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Umanità Nova, numero 12 del 4 aprile 2004, Anno 84

Le frontiere dell'odio
Omicidi mirati, kamikaze, apartheid



La mattina dell'assassinio di stato dello sceicco Yassin, padre fondatore e leader spirituale di Hamas, ucciso da tre missili lanciati da un elicottero israeliano di fabbricazione americana pagato dai contribuenti oltroceano come pegno alla lobby ebraica, una strana atmosfera si respirava per le strade di una Gerusalemme vuota e desolatamente deserta, sia nella parte ovest, per i fondati timori di una ritorsione controterroristica da parte di qualche kamikaze infiltrato, sia nella parte est, chiusa a lutto per tre giorni senza eccezioni di sorta (avrò contato qualche fornaio e le farmacie espressamente esentate). Anche a Ramallah e all'università laica Birzeit, dove la presenza di Hamas non è certamente maggioritaria, la serrata è stata totale. L'impressione di un salto di qualità nella lunga guerra asimmetrica di terrore infinito israeliano e di tiepida risposta palestinese è palpabile, e non solo per la qualità della vittima eccellente, un settantenne paralitico e semi cieco che, nella galassia del fondamentalismo islamico, era noto per le posizioni moderate: in buona sostanza, secondo Yassin Hamas deve restare un partito palestinese, promuovere un assistenzialismo sociale di natura religiosa (colmando il vuoto di una Autorità palestinese corrotta e incapace di spendere le enormi cifre ricevute dai donatori internazionali a fini sociali e non pro domo dei singoli dirigenti arricchitisi), lottare per la liberazione nazionale della Palestina dal Mediterraneo al Giordano, segnando la fine di Israele e degli israeliani per il 2027, anno del sorpasso demografico che costringerà lo stato ebraico a adottare una cittadinanza non religiosa né etnica, ma banalmente liberale e democratica - il che per ora non è.

La morte di Yassin porta al vertice leader politici indubbiamente meno carismatici ma più radicati e estremisti, qualcuno probabilmente più in sintonia con la strategia fondamentalista globale di attacco all'occidente a tutto campo, con alleanze tattiche e l'integrazione di Hamas nella galassia di Al Qaeda. È possibile così che la mossa di Sharon - eliminare la testa di Hamas per non far celebrare vittoria quando Israele lascerà nel proprio brodo il paio di milioni di palestinesi accerchiati e distrutti nella striscia di Gaza, con Arafat debole e Hamas indebolito - sia tatticamente legata al cinismo che contraddistingue un militare criminale sin dagli anni '50, pervenuto al potere con l'intento di rafforzare la lobby agricola di cui è il massimo esponente, continuare il modello di sviluppo arretrato (edilizia e trasporti, tipico dell'Italia da anni '60 per intenderci), senza alcuna idea di come porre Israele nel mondo, legato mani e piedi al carro a stelle e strisce che lo sussidia generosamente con contributi a fondo perduto, fidejussioni bancarie, vendite di armamenti, incassando depistaggi dei servizi come i falsi dossier sulle armi di distruzione di massa in possesso al nemico Saddam, attirando così direttamente Bush nella polveriera mediorientale come mai prima d'ora.

La ritorsione di Hamas copre un arco di controterrorismo che va da civili inermi a obiettivi civili (aeroporti e centri commerciali), sino a tre individui al vertice della gerarchia ebraica: Sharon stesso, il ministro della difesa Mofaz e il generale Ya'lon dei servizi di sicurezza. Non sarà facile colpirli a casa loro, vista la blindatura, tuttavia se Hamas rinuncerà a parte della propria sovranità per legarsi alla galassia Al Qaeda, qualcuno potrebbe colpire tali obiettivi per conto loro altrove. Nonostante il Muro in costruzione e i numerosi check point militari che isolano le città palestinesi dal resto del mondo e, in frequenti casi, anche tra di loro, l'ossessione sicuritaria israeliana, in linea con il resto dei regimi occidentali, è tale soprattutto perché umilia e degrada la persona dell'altro straniero e potenzialmente ostile, ma nulla ha a che vedere con la sicurezza reale dei cittadini inermi da ogni lato.

Gli analisti hanno invitato il governo a ritirarsi da Gaza adesso, dopo l'effetto Yassin, prima che il mondo isoli Israele; il ritiro dipenderà in parte anche dalla sorte personale di Sharon, su cui pende un rinvio a giudizio per corruzione piuttosto fondato, in parte dal destino dei coloni insediati nella striscia di Gaza, che controllano direttamente le risorse idriche ivi presenti in importanti acquiferi costieri. La deriva fascisteggiante della società israeliana, in cui l'80% della popolazione si sente in guerra aprovando l'operato del governo (almeno stando a credere ai sondaggi) e in cui la sinistra pacifista è confinata in un angolo anche per via della sua dipendenza istituzionale da partiti e partitini che non sono stati da meno nella discriminazione e nelle politiche di conquista e annessione della terra di palestina, fa sembrare che ancora non si è toccato il fondo, sia del conflitto vero e proprio, sia del destino infausto delle popolazioni.

La comunità internazionale, totalmente dipendente dal volere di Bush (tranne episodici casi europei), condanna ipocritamente a parole senza muovere un reale passo verso la posizione più debole, che non è certo quella di Arafat o di Hamas, ma semplicemente quella della popolazione araba e palestinese vituperata da una occupazione militare come poteva essere quella tedesca in Francia nel secondo conflitto mondiale. A chi straparla di integrare Israele nell'Unione europea, nella speranza di convincere i governanti locali ad adottare uno stato di diritto oggi più simile a quello turco (non a caso partner ideale in scambi militari e commerciali, per non parlare delle forniture d'acqua via mare che risolverebbero il problema per Israele aggravandolo per Siria e Giordania) che a quello pallidamente liberale in vigore (ma per quanto ancora?), va ricordato invece come uno stato che pratica discriminazione e apartheid vada combattuto anche con mezzi diplomatici come si fece con il Sudafrica: boicottandolo in ogni occasione, ritorcendogli contro le discriminazioni che fa subire ai cittadini propri e altrui, espellendolo dalle assisi internazionali di ogni genere, anche sportive, vietando il commercio estero dei propri prodotti, e via dicendo su una linea che asfissierebbe Israele nel giro di qualche mese, come già si va notando assistendo alla fine del turismo in Terra santa che pure contribuiva alla ricchezza del paese. Ciò dovrebbe rimettere in discussione anche la cooperazione internazionale in favore degli arabi, che non beneficiano quasi in niente ma subiscono oltremodo l'umiliazione di vedere legittimato uno stato di occupazione militare visibile sulle strade, nei villaggi in cui si demoliscono impunemente case di comune abitazione, nella Città vecchia a presidio dei luoghi sacri alle tre fedi religiose (indovinate cosa risulta impossibile visitare da semplici turisti…), negli insediamenti coloniali che sottraggono terra agli agricoltori arabi espropriandola con un provvedimento civile quasi sempre inappellabile, talvolta sospendibile temporaneamente, emanato da una autorità militare insediatasi sin dal 1967, e in alcuni casi sin dal 1948.
Il terrore quotidiano di Sharon e soci insulta la storica cultura ebraica come mai l'hanno fatto gli arabi assolutamente non responsabili della Shoah. Lo strapotere israeliano sul piano militare è talmente innegabile che la conta dei morti dalla II Intifada in poi (settembre 2000) è della proporzione di 4 a 1 a sfavore dei palestinesi, che pure non sostengono i suicidi se non come atto estremo di disperazione plagiata da fanatismo religioso speculare a quello ebreo ortodosso la cui esistenza in vita è a carico di tutta la società israeliana, compresa quella laica, che consente l'esonero dal lavoro e dal servizio militare ai portatori di una fede tradizionalista e altrettanto integralista di quella islamica, con la quale molti elementi sono similari.

L'eliminazione del leader spirituale in quel modo totalmente vietato dalle convenzioni internazionali e dallo stesso ius bellico dimostra l'arroganza di una elite che calpesta la propria tradizione martoriata, prendendo l'antisemitismo ormai da alibi per coprire ogni efferatezza disumana e coprire la precisa volontà di sterminio di una popolazione considerata in blocco nemico da annientare fisicamente e geograficamente.

Salvo Vaccaro





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