Umanità Nova, numero 14 del 25 aprile 2004, Anno 84
Con il numero 53, datato dicembre '03, dopo quasi due anni di silenzio dovuto oltre che agli immancabili problemi economici, al subentro generazionale, ha ripreso le pubblicazioni "El Libertario", organo della Federazione Libertaria Argentina. Sulle sue pagine troviamo alcuni interessanti articoli, fra cui uno spunto di riflessione a proposito dell'occupazione del posto di lavoro e prospettive di autogestione.
Già nella seconda metà degli anni '90, quando ormai la
bancarotta del regime di Menem era a portata di mano, ha avuto inizio
nel paese un ampio movimento per l'occupazione di fabbriche e luoghi di
lavoro, quasi sempre per rispondere ad una chiusura dovuta al
fallimento dei proprietari. Il fenomeno si è andato
intensificando durante e dopo il movimento che ha causato la caduta e
fuga di De La Rua, nell'inverno '01-'02. Attualmente le entità
produttive occupate e "autogestite" sono circa 170, e impiegano e
forniscono reddito ad intorno a 10.000 persone nei settori più
vari: dalla panificazione al metallurgico, dai trasporti agli alberghi
e ristoranti, al tessile, allo svago ecc.
Sempre, al momento di subentrare al fallito proprietario, si è
instaurato un regime egualitario, contemporaneamente allargando la
prospettiva al quartiere circostante ed alla società, divenendo
così ad un tempo entità di produzione materiale e di
crescita collettiva culturale e politica.
Ma dopo la vampata dei "cacerolazos", con lo stabilizzarsi del sistema attorno a Kirckner, questo cospicuo settore lavorativo, che per un periodo ha potuto e saputo autogestirsi, è ora messo a confronto coi problemi della "normalizzazione". La legislazione argentina in merito alle cooperative - forma legale largamente adottata - segue le orme di quella di casa nostra, cioè offre su un piatto d'argento la crescita tumorale, all'interno di un luogo di lavoro a regime egualitario, della possibilità di formazione di "élite": un percorso che conduce ad affidare poteri quasi illimitati al consiglio di amministrazione, con relativa gerarchizzazione del tutto.
Inoltre vi è la trappola del sistema di proprietà. Il vecchio padrone può sempre reclamare i suoi "diritti", e farli valere di fronte a compiacenti magistrati, in questo modo costringendo i lavoratori in autogestione a rimborsare il "valore" di edifici e macchinari, in pratica ripristinando l'accaparramento del valore aggiunto, oltretutto senza alcuna responsabilità o esborso dopo la chiusura. Ai resistenti è in permanenza prospettata l'evacuazione forzata con manganelli e lacrimogeni.
In pratica si sono venute formando due correnti all'interno del movimento delle occupazioni, entrambe a carattere riformista, col comunque lodevole scopo di proseguire nell'esperienza (non va dimenticato che l'autogestione arricchisce in ogni caso) e continuare a fornire lavoro e reddito ad un consistente numero di lavoratori in un paese disastrato.
Da una parte vi è un settore che punta alla nazionalizzazione
delle fabbriche e luoghi di lavoro occupati, reclamando l'esclusivo
controllo operaio sulla gestione e sulla produzione, una volta che lo
Stato ha tolto di mezzo lo scomodo padrone. Una strada disseminata di
trappole quali compromessi, cedimenti progressivi, formazione di un
ceto politico, aggancio al carro dell'apparato statale e altri ancora.
Dall'altra una corrente che vorrebbe una modifica della legge sui
fallimenti, capace di far subentrare gli occupanti nel diritto di
proprietà senza eccessivi oneri, con tutti i pericoli e le
insidie derivanti dell'instaurazione di una società per azioni.
In prospettiva: la concorrenza e il minor costo della produzione, di
solito scaricato sulla manodopera, e via di seguito.
Nota positiva: da segnalare che per ora il movimento rimane in generale ancorato all'egualitarismo salariale interno ad ogni entità produttiva.
In conclusione, di fronte all'affievolirsi della tensione sociale, in assenza di un allargamento visibile della situazione di destabilizzazione oltre i confini della nazione, anche il forte e significativo movimento di occupazione dei luoghi di lavoro in Argentina sembra affacciarsi sul baratro del riflusso nel sistema statale e/o capitalista. Al di là del doveroso richiamo alla solidarietà per una situazione di lotta che non ha ancora chinato il capo sotto ogni tipo di pressione, un invito a documentarci e comprenderne le condizioni, i percorsi e le strettoie. L'attuale esperienza argentina può essere di prezioso insegnamento per l'intero movimento di quelli che vogliono cambiare davvero.
A. Nicolazzi