Umanità Nova, numero 15 del 2 maggio 2004, Anno 84
Bush ed la sua combriccola neoconservatrice, una banda di affaristi
ed integralisti religiosi, hanno inaugurato una guerra permanente su
scala globale che, in nome della lotta al terrorismo, legittima sia
l'orrore bellico, sia l'estrema limitazione del sistema di garanzie
tipico dei modelli liberali.
I conflitti contro l'Afganistan e l'Iraq sono costati migliaia e
migliaia di morti durante la guerra guerreggiata ma dopo lo scoppio
della "pace", il prezzo, in termini di vite umane, libertà e
dignità che stanno pagando iracheni ed afgani, è
altissimo. In entrambi i Paesi gli USA, pur facili "vincitori" sul
campo, faticano parecchio a mantenere l'occupazione militare, che costa
loro soldi e uomini. Gli Stati Uniti, dopo aver vinto la guerra, stanno
perdendo la pace.
Il paradigma della guerra contro il terrorismo terrorista vuole che
chiunque non accetti le regole del gioco imposto dal poliziotto globale
in divisa statunitense divenga un terrorista. L'anarchico ed il
lavoratore iracheno in sciopero, l'ambientalista radicale e l'operaio
in lotta, il migrante povero ed il manifestante no-global vengono tutti
forzati ad entrare - poco conta come - nella categoria di terrorista,
di nemico irriducibile contro il quale non valgono le regole ed i colpi
bassi sono promossi a norma accettata.
Si arriva alla detenzione extragiudiziale ed alla legittimazione della
tortura. Si arriva a Guantanamo, un non luogo, dove sono rinchiusi non
uomini.
In Italia il moltiplicarsi degli allarmi reali o presunti, la
propaganda militarista, il riemergere di un nazionalismo becero sono il
brodo di coltura in cui sono cresciute e si sono alimentate le
tentazioni belliciste ed il crescente autoritarismo che sta investendo
il nostro paese.
Il clima diviene ogni giorno più pesante: la criminalizzazione
del dissenso politico ne è il segno distintivo. Ne fa le spese
chiunque si opponga alla stretta disciplinare, al militarismo, alle
leggi razziste, alla riduzione dei salari e delle garanzie,
all'erosione dei pur ristretti margini di libertà.
La ripresa e la promozione di sentimenti nazionalisti ha fatto da
puntuale contrappunto alla crescita dell'impegno bellico dello stato
italiano, toccando il fondo dopo la strage di Nassiriya. La retorica
più becera si è sprecata e, per tentare di conferire
un'aura di nobiltà alle imprese neocoloniali in Asia, si
rispolverano patria ed onore, bandiera e marce militari. Persino la
morte di un mercenario, dolorosa sul piano umano come ogni morte,
è divenuta pretesto per un'indecorosa esaltazione
viril-patriottica.
Vecchia paccottiglia per seppellire i morti e far dimenticare una
semplice verità: gli eserciti uccidono. È la loro
funzione, il motivo per cui esistono, vengono addestrati e lautamente
finanziati.
Chi uccide senza divisa o senza contratto di un'agenzia di sicurezza
è un mostro, che viene additato alla riprovazione, braccato,
processato, incarcerato. Chi uccide in nome e per conto dello Stato
è chiamato eroe e, se muore, avrà una medaglia.
L'omicidio di massa compiuto da uomini in divisa si trasforma da
crimine mostruoso in "missione umanitaria", "spedizione di pace",
necessaria per portare libertà e democrazia. Le migliaia e
migliaia di persone che muoiono sotto le bombe, per mancanza di
medicine e cibo sono considerate "danni collaterali".
Ogni volta che ciò accade, ogni volta che lo Stato, qualsiasi
Stato, si prepara ad uccidere, si fa chiamare Patria. La sentenza che
condanna a morte uomini, donne e bambini "colpevoli" di essere nati
nella parte "sbagliata" del mondo viene eseguita da uomini in divisa
che marciano dietro ad una bandiera.
Il pacifismo nostrano, pur animato da buoni sentimenti, troppo spesso
si è rifugiato nell'illusione che vi siano eserciti buoni,
missioni giuste, interventi legittimi.
Un anno orsono milioni di persone scesero in piazza per dire no alla
guerra. Senza se e senza ma. Senza aggettivi. Da allora molta acqua
è passata sotto i ponti e la sinistra istituzionale conta di
imbavagliare definitivamente il movimento contro la guerra, invocando
l'intervento dell'ONU. La stessa ONU sotto il cui ombrello si sono
combattute fior di guerre.
Il nostro è il paese della neolingua, quella che chiama la
guerra pace e l'oppressione armata liberazione, ed è il paese
degli eufemismi, dei raffinati bizantinismi, degli eloquenti distinguo.
Delle missioni buone (quelle che si sono intraprese) e di quelle
cattive (quelle che hanno promosso gli altri). Quindi per le anime
belle del centrosinistra la guerra in Afganistan è giusta,
quella in Iraq sbagliata. Con buona "pace eterna" delle migliaia di
vittime di tanta umanità.
Nel nostro paese, il paese della neolingua, dei distinguo e dei
raffinati bizantinismi, chi ha bombardato la Jugoslavia e si è
pronunciato per l'intervento in Afganistan e, visto il cambio di
governo, si è astenuto sull'Iraq, si dichiara a fianco dei
pacifisti. Alle elezioni manca poco ed è opportuno che se la
mano destra schiaccia il bottone per la guerra, la sinistra impugni una
bandiera arcobaleno.
Un po' di cerone e nessuno vedrà che quelle mani sono sporche di
sangue. Sono le mani che hanno bombardato la gente di Belgrado, che
hanno mutilato i bambini afgani, che hanno affamato, torturato ed
oppresso le popolazioni dell'Iraq. Sono le mani da prestigiatore di chi
crede di trasformare un'occupazione militare in missione di pace,
cambiando l'elmetto dei bersaglieri con un casco blu dell'ONU.
In quest'anno di guerra l'azione antimilitarista degli anarchici non
è mai venuta meno nel denunciare la follia bellicista e l'orrore
statale.
L'opposizione alla guerra è anche rifiuto dell'esercito, di
tutti gli eserciti, delle frontiere e delle bandiere. In una parola
è lotta per una società senza stati e senza padroni.
Perché, guardati da vicino, Berlusconi e Fassino hanno la stessa
faccia, la faccia feroce del potere.
I loro teatrini elettorali non ci interessano. Il nostro posto
è, come sempre, tra chi si oppone alla guerra, allo
sfruttamento, all'oppressione. Noi siamo davanti ai lager per immigrati
ogni volta che qualcuno si riprende la propria libertà, noi
siamo con i lavoratori in lotta contro la precarietà, il
dispotismo, la rapina del reddito e del tempo di vita, noi siamo con la
gente che vuole che l'ambiente sia ripulito da veleni e
nocività, noi siamo con chi vuole che il proprio territorio sia
libero da caserme, basi militari e soldati.
Noi siamo tra coloro che sanno che non può esservi pace se non c'è giustizia sociale.
Mortisia