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Umanità Nova, numero 13 dell'11 aprile 2004, Anno 84

Stato forte e piccole patrie
L'Italia dei ricchi e dei potenti nella nuova Costituzione



Un po' in sordina, forse rispetto all'importanza della "riforma", è passato in Senato il Ddl noto ai più con il curioso termine di "Devolution". 

Si tratta di una riforma radicale, ancora incompleta, della struttura dello Stato per come la abbiamo conosciuta a partire dal 1947 in poi.
I pilastri su cui si fonda la "Devolution" sono quattro:

1) Il nuovo Parlamento.
2) Il Premierato forte
3) Il nuovo presidente della Repubblica
4) La devoluzione di diverse competenze legislative alle regioni.

La riforma del Parlamento copre contestualmente gli altri tre punti, che nell'impianto legislativo trovano un loro equilibrio tra la maggiore potestà autoritativa del Premier, o Presidente del consiglio a seconda che si voglia utilizzare la lingua anglosassone o quella italica, e le funzioni legislative proprie delle Regioni in un contesto federale molto esteso.Va da sé che i poteri del Presidente della Repubblica debbano essere, in questo impianto legislativo, notevolmente ridimensionati.

La regioni (devolution) hanno la competenza esclusiva sulla Sanità, sull'Organizzazione scolastica, compresi i programmi di interesse regionale e sulla polizia locale. Il governo può intervenire soltanto su quelle leggi che ledano l'interesse nazionale, chiedendo, nel caso in cui una regione non voglia farlo, l'intervento diretto del Capo dello stato per la loro abrogazione.

Possono essere istituite, con procedura semplificata, delle nuove regioni (per 5 anni dopo l'entrata in vigore della riforma), a patto che abbiano almeno un milione di abitanti.

Sul versante centrale/centralista il Premier rafforza alcune prerogative: viene nominato dal Capo dello stato sulla base dell'andamento delle elezioni, ovvero egli è direttamente collegato alla coalizione vincente. Per insediarsi il Presidente del consiglio non ha bisogno della fiducia della Camera. Il Capo dello stato ratifica sostanzialmente l'andamento elettorale, a questo punto mi pare di capire, rigidamente maggioritario - uninominale. Addio frange "estreme"!

Il Premier dispone della facoltà, inoltre, di nominare e revocare i ministri e di sciogliere la Camera. Di qui la maggioranza, senza ribaltone, potrà indicare un nuovo Premier. Se al contrario è la Camera a votare la mozione di sfiducia, l'assemblea viene sciolta automaticamente e si va alle elezioni.
Il Parlamento è composto dalla Camera dei Deputati che passa da 630 a 400 eletti (più 12 da elezioni di italiani all'estero) e dal senato federale della Repubblica, composto da 200 senatori (oggi sono 315) e da 6 rappresentanti degli italiani all'estero.
L'elezione del Senato federale avviene contestualmente a quello delle Regioni. La Camera si occupa soltanto delle leggi dello Stato, mentre il Senato sia di quelle dello stato che di quelle delle Regioni.
Per finire il Presidente della Repubblica ha la facoltà di concedere la grazie e di commutare le pene, senza necessità di proposta e controfirma del ministro della Giustizia. Quello che non gli è concesso di fare, invece, è di scegliere il primo ministro, di sciogliere le camere e di presentare alle Camere i disegni di legge.

Alcuni considerazioni intermedie:

La riforma è incompleta soprattutto su di un punto che, o seguirà a ruota, o porterà all'assoluta bancarotta regionale e, di conseguenza, alla negazione contestuale del diritto alla salute e del diritto all'istruzione (alla polizia non negheranno mai quattrini): la cassa. O le regioni potranno trattenere la gran parte delle risorse finanziarie locali (federalismo fiscale sul modello delle regioni autonome) o saranno costrette ad inventarsi una quantità tale di tasse dirette ed indirette da far rimpiangere la fiscalità scandinava (senza offrire gli stessi servizi, naturalmente!). 

Per quanto riguarda lo Stato è chiaro, a dispetto di quanto sostenuto dai "centralizzatori bolscevichi" e dagli statalisti incalliti, che non solo non verrà indebolito, ma che verranno rafforzate le sue funzioni di controllo e di repressione in un quadro di totale dipendenza delle maggioranze parlamentari dal proprio Capo del governo, che, se saprà usare sapientemente l'arma dello scioglimento delle camere, potrà imporre a suo piacimento qualsiasi linea politico – legislativa. 

Per quanto riguarda invece i diritti fondamentali tutto farà presupporre ad una non equa distribuzione delle risorse, ad una diversificazione territoriale di tipo qualitativo, ad una erosione di diritti acquisiti sulla base di scelte locali. Immaginiamoci ad esempio, sul tema dell'aborto, competenza oramai regionale sulla base della seguente riforma, che lo stato centrale non tocchi in alcun modo la 194, ma che 15 regioni deliberino in assoluta autonomia che dalle loro parti la pratica abortiva è vietata. L'ostacolo nazionale può essere aggirato nella dimensione locale. Potrà anche succedere il contrario, ovvero che alcune regioni rappresentino l'avanguardia in alcuni servizi, ma a questo punto il problema rimane immutato: potranno esse accogliere milioni di cittadini provenienti da altri territori che chiederanno prestazioni sanitarie o scolastiche standard, ovvero decenti, che la loro struttura regionale non è in grado di offrire?

Altra questione: la cittadinanza regionale potrà vincolare gli abitanti del territorio alla precedenza nell'accesso ai servizi, favorendo, in questo modo, un ulteriore processo di separazione territoriale e di discriminazione sociale nonché "etnica".
Anche la struttura salariale verrà modificata dai contratti regionali nei diversi comparti lavorativi, fase che precederebbe, accelerandola, la scomparsa della contrattazione collettiva nazionale, dando luogo, senza colpo ferire in materia giuslavoristica, alle gabbie salariali che tanto piacciono a Rutelli ed alla Confindustria. Ulteriori gabbie salariali potranno essere create, perché no, all'interno delle diverse province, comuni, comparti etc.
Come alcuni sanno, come anarchici da sempre ci definiamo federalisti, facciamo parte di una federazione, o di realtà federate, di gruppi non centralisti e pensiamo che una società antiautoritaria possa reggersi tramite il collegamento di libere realtà associate di produttori e consumatori, di appartenenza linguistica…, caratteristiche definite di volta in volta da coloro che si vogliono ad esse aggregare o che vogliano costruirne delle nuove.

I presupposti della costruzione della nostre società federate sono fondamentalmente tre:

1) la scomparsa degli Stati e delle loro funzioni di controllo e di repressione (polizia, carcere, tribunale, eserciti…);
2) un'organizzazione sociale e produttiva di tipo comunistico, ovvero che preveda la socializzazione dei mezzi di produzione, l'autorganizzazione dei tempi e delle modalità produttive (riduzione radicale dei tempi di lavoro, riduzione radicale delle quantità prodotte, eliminazione della concorrenza di mercato…) l'autogestione nella distribuzione…;
3) la libertà, o meglio, la disperata ricerca e messa in pratica di libertà individuali e collettive.

Penso che a questo punto risulti evidente come il nostro federalismo non centri nulla con quello leghista e con quello para-fascista. Per loro il federalismo è la separazione autosufficiente di comunità che si presumono identiche su base "razziale" (sangue, terra, nazione), per continuare a sfruttare, competere ed eliminare tutto ciò che non è integrabile in quel modello. 

Pietro Stara





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