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Umanità Nova, numero 12 del 4 aprile 2004, Anno 84

Dopo lo sciopero del 26 marzo
Consunti riti contrattuali



A pochi giorni di distanza dalla sciopero di CGIL-CISL-UIL del 26 marzo è possibile cogliere alcuni elementi dello scenario che si sta disegnando da alcuni mesi.

Credo valga la pena partire dall'intersecarsi di due dati:

Mai come in questo caso l'orripilante categoria di "moltitudine" sembra inverarsi: una massa di individui atomizzati in una fase di conflitto relativamente modesta scende in piazza a manifestare la propria opposizione alla politica sociale del governo e delega le organizzazioni tradizionali del movimento dei lavoratori a rappresentare questa opposizione. 

Pesano, ovviamente, la massiccia struttura dei sindacati, la vivacizzazione dell'opposizione parlamentare in fase pre elettorale, le bestialità del governo ma è anche evidente che vi è uno scarto fra mobilitazione ed obiettivi sui quali si sviluppa.
Da parte di CGIL-CISL-UIL, infatti, vi è una difesa della riforma previdenziale della sinistra che è, non ci vuole molto, migliore di quella proposta della destra non foss'altro che perché la seconda aggrava quanto concesso con la prima. D'altro canto, già con l'attuale sistema previdenziale un numero crescente di lavoratori andrà in pensione o in condizioni miserevoli (lavoratori atipici ecc.) o di semplice povertà (neoassunti a tempo indeterminato).
Nei fatti, un numero crescente di salariati sarà costretto ad affidarsi ai fondi pensione per garantirsi un reddito appena decenne e non è necessaria un'eccessiva maliziosità per comprendere quanto pesi nell'attuale scontro sindacale la determinazione di quelli che saranno i gestori dei fondi pensione.

Da un punto di vista più generale, le burocrazie sindacali hanno assunto una posizione politica che potremmo definire "sviluppista". A fronte di un governo che sembra vivere il declino del sottosistema capitalistico italiano con una relativa buona grazia (il nanismo delle imprese industriali e la mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo pare non dispiacere a chi punta sulla finanza e sul turismo e spettacolo) la sinistra politica e sindacale si riscopre pensosa delle sorti del capitalismo italiano e cerca e rivendica interlocuzioni nei settori "sani" del padronato.

Basta, a questo proposito, leggere quanto dichiara a "La Repubblica" del 29 marzo Savino Pezzotta

"Il problema, qui, non è quante ore si lavora, ma in quanti si lavora. Le ore sono tante, più che in Francia e Germania. La crisi economica non nasce dal fatto che il paese batte la fiacca, ma dal fatto che la sua industria, la sua competitività, la sua ricerca, sono in piena decadenza. E non lo diciamo solo noi sindacalisti. Lo dicono, ormai, anche ampi settori dell'industria, dal siderurgico al tessile, sempre più disposti al dialogo con noi e sempre più preoccupati. Ma il governo non vede quello che sta succedendo nel paese? Quando farà qualcosa di serio?"

Non si tratta, questo va da sé, di una novità. Il blocco dei produttori è una vecchia favola togliattiana che torna bene anche oggi. Naturalmente questa logica prevede che i lavoratori siano pronti ai necessari sacrifici purché i sacrifici stessi siano funzionali allo sviluppo del capitale nazionale o di quello europeo.
D'altro canto l'uomo che ci costringe ad essere antiberlusconiani nonostante i caratteri orripilanti dell'antiberlusconismo è riuscito a superare se stesso proponendo di allungare l'orario annuo di lavoro come condizione per accrescere il prodotto nazionale lordo e, forse, le retribuzioni. Una "simpatica" provocazione ma anche il segno della miseria dei tempi.
Quello che, tornando a discorsi più seri, oggi manca, e la cosa non stupisce affatto, è una piattaforma, anche solo sindacale, radicale e condivisa consapevolmente da strati larghi di lavoratori su alcuni punti precisi: salari, previdenza, servizi pubblici, diritti.
Ed è su questa mancanza che vi è uno spazio, tutto politico, sul quale è possibile lavorare ponendo l'accento su alcune articolazioni di una possibile strategia di classe:

In una prospettiva più ampia si tratta di riqualificare, sulla base delle esperienze maturate, il progetto stesso di sindacalismo libertario sul quale siamo impegnati.

Cosimo Scarinzi





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