Umanità Nova, numero 12 del 4 aprile 2004, Anno 84
"Il signore è servito", disse, composto e ossequioso, il fedele maggiordomo, portando in tavola la legge sull'emittenza televisiva e connessi. E se ancora una volta il ruolo del maggiordomo è stato interpretato dal Parlamento, rappresentante sovrano del popolo italiano, è cosa di assoluta irrilevanza. Ne abbiamo viste di peggio (forse), ne vedremo di ancora più grosse (senz'altro).
Sfoderando una compattezza e una disciplina che il forzato silenzio di Bossi e la vicinanza della scadenza europea hanno sicuramente contribuito a ripristinare, la maggioranza ha votato, giovedì scorso, il nuovo testo della cosiddetta legge Gasparri (cosiddetta perché, ormai è acclarato, il ministro non solo non ha scritto un rigo della legge che porta il suo nome, ma non ha ancora capito che cosa gli abbiano fatto firmare). In pratica, anche se apparentemente modificato in alcuni punti pressoché irrilevanti, è passato lo stesso testo licenziato dalle Camere sul finire del 2003, e rispedito al mittente da Ciampi in quanto palesemente incostituzionale. E se incostituzionale era, incostituzionale rimane. Ma tant'è, la legalità istituzionale è roba buona per il poppolo e non si può pretendere che, per rispettarla o per tacitare qualche esaltato garantista, si debbano far passare in second'ordine gli interessi economici e politici del potente di turno. E difatti, gli interessi politici ed economici del potente di turno sono stati non solo salvaguardati, ma addirittura incrementati, tant'è che il fedele Confalonieri, fatta una rapida botta di conti, ha pubblicamente dichiarato che, grazie a questa legge, Mediaset guadagnerà, nel solo 2004, 1 o 2 miliardi in più. Di euro, sia chiaro, non di lire.
Anche se credo che i lettori di Umanità Nova conoscano, nella sostanza, i contenuti di questa legge e, di conseguenza, i motivi per i quali è stata così criticata, non fa male riassumerne a grandi linee gli aspetti salienti. Quelli, per intenderci, escogitati per favorire sia il controllo del mercato pubblicitario (e questo rientra soprattutto negli interessi del cavaliere) sia il controllo del sistema dell'informazione. E qui non si parla solo del cavaliere ma, in prospettiva, di tutto il sistema di potere.
Tralasciando di approfondire le conseguenze del mancato invio sulla luna di Fede e Rete 4 (il cui vuoto assoluto resta tale tanto sulla terra quanto fra le stelle e di cui troppo si è voluto parlare), resta che ciò è stato reso possibile grazie al trucco di far credere di essere in dirittura di arrivo nella introduzione effettiva della tv digitale terrestre, dilatando in tal modo, a dismisura, l'offerta virtuale di nuove reti e canali. È si è barato anche nella definizione del cosiddetto Sistema integrato delle comunicazioni (Sic), la cui entità in termini di ricavi dovrebbe permettere di calcolare quel 20% di torta oltre il quale, pena l'intervento dell'antitrust, nessuno potrebbe spingersi. Mantenendo infatti nel computo del Sic, solo parzialmente ridotto rispetto al testo originario, elementi del mercato quanto mai arbitrari e poco attinenti col mondo dell'informazione, risulta chiaro che questo famoso 20% non solo viene esteso a dismisura, ma diventa anche di incertissima quantificazione, lasciando così a chiunque ne abbia la possibilità (il biscione di Segrate, per fare un nome a caso) di ampliare ancora di più la sua penetrazione sul mercato. Al tempo stesso nel computo dei tetti di affollamento orario degli spot, quelli che dovrebbero poi ridistribuire la percentuale di pubblicità fra televisione e giornali, ci si è guardati dal considerare anche le telepromozioni televisive, ritenendosi evidentemente trasmissioni culturali le televendite delle Vannemarchi e dei Baffetti. A ben guardare, considerato il livello intellettuale di gran parte dei votanti e del firmatario della legge, viene da pensare che questa volta la decisione sia stata presa in perfetta buona fede.
Se dunque il fedele Fedele si frega le mani pensando alle nuove commesse pubblicitarie, il suo compare d'affari va più in là, pregustando un potenziale di disinformazione, persuasione e controllo ancora più pervasivo di oggi. Al di là infatti dei meccanismi messi in atto allo scopo e della disonestà da imbonitori con la quale li si faranno funzionare, il risultato più importante della legge, grazie anche a un complicato meccanismo di assegnazione di eventuali nuove frequenze, è la definitiva istituzionalizzazione, da qui al prossimo millennio, del duopolio televisivo. Da una parte la Rai, preda del vincitore di turno, dall'altra Mediaset, sulla cui ingombrante presenza ormai, grazie anche alle leggi, leggine e leggione fatte votare a suo tempo da Craxi, non c'è più nulla da fare. E, su questa santificazione del duopolio, l'opposizione dell'Opposizione lascia il tempo che trova, appiattendosi, al di là di farseschi abbandoni dell'Aula buoni a buttare fumo negli occhi, sulla opportunistica accettazione della realtà.
La sostanza, infatti, sta nel salvaguardare la storica dipendenza del mondo dell'informazione dal potere politico ed economico, non solo istituzionalizzando definitivamente, con una legge che dovrebbe essere la direttrice da qui agli anni a venire, il duopolio in essere, ma anche ipotecando gli sviluppi futuri di tutto il sistema. Senza entrare nel merito della qualità, della funzione e della costruzione dell'informazione, compito che lascio a compagni più bravi, ciò che mi pare più interessante da rimarcare, parlando della Gasparri, è che ancora una volta, ma con maggiore efficacia e determinazione che in altri tempi, il sistema politico si è legittimato a condizionare, regolare, dirigere, imbrigliare e reprimere ogni qualsivoglia velleità di indipendenza dei professionisti dell'informazione. Velleità improbabile, d'accordo, ma non impossibile!
Una legge che non concede scappatoie, dunque, e se ieri le si sono scatenati contro girotondi e giravolte, domani, cambiato il vento elettorale e subentrato al potere un nuovo schieramento, chissà che non torni buona per permettere, ai nuovi vincitori, di controllare con più efficacia una Rai al confronto della quale, quella di Bernabei, sembrerà una palestra di anticonformismo e libertà. Così si spiega, a voler essere maliziosi, anche un pezzo dell'infinita, e ambigua storia dell'irrisolto conflitto di interessi, e delle pesanti responsabilità che la sinistra ha avuto nella grottesca conduzione di tutto l'affaire. Davvero un bel risultato per chi, come il Presidente della Repubblica in un messaggio alle Camere, aveva sottolineato che "la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta".
Massimo Ortalli