensioni (per esempio 500 persone) crea una rete d'approvvigionamento di prodotti agricoli con fattorie nelle vicinanze alla cui produzione i membri della comunità partecipano con periodi di lavoro temporaneo in campagna. La messa in comune dei molti beni a uso raro o costosi riduce o azzera il bisogno di un lavoro salariato. L'elettricità e l'acqua calda vengono prodotti mediante impianti propri. I laboratori, gli uffici e gli atelier sono integrati nella comunità e raggiungibili a piedi. I servizi collettivi riducono il lavoro domestico interno… insomma, sta nascendo un bolo! I bolo, costituiti secondo l'affinità degli abitanti, possono essere della più disparata natura (vegano, anarco-comunista, zen, metal…). Uniti in rete, formano appunto bolo'bolo, la federazione di comunità autogestite. Tale rete è del tutto indipendente dai vecchi confini nazionali (tant'è vero che P.M. ha scritto anche un libro intitolato "Idee per un mondo senza Svizzera"). Nonostante la base di sussistenza, essa mantiene anche determinate strutture "monetarie" (talune retribuzioni in denaro sotto forma di denaro evanescente, ossia non capitalizzabile) o "comuniste" (servizi pubblici gratuiti). Per il resto, l'economia dei bolo si basa sul baratto, il dono e il diritto d'ospitalità. La solita comune? No, un progetto preciso, anche se sotto forma di finzione letteraria, di smantellamento della macchina-lavoro planetaria. Ed è questo che rende questo libretto di P.M. così affascinante collocandolo, allo stesso tempo, nella tradizione di Kropotkin e Landauer da un lato e nel filone del realismo comunalista dall'altro. L'alternativa sembra fattibile, e ti dici, ma sì dai, siamo realisti, facciamo – finalmente – il possibile!
Peter Schrembs