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Umanità Nova, numero 15 del 2 maggio 2004, Anno 84

I sommersi ed i salvati
Israele-Palestina: il ghetto, il muro, il serial-killer



"I shot the sherif" era un hit molto celebre negli anni settanta, credo di Bob Dylan, che nei giorni seguenti all'assassinio mirato di Yassin ho adattato per sdrammatizzare una tensione palese su misura del premier Sharon: "I shot the sheikh". Ma evidentemente il serial killer che una democrazia malata ha messo in testa al proprio regime illiberale, tale è divenuto oramai Israele, non intende fermarsi, e dopo aver decapitato, freddando a colpi di missili aria-terra il leader pro-tempore Rantisi, per l'ennesima volta Hamas che pure aveva contribuito a creare giocandola contro Fatah ai tempi della prima Intifada, ora ha dichiarato di non ritenersi vincolato alla promessa fatta al maggiordomo statunitense: Arafat è entrato nel mirino. Ben che gli vada, come ha detto l'altro campione della democrazia israeliana, il laburista Peres, potrebbe essere "deportato" (sic! così riporta on line il quotidiano progressista Ha'aretz) a Gaza una volta che Israele l'avrà lasciato al suo destino, come topi in una stiva di nave che affonda.
Molte cose non tornano a rigor di logica non pregiudiziale. Ricapitoliamo per i democratici lettori di UN.

Il diritto internazionale vieta gli omicidi mirati di leader politici e, più in genere, di individui ritenuti colpevoli di qualsiasi reato, tranne che per legittima difesa in flagranza di reato, cosa che non è per i casi israeliani. La norma intende preservare il mondo da un farwest generalizzato, ma in pratica il mondo quasi mai ha adottato in toto tali norme, pur tuttavia altrove non si è soliti assassinare i leader avversari, tranne che in Medio oriente. L'invocato alibi israeliano non ha valenza logica in quanto le vittime ebree degli attentati di Hamas griderebbero sì legittima vendetta, ma non, stando alla logica di Sharon, il caso inverso in cui le tremila vittime palestinesi non possono invocare tale metodo di rivalsa, solo perché non ne hanno gli strumenti aggiungeremmo.

La Carta dell'Onu vieta la guerra e le azioni di guerra come metodo per risolvere i conflitti tra paesi. RIP e no comment sembrano i giudizi più idonei a distanza di quasi sessant'anni dalla loro elaborazione e stesura.

Sharon ha dichiarato di voler lasciare la striscia di Gaza, sbaraccando le colonie e trasportandole nella Cisgiordania araba occupata dal 1967. Tale occupazione non è mai stata sancita da alcun testo internazionale, né tantomeno può essere legittimata da una dichiarazione privata di due leader, Bush e Sharon, che con un solo moto di parola hanno vergognosamente chiuso la pagina dei rifugiati arabo-palestinesi all'estero (sin dal 1948 alcuni, sin dal 1967 altri), quando sempre quel diritto internazionale sancisce il diritto al ritorno ed alla restituzione dei beni ingiustamente sottratti con atti di guerra; poi la politica può incaricarsi di diluire tale ritorno di fatto, di compensare altrimenti i rifugiati, di destinare altrove le risorse, di centellinare il rientro, ma mai, secondo il diritto internazionale, di cancellare tale diritto inalienabile. Anche qui RIP.

Sin dagli anni ottanta quel serial killer di Sharon - la sua carriera adamantina risale ad alcuni massacri di villaggi arabi negli anni cinquanta, quindi l'epiteto è letterale e non metaforico - ha proiettato su mappe territoriali il suo intento di relegare la comunità arabo-palestinese in enclave circondate e assediate da insediamenti coloniali ebrei, e negli anni l'autorità militare che dal 1967 requisisce terre ai legittimi proprietari arabi prosegue infaticabilmente nell'opera di spoliazione, prima per dar luogo alle colonie, poi per costruire il muro più lungo del mondo, spesso in corrispondenza con le risorse idriche come speriamo di poter dimostrare quanto prima. Il risultato è un bantustan palestinese, senza continuità territoriale, una sorta di zoo per i militanti turisti filo-palestinesi e le ong di mezzo mondo che dal 1 aprile devono dichiarare ogni loro movimento a Tsahal (l'esercito israeliano) affinché possa meglio preoccuparsi della loro sicurezza!…

La striscia di Gaza, in tale proiezione geopolitica, fa eccezione sin dagli anni dell'occupazione del Sinai all'Egitto durante la guerra dei sei giorni; una Gaza tutta palestinese significherebbe oltre un milione di individui accerchiati da tre lati su quattro, assetati perché in tutta la striscia esiste un solo impianto di potabilizzazione (forse non ancora distrutto dall'esercito), con il mare presidiato dalla marina militare israeliana, e quindi la gestione della paranoia sarebbe tutta di competenza di un governo congiunto Hamas-Fatah, come fonti affidate lasciano filtrare in base ad accordi in corso di discussione.

Resta qualche problema: i coloni ebrei nella striscia si sono "casualmente" insediati sopra bacini acquiferi e pozzi grazie ai quali hanno non solo sottratto risorse ma altresì impreziosito il loro paesaggio, anche dotandosi di alberghi con tanto di piscine e campi da golf, per non parlare delle serre agricole. Un bendidio che difficilmente lasceranno anche dietro ordine del serial killer al potere, in quanto tali risorse in mano araba sono troppo preziose ancorché prive di tecniche di utilizzo. Mentre oggi i bacini della striscia in disponibilità israeliana vengono deviati verso il deserto del Negev, domani potrebbe risultare impossibile.

Se la storia ha dimostrato, come pessima maestra di vita, che democrazie malate possono eleggere criminali al potere, che ottengono consenso presso i loro padroni che man mano diventano fedeli maggiordomi, secondo quella insuperata dialettica servo-padrone che solo a livello internazionale trova riscontro, o che ricevono un moderato dissenso parolaio come sola sa fare l'insuperabile Unione europea in tal caso, ebbene sempre la storia dimostra che di fronte a un paese che viola ogni codice morale e normativo, che discrimina e violenta popolazioni proprie e altrui, che è focolaio di insicurezza collettiva, che insidia la pace e la stabilità regionale, che si dota di armi di distruzione di massa - Israele è l'unica potenza mediorientale a disporre di diverse testate atomiche - ebbene il boicottaggio politico, sociale, economico, culturale è l'unica risorsa civile che ha permesso ai paesi liberali di spegnere dopo tanti e troppi anni quel campione di apartheid che fu il Sudafrica razzista e che oggi trova in Israele il suo più che degno erede.

Relegare ai margini della vita planetaria Israele è il compito principale e minimale di ogni democratico, dimostrando reale solidarietà nei fatti ai tanti che sia dentro Israele sia dentro il mondo arabo-palestinese lottano per non cadere dalla padella di una occupazione militare straniera più che cinquantennale alla brace di un bantustan clericale e teocratico. Certo, i non democratici potrebbero osare di più, ma già questo intento minerebbe un consenso obliquo e strumentale che si alimenta di una shoah ormai tradita da chi ha eletto un serial killer al potere senza tanti rimorsi sulla coscienza da tempo assopita su una tragica eredità distorta a volontà vendicativa. Ghettizzare i palestinesi è un triste destino per la civiltà ebraica! Come se l'ossessione del ricordo di tanti ghetti subiti si fosse innestata in quel circuito perverso della memoria replicativa a danni altrui! 

Per salvarli forse l'isolamento internazionale degli israeliani suonerebbe come una scossa tale da farli rinsavire, peraltro fuori tempo massimo. Quindi altro che farli aderire all'Unione europea, come vaneggia il Massimo nazionale: boicottare Israele come si fece con il Sudafrica nello sport, nella cultura, nella politica, nell'economia, nella cooperazione internazionale (anche a scapito dei palestinesi, tanto ogni dollaro che arriva a loro, ammesso che arrivi, prima lascia qualche traccia nelle tasche israeliane e tanta umiliazione per gli arabi!), è solo un minimo passo che una comunità internazionale coerente con i propri proclami può compiere per non mostrarsi complice inerte.

Ma forse la democrazia globale è solo un sogno che conferma le tante aporie logiche che ho cercato di evidenziare mettendo in parallelo i duri fatti della politica guerrafondaia e le sterili dichiarazioni di ogni dissenso democratico.

Massimo Tessitore







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