Umanità Nova, numero 12 del 4 aprile 2004, Anno 84
Il risultato delle elezioni iraniane era scontato e ha visto la vittoria dei candidati appartenenti alla cosiddetta Destra Islamica. Questi ultimi, infatti, sono stati smaccatamente favoriti dall'operato del Consiglio dei Guardiani che, nel controllare le candidature per il Parlamento, ha escluso una parte consistente degli appartenenti alla Sinistra islamica giudicati poco rispondenti alle virtù islamiche. Le istituzioni iraniane sono un singolare miscuglio di democrazia rappresentativa (dove al voto sono ammessi i quindicenni e le donne) e di stato teocratico. In questo quadro la massima centralità è assunta dal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione composta da rappresentanti eletti a vita per metà dalla Guida Suprema e per metà dal Parlamento. Questo organo controlla le candidature per il Parlamento e ne giudica l'operato ed elegge il Consiglio degli Esperti che, a sua volta, elegge a vita la Guida Suprema che controlla il Presidente eletto dal voto popolare e può porre il veto sui suoi decreti e sulle leggi parlamentari. Questo peculiare sistema che da un lato favorisce la partecipazione elettorale e dall'altra ne condiziona le conseguenze al beneplacito di istituzioni non eleggibili e non rinnovabili che possono deciderne le sorti sulla base dell'interpretazione prevalente della dottrina islamica, ha prima favorito l'affermazione della Sinistra islamica come rappresentante delle speranze di apertura e di liberalizzazione dei costumi proprie della gioventù e del ceto medio cittadini e poi provocato la progressiva scomparsa davanti alla dimostrazione dell'assoluta impotenza del Presidente Khatami, del governo progressista e del Parlamento in mano alla Sinistra davanti all'arroganza istituzionale della Guida Suprema e del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione.
Questi ultimi hanno pesantemente manovrato in questi ultimi anni per imporre il loro potere assoluto ricorrendo sia alla censura e alla chiusura dei giornali vicini alla Sinistra, sia all'assassinio degli intellettuali più scomodi, sia alla galera per quelli che non era possibile assassinare. Il veto sulle leggi più progressiste decise dal Parlamento e la falcidia dei candidati a queste elezioni sono stati gli ultimi strumenti di un potere che non tollera nemmeno l'esistenza di un'alternanza interna alla classe dominante perché fondato su di una lettura insieme integralista e politica dell'islamismo sciita. All'interno di questa corrente dell'islamismo convivono infatti due diverse correnti: la prima detta "iraniana" che prevede il controllo diretto della gerarchia religiosa sulla politica e la seconda, comune al partito Al Dawa in Iraq e a quello Hezbollah in Libano, fa della religione sciita il collante e l'ispirazione dell'azione politica nella società per gli sciiti, ma divide fermamente i due campi vietando alla gerarchia ecclesiastica di rivestire compiti istituzionali o di guida politica.
La Sinistra Islamica in Iran si ispira in modo esplicito a questa seconda ispirazione del "Risveglio Sciita" del XX° secolo, come fa d'altronde una quota significativa della stessa gerarchia ecclesiastica residente nella città santa di Qom che in questi anni non ha risparmiato critiche anche feroci agli eredi dell'Ayatollah Kohmeini, principale rappresentante della corrente che prevede il governo diretto dei religiosi nei paesi sciiti.
Il suo fallimento è oggi il fallimento dell'unica alternativa interna al sistema ideologico religioso dominante all'interno del paese, e obbliga quella parte della popolazione che mostra da tempo di non riuscire più a sopportare il giogo del clero sciita a cercare un'altra strada. Lo svilupparsi negli ultimi mesi di un significativo movimento di scioperi nella zona del paese colpita dal terremoto e i timidi tentativi di costituzione di organizzazioni sindacali indipendenti tra i lavoratori del petrolio, quelli dell'estrazione mineraria e quelli del tessile sono la prima dimostrazione che il malcontento che serpeggia nel paese sta iniziando a cercare strade meno istituzionali per esprimersi.
La scommessa che la Destra Islamica ha fatto cancellando i propri rivali istituzionali è quella di mantenere uno stato fortemente autoritario e centralizzato, dove la morale pubblica viene dettata da un nucleo ristretto di religiosi, offendo in cambio un relativo benessere e il progressivo sviluppo del paese. In una certa qual misura si tratta di una strada similare a quella scelta negli anni Ottanta dal Partito Comunista in Cina che ha mantenuto il proprio potere assoluto pur in un clima di progressiva liberalizzazione economica. In Iran la destra islamica sta provando a giocare le due carte della liberalizzazione e della progressiva normalizzazione dei rapporti con l'Occidente e in particolare con gli Stati Uniti per ottenere il risultato di recuperare lo scontento popolare sul terreno del miglioramento economico. In questo modo la Destra conta di sottrarre alla Sinistra due dei tre argomenti grazie ai quali la seconda si era affermata alla fine degli anni Novanta del Novecento. Il terzo argomento, quello della liberalizzazione dei costumi e del dibattito politico viene ovviamente rifiutato come satanico e, anzi, si prospetta alla popolazione la possibilità di raggiungere i primi due proprio rinunciando al terzo.
Questo scivolamento della Destra sul terreno della Sinistra è reso possibile dalla trasformazione di una quota consistente della vecchia base sociale della destra islamica costituita da gestori delle fondazioni caritatevoli islamiche (che controllano circa il 70% dell'economia iraniana), in moderni tecnocrati formalmente disposti ad accettare una quota controllata di concorrenza all'interno del paese in cambio del mantenimento del controllo economico dell'Iran. Socialmente la Destra rappresenta, infatti, sia i gestori dei monopoli di Stato e delle fondazioni, sia gli imprenditori oligopolisti della Zone libere alla cinese del paese asiatico. Naturalmente ad essi sono legati la burocrazia statale, i grandi contrabbandieri e i commercianti del bazar che all'ombra del potere gestiscono sia l'economia ufficiale del paese sia la ben più fruttuosa economia informale.
Il settore informale vero e proprio, all'interno del quale sono impiegati illegalmente fino a 600mila bambini, fattura circa 4 miliardi di dollari, le fondazioni che controllano banche, petrolio, manifatture tessili, l'industria chimica, quella automobilistica e quella alberghiera e turistica gestiscono capitali per oltre dieci miliardi di dollari. Una di esse, la Bonyad (fondazione) dei veterani, invalidi e diseredati ha da sola 400mila dipendenti e un giro di affari di oltre quattro miliardi di dollari. Il contrabbando frutta circa dieci miliardi di dollari ai gestori del traffico collocati soprattutto nei porti del paese affacciati sul Golfo Persico. Nel gennaio del 2003 il presidente del Parlamento denunciò che i porti di proprietà dei Guardiani della Rivoluzione erano i principali punti di passaggio del contrabbando del paese. Naturalmente il presidente Karroubi fu convinto rapidamente a ritirare le accuse e il suo nome è stato uno di quelli bocciati dai Guardiani prima delle elezioni. Infine il traffico degli stupefacenti tra l'Afganistan e la Turchia (e da qui in Europa) e l'attività di prestito di denaro (teoricamente illegale) fruttano ai gestori - equamente divisi tra mercanti del bazar e guardie della rivoluzione - tra i cinque e i dieci miliardi di dollari l'anno.
L'insieme di questi interessi, allo stesso tempo potentissimi e non esplicitabili è tale da non permettere ai detentori del potere reale in Iran di accettare una riforma della società in senso liberista che, comportando privatizzazioni e penetrazione di capitali esteri, potrebbe portare allo smantellamento del potere di questa classe di padroni parastatali cresciuti all'ombra del potere dei religiosi.
La Sinistra islamica rappresenta, oltre all'opinione giovanile e di ceto medio delle città, anche l'imprenditoria privata, piccola e media per lo più, ma anche qualcuno dei grandi imprenditori che cerca appalti nei settori economici controllati dalle fondazioni. Non a caso i più decisi fautori della politica di apertura all'estero, di importazione dei capitali sono stati proprio gli esponenti della Sinistra, mentre sia la Destra che la Sinistra hanno visioni coincidenti sull'applicazione feroce delle politiche di aggiustamento strutturale raccomandate al paese asiatico dai circoli finanziari internazionali. La conseguenza è la diffusa povertà del paese rappresentata statisticamente dal fatto che sui 19 milioni e 700 mila lavoratori iraniani, ben 4 milioni e 300mila siano disoccupati.
Oggi la Destra saldamente ritornata al potere non solo reale ma
anche formale per provare a gestire la situazione ha deciso di
accettare i controlli internazionali dell'AIEA sulla propria produzione
di uranio arricchito e di accettare un deciso investimento della
Renault all'interno del paese. Collegato a queste due decisioni
è l'atteggiamento di decisa collaborazione che Teheran sta
imponendo al partito sciita iracheno controllato dall'Iran (lo SCIRI,
Consiglio della Rivoluzione islamica in Iraq) con gli occupanti
americani, in contrasto con quanto vorrebbero i partiti sciiti
più indipendenti come Al Dawa.
L'accordo sul nucleare è stato fortemente voluto dalla Destra
che, in questo modo, è riuscita ad accreditarsi come
interlocutore per quei paesi occidentali (Francia, Germania e Gran
Bretagna) che lo hanno negoziato anche per conto degli Stati Uniti. Il
ruolo giocato dai tre paesi europei non deve stupire dal momento che la
maggior parte delle relazioni commerciali del paese asiatico sono con
queste nazioni. L'accordo stabilisce la possibilità per l'AIEA
(l'ente di controllo internazionale sulla proliferazione nucleare) di
effettuare ispezioni e controlli in tutti i siti sospettati di
nascondere tecnologia utile allo sviluppo del nucleare militare. Questa
concessione va ovviamente a detrimento della sovranità nazionale
del paese asiatico ma viene ben ripagata dal ruolo che i paesi europei
disegnano per l'Iran come garante della sicurezza regionale, e
dall'accesso che hanno dichiarato di voler consentire alle tecnologie
più sviluppate. Una ricaduta non secondaria del clima di fiducia
internazionale che ha iniziato a crearsi attorno alla Destra iraniana
è l'investimento di 700 milioni di euro effettuato dalla Renault
nel paese per costruire una fabbrica di automobili destinate a
sostituire le Peykan, auto nazionali fabbricate in autarchia da oltre
quarant'anni. Considerando che la Renault è un'industria a
maggioranza di capitale pubblico (ossia dello stato francese) non
è difficile capire come questo investimento sia una decisione
insieme economica e politica.
In questo clima perde di consistenza la querelle sulla reale partecipazione al voto a queste consultazioni. I partiti della Destra assicurano su un'affluenza del 78% mentre il ministro dell'Interno (appartenente allo schieramento riformista) ha dichiarato che i dati in suo possesso danno una partecipazione inferiore al 50%. In generale, comunque, è evidente la massiccia adesione delle campagne e del bazar al mezzo colpo di stato della Destra, e il rifiuto dei ceti medi urbani e delle classi salariate cittadine di accettare la continuazione del dominio di una classe dominante equamente divisa tra forze clericali ed affaristi. L'illusione riformista incarnata dal Presidente Khatami sembra ormai definitivamente esaurita, anche davanti alla sua impotenza a bloccare il golpe della Destra, mentre i segnali di organizzazione sociale diretta, sia tra gli studenti che tra gli operai, iniziano a filtrare nonostante il blocco totale di questo tipo di informazioni effettuato sia dai governanti iraniani che dai media occidentali. Notizie che ci spingono a pensare che il grande paese del Medio Oriente sia destinato a giocare un ruolo importante nell'area nei prossimi anni ben al di la di quanto le cancellerie occidentali e le forze affaristico-clericali interne possano desiderare.
Giacomo Catrame