Umanità Nova, numero 12 del 4 aprile 2004, Anno 84
Il calcio, preso nel suo insieme, rappresenta il tredicesimo gruppo industriale italiano (classifica di Mediobanca) con un giro d'affari annuo superiore ai 4.200 milioni di euro, ma è travolto dai debiti, basti pensare che soltanto in serie A, i club, soprattutto quelli grossi, hanno perso lo scorso anno oltre 413 milioni di euro. Ma il buco sarebbe stato addirittura di 1.300 milioni senza il decreto salvacalcio, o spalmaammortamenti, che ora è stato messo in discussione dalla Ue. Negli ultimi sei anni, i costi delle società di serie A sono stati sistematicamente superiori ai ricavi con un risultato negativo che è passato dai 220 milioni di euro nella stagione 1997-98 a oltre un miliardo di euro nella stagione conclusa nel 2003. Complessivamente, in questi sei anni sono state accumulate perdite superiori ai 3,5 miliardi di euro e l'incidenza di queste sul fatturato è passata dal 49 per cento nel 1999 al 93 per cento nell'esercizio 2001-02.
Le società di calcio hanno "risolto" il "problemino" con un artificio contabile: ovvero, invece di preoccuparsi di aumentare le entrate o di diminuire le uscite, hanno pensato ad artifici contabili, gonfiando ad arte le "plusvalenze", cioè vendendo parti del loro patrimonio (giocatori, ma non solo) a valori superiori a quelli riportati a bilancio. Come funziona il meccanismo? Supponiamo di essere una società di calcio e di dover quest'anno ripianare i conti. Prendiamo perciò un calciatore che vale un milione di euro e lo scambiamo con un'altra squadra che ha un giocatore che vale altrettanto. Però a bilancio sia noi, sia l'altra società scriviamo dieci milioni. Entrambe abbiamo così una plusvalenza pari a nove milioni di euro. Per i flussi di cassa odierni, questa operazione è irrilevante perché alla fine abbiamo un giocatore che vale quanto quello di prima; però abbiamo "inventato" un'entrata extra, che compensa il fatto che i costi sono superiori ai ricavi "normali". Ma la contabilità si vendica, tramite gli ammortamenti. Se oggi abbiamo "acquistato" un giocatore che formalmente ci è costato dieci milioni abbiamo aumentato i costi di domani, perché quel "bene" deve essere ammortizzato: ogni anno, una frazione di questi dieci milioni deve comparire come costo nel nostro bilancio. Da qui, la richiesta di poter "spalmare" questi costi su più anni di quanto non facciano altre imprese. Il decreto salvacalcio bis, maldestramente preannunciato da Berlusconi a metà marzo, era infatti da tempo una delle richieste dalle società calcistiche maggiori, raggruppate nella Lega – la Confindustria del calcio presieduta, guarda caso, da un uomo del cavaliere, tale Galliani.
Ma non facciamoci prendere in giro. La tredicesima industria italiana non è un settore in crisi: i ricavi del calcio italiano negli ultimi dieci anni sono cresciuti del 216 per cento. In particolare, i ricavi della Tv passano da 93 milioni di euro nel 1993-94 a 550 milioni di euro nel 2000-01. L'attenzione per il calcio sui media non è mai stata così alta e nonostante i continui scandali (dalla corruzione al doping) le entrate del botteghino hanno subito negli ultimi 4 anni una contrazione sostanzialmente modesta (-7%). Quello che si è perso sul campo lo si è acquistato sul video visto che i venticinque programmi televisivi con la maggior audience sono partite di calcio. Questi numeri e altri ancora ci dicono che il calcio è uno dei settori più fiorenti e a più rapida crescita negli ultimi anni. Altro che crisi. Il fatto è che è gestito da fare schifo, gestione caratterizzata da una ricerca spasmodica del business – perché con il calcio non ci si guadagna ma però in tanti vogliono entrarci… - e da un uso politico delle sue capacità di mobilitare milioni di persone. A breve termine, cioè prima delle elezioni del 12 giugno, i padroni del calcio riusciranno ad ottenere, in un modo o nell'altro, un aiuto statale, il che permetterà ai partiti di centro-destra di recuperare un po' di voti; a lungo termine il settore calcistico si riorganizzerà: la Superlega europea, vera e propria internazionale dei club più ricchi, bussa alle porte, e, con essa, la scomparsa del campionato di calcio italiano così come lo conosciamo. Non ci sembra una gran tragedia: sopravvivremo!
Per gli appassionati di calcio – il più bello sport del mondo divenuto però uno sport cannibale anche di se stesso – esiste, oggi più che mai, la necessità di rendersi conto che una partita non è altro che un evento, più o meno divertente, dove 22 ragazzi in pantaloncini corti inseguono un pallone cercando di indirizzarlo dentro una porta. Un modo per passare allegramente e in compagnia un pomeriggio o una serata, ma niente, assolutamente niente di più. Tutto il resto è fanatismo o affarismo.
m. z.