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Umanità Nova, numero 14 del 25 aprile 2004, Anno 84

Ciad. La guerra dimenticata



L'attenzione mondiale sulle vicende africane è, come si sa, prossima allo zero; al massimo ci sono dei momentanei soprassalti di indignazione quando ad arte vengono fatte trapelare notizie raccapriccianti sugli aspetti più terrificanti delle molte "piccole guerre" che vi si combattono per il controllo delle molte risorse delle quali è ricco il continente africano.

Gli ultimi fatti avvenuti in Ciad, repubblica africana della fascia del Sahel, a metà strada tra l'Africa araba, in questo caso la Libia, e il Golfo di Guinea, non appartengono alla categoria degli eventi spettacolari ma permettono più di mille altre notizie sui massacri africani di leggere in filigrana gli interessi che si scontrano in una "guerra d'Africa" che viene combattuta con ferocia e continuità da più di un decennio. L'offensiva americana tesa a ricondurre nella propria sfera di dominio esclusivo l'insieme dei territori mondiali dotati di materie prime necessarie ai processi produttivi contemporanei sta producendo l'erosione definitiva di quei "giardini di casa" che gli stessi USA ai tempi della Guerra Fredda avevano lasciato coltivare agli alleati francesi. La Francia, infatti, aveva costruito in una parte consistente del suo ex impero coloniale una "comunità di interessi" guidata di fatto dall'Eliseo (le ex colonie sono sempre state materia di interesse esclusivo della Presidenza della Repubblica), dotata di una moneta comune (il franco CFA agganciato al franco francese) e di un suo esercito, quello di Parigi onnipresente nei paesi africani. La fascia che va dal Senegal al Ciad passando per il Mali, la Costa d'Avorio e, più a sud la Repubblica Centrafricana, il Gabon e il Congo sono stati per quarant'anni una provincia di Parigi formalmente indipendente, dal momento che l'unica legittimazione dei governanti locali erano i kepì rossi dei paracadutisti francesi. 

Gli ultimi anni hanno visto il moderno impero francese andare in crisi sotto i colpi della concorrenza angloamericana: la Costa d'Avorio è spaccata a metà tra il governo filofrancese e i ribelli che cercano l'aiuto dell'America, l'ex Zaire di Mobutu è suddiviso tra diverse bande di tagliagole locali che fanno a gara per ingraziarsi Washington; più in generale l'Africa anglofona rappresentata dall'Uganda e dalla Nigeria (entrambi paesi con ottimi rapporti con Washington e pessimi con Parigi) intervengono con sempre maggiore decisione nelle crisi in atto all'interno dellAfrica francofona, mangiandosela pezzetto dopo pezzetto ed espellendone gli agenti economici francesi per far posto a quelli americani. In questo scontro gli americani sembrano avere una possibilità in più rispetto ai francesi, operando con metodologie meno scopertamente neocolonialiste e trovando l'alleanza di parti consistenti delle élite locali escluse per decenni dal potere a causa delle alleanze strette dalla Francia con governanti locali spesso espressione della sott'ufficialità delle proprie truppe coloniali. In altre parole, davanti all'evidenza dello sfruttamento brutale delle risorse praticato dai francesi e al regno del terrore e della rapina messo in piedi dai loro tirapiedi locali gli americani, con una metodologia di intervento che esclude l'arrivo diretto delle truppe e con l'alleanza di settori di classe dominante africana obiettivamente più presentabili davanti alla popolazione locale di quanto non fossero i vecchi ladroni, si configurano come la speranza di una vita migliore per milioni di africani. Quanto poco questa speranza sia ben riposta lo si può evincere anche solo intervistando i lavoratori delle piantagioni di gomma della Liberia, tutte rigorosamente di proprietà USA, dove i livelli di sfruttamento e di vera e propria schiavizzazione della manodopera arrivano a livelli assolutamente incredibili; questi dati però sono poco conosciuti in occidente e non lo sono per nulla nel resto dell'Africa e, di fronte alle condizioni di vita della popolazione nell'Africa "francese", gli americani assumono il volto degli "amici degli africani".

Le vicende del Ciad da questo punto di vista sono paradigmatiche; questo paese è stato a lungo teatro di una guerra non dichiarata ma guerreggiata tra Parigi e la Libia. Si trattava all'inizio degli anni Ottanta di uno dei tentativi di Gheddafi di penetrare all'interno del continente. In specifico il colonnello libico richiedeva la messa in opera dell'accordo Mussolini-Laval che aveva assegnato alla colonia italiana la fascia di Auzou nel nord del Ciad, territorio ricco di fosfati e di uranio. Il corso della guerra aveva portato all'annullamento di quell'accordo che nel 1980 Gheddafi tirava fuori strumentalmente per coprire un'operazione di annessione di una fetta di territorio ciadiano. La reazione francese non si era fatta attendere e la guerra per interposta persona era divampata nell'area fino al 1985. Tra l'altro una delle piste più consistenti riguardo alla dinamica dell'abbattimento di un jet passeggeri Itavia nel cielo di Ustica proprio nel 1980 rimanda a uno scenario di caccia francesi all'assalto del jet del colonnello libico e della sua scorta che si sarebbero trovati in quel settore aereo proprio la notte dell'abbattimento del jet italiano.

A quasi venticinque anni di distanza da quei fatti i due contendenti dell'epoca si trovano sulla stessa parte della barricata e stanno cercando di evitare di essere espulsi dal paese caduto sotto l'influenza americana e avvicinatosi a quella parte dell'élite araba (gli sceicchi degli emirati del Golfo) che hanno fatto una chiara scelta filoamericana.

Il presidente ciadiano Idriss Déby ha ottenuto un finanziamento della Banca Mondiale finalizzato all'ampliamento dei lavori di perforazione petroliferi nel paese africano. Questo finanziamento è stato ottenuto grazie alla decisione del presidente di appaltare questi lavori a un consorzio tra la Chevron Texas, la Exxon Mobil e la malese Petronas alleata di ferro delle multinazionali petrolifere americane nella penetrazione del continente africano.

Questa decisione fa seguito all'apertura dell'oleodotto (fortemente contestato in sede internazionale per la ricaduta ambientale e quella sociale) che condurrà il greggio ciadiano al mare tramite il territorio del Camerun.

I grandi sconfitti di questa operazione sono la TotalFinaElf, la compagnia petrolifera francese e la sua omologa libica, la Tamoli. Gli accordi informali presi all'epoca dell'avvio dei lavori per l'oleodotto e delle prime trivellazioni prevedevano, infatti, che l'affare se lo sarebbero aggiudicato i francesi che avrebbero subappaltato una parte dei contratti ai libici. La Exxon Mobil che aveva tentato di penetrare in questo territorio fin dagli anni Ottanta segna, quindi, un punto pesantissimo a proprio favore nella lotta per il controllo delle fonti petrolifere mondiali, mentre la compagnia francese di bandiera è costretta ad operare un'altra ritirata da una zona strategica del mondo prima sotto controllo del paese europeo. Le dichiarazioni del presidente della Exxon sono molto precise in questo senso: "...a duemila metri sottoterra si trovano non meno di un miliardo di barili di petrolio. La produzione, che si aggira attualmente intorno ai centomila barili al giorno, dovrebbe aumentare fino ad arrivare a 225mila barili entro la fine dell'anno. La nostra compagnia conta di restare nel paese per i prossimi trent'anni, almeno."

Alla faccia sia di chi ritiene superati i conflitti tra capitali nazionali e tra stati sia di chi, al contrario, si ostina a non vedere la colossale superiorità di uno di questi ultimi - gli USA - su tutti i pretesi concorrenti alla sua posizione di dominio assoluto.

Giacomo Catrame






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