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Umanità Nova, numero 17 del 16 maggio 2004, Anno 84

Afganistan
Global risk



Global Risk, come il nome della società inglese a cui appartenevano tre dipendenti trovati morti nel distretto di Mandol, lo scorso 5 maggio.

Al contrario si è bloccata la "global war" il cui esordio vittorioso doveva essere proprio l'attacco Usa all'Afganistan iniziato il 7 ottobre 2001 che, in poche settimane, aveva consentito all'Alleanza del Nord di mettere fine al regime talebano accusato di complicità terroristica con Al Qaeda; ma a distanza di due anni e mezzo la realtà attesta altre verità, a partire dai militari Usa che continuano a lasciare la vita nell'occupazione dell'Afganistan.

Se infatti alla fine di aprile ha fatto notizia la morte di Pat Tillman, celebre star del football americano arruolatosi volontario nei Ranger, caduto in uno scontro a fuoco con i mujaheddin nella zona di Khost, raramente l'informazione riferisce il prezzo pagato dall'America in termini di soldati finiti in una bara per servire la politica di Bush Jr; secondo alcune fonti ufficiali ammonterebbe a qualche centinaio, ma ogni dubbio è lecito in quanto la situazione in Afganistan appare a tutti gli effetti non meno grave di quella irachena; l'8 maggio due righe d'agenzia registravano un altro soldato Usa ucciso, senza che la notizia venisse ripresa da alcuno.

Il governo di Hamid Karzai, con una consistenza da ectoplasma, nonostante il sostegno Usa sta perdendo il controllo anche delle poche zone ritenute "sicure"; la guerra infatti continua non solo tra le forze governative, appoggiate dalle forze multinazionali dell'Isaf (International Security Assistance Force) a guida Nato, e le sempre più aggressive formazioni talebane che trovano sostegno e protezione nell'enclave pashtun a cavallo del confine col Pakistan; ma da tempo è scontro aperto tra le truppe regolari del presidente e le agguerritissime milizie uzbeke di Abdul Rashid Dostum, membro dell'assemblea tradizionale nazionale Loya Jirga e signore della guerra che assieme alle forze di Ahmad Massud aveva dato vita alla ormai dissolta Alleanza del Nord; così come è stato scontro militare nello scorso marzo a Herat tra reparti governativi e le milizie di Ismail Khan, dopo l'assassinio di suo figlio Mirwais Sadiq ministro dell'aviazione civile.
Tanto per comprendere meglio i termini della crisi di potere attraversata dalla compagine presieduta da Karzai, si pensi ad una situazione in cui un governo si trova contemporaneamente ad affrontare la pressione armata delle forze che compongono la coalizione governativa e nella quale i suoi stessi ministri sono dei signori della guerra; mentre la quasi totalità delle regioni è saldamente in mano a poteri clanici armati (si calcola forti di 100 mila miliziani) o alla guerriglia legata al passato regime che ultimamente ha conquistato anche parte della provincia di Uruzgan e la stessa residenza del governatore.

Praticamente, come è stato osservato, Karzai può dirsi tutt'al più sindaco di Kabul ed anche tale ruolo è ad altissimo rischio: appena lo scorso 25 aprile è sfuggito ad un ennesimo attentato a Kandahar, dove le bombe e gli attacchi sono all'ordine del giorno.

Da un punto di vista istituzionale, il 4 gennaio 2004, dopo tre settimane di aspro confronto, la Loya Jirga ha approvato la nuova Carta costituzionale che definisce l'Afganistan una repubblica islamica, democratico, con un governo di tipo presidenziale; ma aldilà delle formule compromissorie la "transizione alla democrazia" appare del tutto problematica, sia per i persistenti fortissimi poteri tribali che per la perdurante occupazione militare straniera, infatti le prime elezioni democratiche già previste per il giugno 2004 sono state intanto rinviate a settembre.

Nel frattempo muove le prime mosse l'offensiva di primavera - denominata Tempesta di montagna - della coalizione militare internazionale; secondo le fonti ufficiali vi prendono parte 13.500 soldati Usa, oltre a 2.200 Marine provenienti dall'Iraq. La linea d'attacco è formata dalla Task Force 121 composta da vari reparti speciali Usa, inglesi, francesi e pakistani. L'obiettivo, dopo l'insuccesso dall'offensiva di metà marzo nel sud Waziristan, è ufficialmente sempre lo stesso: catturare bin Laden, colpire le milizie di Jalaluddin Haqqani e di Gulbuddin Hekmatyar, debellare le province meridionali  e le aree tribali del Pashtunistan, dove vige un sistema secolare basato sulla sacralità dell'ospite e sulla vendetta, in cui troverebbero rifugio i volontari stranieri della "legione araba" (comprendente anche ceceni, uzbeki, yemeniti, cinesi uighur, etc.) inizialmente giunti in Afganistan per combattere contro l'occupazione sovietica negli anni Ottanta. Secondariamente, i vertici militari Usa cercherebbero in questo modo di puntellare il vacillante governo pakistano del generale Musharraff, in difficoltà sul fronte interno, dove cresce l'opposizione integralista e antiamericana.

Ma se in Afganistan è del tutto palese lo stato di guerra conseguente all'aggressione imperialista, l'intervento militare italiano (circa 500 unità) in tale area continua ad avere l'approvazione del centro-sinistra, compresi i settori "pacifisti" DS capeggiati dalla onorevole Melandri che pur prendendo le distanze dalla missione Antica Babilonia in Iraq, avallano il carattere "umanitario" della presenza dello Stato e delle imprese italiane a Kabul. D'altra parte, anche il governo Zapatero ha prospettato la possibilità di inviare in Afganistan parte delle truppe spagnole ritirate dall'Iraq, come se le due occupazioni militari non appartenessero alla stessa strategia e non dipendessero dagli stessi comandi.

Così se la politica interventista del governo Berlusconi registra non poche difficoltà interne sul fronte dell'Iraq, per quanto riguarda l'Afganistan incontra la sostanziale condivisione del centro-sinistra, tanto che l'esecutivo ha potuto decidere uno stanziamento "per la cooperazione civile per la ricostruzione" di 140 milioni di Euro per il periodo 2004-2006, confermando la sua partecipazione militare sia all'Isaf che a Enduring Freedom ed assumendo la responsabilità operativa di una delle unità provinciali di ricostruzione (PRT) che dovrebbero "proiettare" la presenza militare ed economica internazionale fuori dall'area di Kabul.

Forse, per perdere le sue colpevoli illusioni, certa "sinistra" attende che anche le torture compiute dagli occupanti in Afganistan diventino spettacolo.

U. F.









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